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2021-10-27
Qatar, Arabia Saudita ed Emirati: i nuovi padroni del calcio
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Ansa
300 milioni di sterline, pari a circa 350 milioni di euro, più altri 700 da investire subito sul mercato per rinforzare la squadra. Un'operazione che sfonda la soglia del miliardo di euro e che ha provocato un terremoto in quello che per numeri, ricavi e giro d'affari è il campionato più redditizio del mondo, la Premier League inglese. L'acquisto del Newcastle United da parte di Pif - Public investment fund - il fondo di investimenti sovrano del governo saudita con a capo lo sceicco Moḥammad bin Salman e con un patrimonio complessivo stimato in 500 miliardi di dollari, è una notizia che non poteva non provocare tanto clamore quanto mal di pancia in tutto il mondo del calcio, inglese e non solo.
Mal di pancia perché la Premier League come istituzione che governa il calcio inglese aveva manifestato più di un dubbio, bloccando in passato un'operazione che di fatto è solo stata rimandata, riguardo al fatto che un club diventasse di proprietà di un Paese, l'Arabia Saudita, sul quale pendono accuse di abusi e violazione dei diritti umani. Premier che avrebbe avuto «assicurazioni importanti sul fatto che lo stato saudita non controllerà direttamente il Newcastle», dando così il via libera al passaggio di proprietà dall'imprenditore inglese Mike Ashley allo sceicco saudita. Sul tema è intervenuta anche Amnesty International dicendo, attraverso le parole del presidente Sacha Deshmurk, che «questo è un chiaro tentativo delle autorità saudite di coprire i loro vergognosi abusi dei diritti umani con il glamour del football inglese».
I tifosi del Newcastle hanno, ovviamente, accolto l'avvento dei sauditi con cori e feste per le strade, sfilando addirittura fuori St James' Park come se avessero vinto un trofeo. «Siamo contro ogni abuso, per il rispetto della diversità, contro i pregiudizi. Noi non possiamo fare molto per i diritti umani» - si legge su un comunicato della tifoseria - «ma è ingiusto prendersela con noi. L'Arabia Saudita ha rapporti con il governo britannico e investe nel Regno Unito. Se qualcuno volesse impedire la sua presenza nel calcio, spetterebbe alla Premier League farlo». Tifosi che sognano, dopo 14 anni di sofferenza e ben due retrocessioni in Seconda divisione, di tornare ai fasti di un tempo, quando grazie ai gol di Alan Shearer il club bianconero frequentava le piazze alte della classifica e giocava in Champions League. Proprio Shearer, che dei Magpies è una leggenda con 148 gol in 303 presenze, è stato accusato da Julian Knight, un parlamentare inglese a capo del comitato cultura, media e sport del governo, di «apologia del regime saudita» per aver commentato sui canali della Bbc la notizia dell'acquisto del Newcastle da parte del fondo Pif come «un giorno speciale per il club», aggiungendo però anche che «la questione dei diritti umani non deve passare in secondo piano».
Al momento del closing il Newcastle naviga in piena zona retrocessione e si trova al penultimo posto in classifica con appena quattro punti racimolati in nove partite. La prima mossa della nuova proprietà è stata quella di esonerare il manager allenatore Steve Bruce e affidare la guida tecnica della squadra ad interim a Graeme Jones in attesa di individuare un profilo adatto. Tra i nomi in lizza ci sono Antonio Conte, Unay Emery e Steven Gerrard. Per rinforzare la squadra, invece, bisognerà aspettare gennaio 2022, quando si aprirà la sessione di calciomercato invernale. Secondo i media inglesi la nuova proprietà avrebbe intenzione di investire subito 600 milioni di sterline, pari circa a 700 milioni di euro. E senza violare le regole del fair play finanziario imposto dalla Football Association sfruttando il regolamento economico del calcio inglese che permette ai club di registrare una perdita di bilancio in tre stagioni fino a 105 milioni di sterline, pari a circa 125 milioni di euro. Non partecipando ad alcuna competizione europea, le spese del Newcastle non dovrebbero al momento finire sotto la lente d'ingrandimento della Uefa.
Poi sarà la volta di mettere mano al portafogli per costruire un nuovo centro sportivo, ma soprattutto riammodernare St James' Park. Investimenti che potrebbero rivoluzionare gli equilibri del campionato inglese e che non lasciano indifferenti gli altri club con i proprietari delle altre 19 squadre che hanno deciso di bloccare le sponsorizzazioni provenienti dal mondo saudita. Alla prima partita dei Magpies sotto la nuova gestione del presidente Yasir al-Rumayyan, che del fondo Pif ne è il governatore, nell'1-1 dello scorso 23 ottobre contro il Crystal Palace, squadra e tifosi sono stati accolti a Selhurst Park da un lungo striscione che riportava le seguenti e durissime parole: «L'Arabia Saudita, un paese controllato dalla paura, dove le donne sono cittadini di seconda classe, i giornalisti vengono silenziati, imprigionati e uccisi e i dissidenti torturati. Dare l'ok per l'acquisto del Newcastle in un momento in cui la Premier League promuove uguaglianza, pari diritti e il calcio femminile mostra tutta l'ipocrisia della Lega e il fatto che l'unico obiettivo siano i profitti. Il Newcastle viene oggi utilizzato per ripulire soldi sporchi di un governo corrotto e i tifosi Magpies dovrebbero tenerlo in considerazione quando dicono che "hanno riavuto indietro il loro club"». Inoltre, secondo quanto riferito dal Guardian, gli altri club avrebbero convocato un'assemblea d'emergenza per bloccare appunto un accordo di sponsorizzazione che avrebbe coperto di denaro il Newcastle aggiungendo altri 200 milioni di euro alla propria capacità di spesa, firmando un nuovo regolamento che vieta accordi commerciali preesistenti e approvato con 18 voti a favore, uno contrario - il Newcastle stesso - e un astenuto, il Manchester City. Il timore del fronte anti Newcastle sta nella possibilità che i Magpies possano siglare partnership interne al regno saudita troppo vantaggiose.
Tutto questo si inserisce in uno scenario internazionale che vede sfidarsi a colpi di petrodollari investiti nel calcio mondiale i Paesi del golfo. Quella di bin Salman è una risposta agli sceicchi degli Emirati, ormai da diversi anni alla guida di Manchester City e Paris Saint-Germain, ma soprattutto a quelli del Qatar che si apprestano a raccogliere i frutti dei Mondiali al via tra un anno negli Emirati. E il Newcastle pare essere soltanto la prima tessera di un effetto domino che vede il fondo saudita puntare non solo altri club di spessore internazionale come l'Inter e l'Olympique Marsiglia, ma anche i Mondiali del 2030.
Dopo Ibrahimovic, Thiago Silva, Messi e Donnarumma, ora è il turno di Beckham

David Beckham (Ansa)
Non è stato nemmeno troppo difficile per il Qatar diventare in meno di 10 anni uno dei simboli mondiali del mondo del calcio. Nel solo 2020 il Pil del Qatar si è attestato intorno ai 150 miliardi di dollari. Il Paese detiene la terza riserva al mondo di gas naturale liquefatto (Gn), ma soprattutto è uno dei più grandi investitori del mondo, con un patrimonio detenuto dal fondo sovrano, la Qatar Investment Authority, stimato tra i 100 e i 200 miliardi di dollari. Il prossimo anno, tra novembre e dicembre, nella monarchia dell'emirato della famiglia Al Thani si svolgeranno i mondiali di calcio. E per l'occasione gli emiri hanno deciso di regalarsi come ambasciatore un ex giocatore di fama mondiale come David Beckham, ex centrocampista di Manchester United, Real Madrid, Milan e Paris Saint-Germain e della nazionale inglese. Il costo è al solito spropositato: Beckham guadagnerà 15 milioni di sterline all'anno per 10 anni, in totale 150 milioni di euro.
È l'ennesima figurina che ha voluto regalarsi Nasser Ghanim Tubir Al-Khelaïfi , storico numero uno del fondo del Qatar (la cassaforte delle finanze qatarine) e presidente del Paris Saint-Germain. Al Khelaifi va avanti da anni a collezionare figurine. Incominciò nel 2012 con l'acquisto di Zlatan Ibrahimovic e Thiago Silva dal Milan, ha poi continuato negli anni a comprare campioni a destra e manca. Quest'anno sono arrivati Gianluigi Donnarumma, Lionel Messi e Achraf Hakimi, oltre ai già presenti in rosa Neymar e Kylian Mbappe, per citare solo i più noti. Il Qatar come Arabia Saudita e Emirati Arabi, sta cercando di diversificare la proprio economia interna, incentrata sul petrolio. I paesi del golfo fanno così a gara da anni a trovare nuovi canali economici per poter mantenere stabile la loro economia (il Qatar ha il prodotto interno lordo più alto del mondo), che un giorno potrebbe subire contraccolpi da un possibile minor utilizzo del petrolio. È una sfida. Anche per questo l'Arabia Saudita ha deciso di investire in Premier League nel Newcastle. Non solo. C'è un'altra monarchia del golfo presente nel calcio, gli Emirati Arabi Uniti, proprietari del Manchester City.
La notizia di Beckham (che aveva giocato anche lui nel Psg nella stagione 2012-2013) sta già creando qualche polemica, anche perché come noto il Qatar per arrivare a questo traguardo ha dovuto impiegare una forza lavoro mai vista per costruire le strutture che ospiteranno i mondiali. Si calcola che dal 2010 a oggi più di 6.500 lavoratori migranti – dodici ogni settimana – sono morti nel paese. La maggior parte di loro era arrivata da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka. I dati sono stati pubblicati ottenuti in esclusiva dal Guardian: quelli che arrivano da India, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka rivelano che 5.927 persone sono morte tra il 2011 e il 2020. Altri dati dell'ambasciata del Pakistan in Qatar riferiscono di altri 824 lavoratori pachistani morti tra il 2010 e il 2020. Ma al mondo del calcio questi dettagli non sembrano interessare poi molto. Del resto da 10 anni il Qatar inonda il pallone di soldi. Basti pensare che nel 2011 la Qatar Foundation aveva pagato 150 milioni di euro per un contratto quinquennale per diventare il primo sponsor in assoluto della maglia del Barcellona, uno degli spazi pubblicitari più prestigiosi. Nel 2013 quell'accordo è stato convertito nella prima vera sponsorizzazione aziendale del Barcellona. A questo si è aggiunto l'accordo con Qatar Airways da 96 milioni di dollari.
Mentre si faceva tappa in Spagna, nel maggio del 2011 il Qatar ha deciso di acquistare il Paris Saint-Germain, tramite la Qatar Sports Investments, di proprietà statale. L'accordo sarebbe stato trovato nel 2010, durante un pranzo tra l'ex presidente francese, Nicolas Sarkozy, l'allora presidente dell'Uefa Michel Platini e da Tamim bin Hamad al-Thani, primo ministro del Qatar. A quanto pare sarebbe stato Sarkozy a convincere il Qatar all'acquisto del Psg, in questo modo Platini avrebbe poi votato a favore della Coppa del Mondo del 2022 in Qatar. La ricostruzione è stata anche confermata. Sta di fatto che Laurent Platini, figlio di Michel, è diventato poi amministratore delegato di Burrda, la società di abbigliamento sportivo di proprietà di Qatar Sport Investment. Come per l'Arabia Saudita, anche a Doha hanno programmato un piano di sviluppo in vista del 2030. La strategia del Qatar è quella di costruire rapidamente basi favorevoli all'Occidente per un'economia moderna post-gas, e in parte di difesa dall'espansionismo del vicino di casa Mohammad bin Salman. In questi anni è stato lanciato anche un altro progetto, lanciato dai grandi fondi di investimento di Doha. È nata infatti l'Accademia Aspire, un progetto per trovare giovani talenti nel mondo del calcio, in Africa, Asia e America Latina. Giovani giocatori vengono esaminati nei centri in tutta l'Africa, in Paraguay, Thailandia e Vietnam. Secondo alcuni, molti di questi Paesi starebbero ricevendo indietro quanto promesso per il voto dei mondiali del 2022. Il Qatar, del resto, paga tutti.
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L'acquisto del Newcastle da parte del fondo Pif che fa capo allo sceicco Moḥammad bin Salman, ha sconquassato tutta la Premier League. Gli altri club non ci stanno e pensano al blocco degli sponsor. E intanto sono pronti 700 milioni di euro da immettere sul mercato. In barba al fair play finanziario.Dal 2011 il Qatar investe nel calcio europeo, prima come sponsor del Barcellona poi come proprietario del Paris Saint-Germain. I mondiali del prossimo anno rappresentano una prova di forza con le altre monarchie del golfo in vista della diversificazione dell'economia troppo legata a gas e petrolio.Lo speciale contiene due articoli.300 milioni di sterline, pari a circa 350 milioni di euro, più altri 700 da investire subito sul mercato per rinforzare la squadra. Un'operazione che sfonda la soglia del miliardo di euro e che ha provocato un terremoto in quello che per numeri, ricavi e giro d'affari è il campionato più redditizio del mondo, la Premier League inglese. L'acquisto del Newcastle United da parte di Pif - Public investment fund - il fondo di investimenti sovrano del governo saudita con a capo lo sceicco Moḥammad bin Salman e con un patrimonio complessivo stimato in 500 miliardi di dollari, è una notizia che non poteva non provocare tanto clamore quanto mal di pancia in tutto il mondo del calcio, inglese e non solo.Mal di pancia perché la Premier League come istituzione che governa il calcio inglese aveva manifestato più di un dubbio, bloccando in passato un'operazione che di fatto è solo stata rimandata, riguardo al fatto che un club diventasse di proprietà di un Paese, l'Arabia Saudita, sul quale pendono accuse di abusi e violazione dei diritti umani. Premier che avrebbe avuto «assicurazioni importanti sul fatto che lo stato saudita non controllerà direttamente il Newcastle», dando così il via libera al passaggio di proprietà dall'imprenditore inglese Mike Ashley allo sceicco saudita. Sul tema è intervenuta anche Amnesty International dicendo, attraverso le parole del presidente Sacha Deshmurk, che «questo è un chiaro tentativo delle autorità saudite di coprire i loro vergognosi abusi dei diritti umani con il glamour del football inglese».I tifosi del Newcastle hanno, ovviamente, accolto l'avvento dei sauditi con cori e feste per le strade, sfilando addirittura fuori St James' Park come se avessero vinto un trofeo. «Siamo contro ogni abuso, per il rispetto della diversità, contro i pregiudizi. Noi non possiamo fare molto per i diritti umani» - si legge su un comunicato della tifoseria - «ma è ingiusto prendersela con noi. L'Arabia Saudita ha rapporti con il governo britannico e investe nel Regno Unito. Se qualcuno volesse impedire la sua presenza nel calcio, spetterebbe alla Premier League farlo». Tifosi che sognano, dopo 14 anni di sofferenza e ben due retrocessioni in Seconda divisione, di tornare ai fasti di un tempo, quando grazie ai gol di Alan Shearer il club bianconero frequentava le piazze alte della classifica e giocava in Champions League. Proprio Shearer, che dei Magpies è una leggenda con 148 gol in 303 presenze, è stato accusato da Julian Knight, un parlamentare inglese a capo del comitato cultura, media e sport del governo, di «apologia del regime saudita» per aver commentato sui canali della Bbc la notizia dell'acquisto del Newcastle da parte del fondo Pif come «un giorno speciale per il club», aggiungendo però anche che «la questione dei diritti umani non deve passare in secondo piano».Al momento del closing il Newcastle naviga in piena zona retrocessione e si trova al penultimo posto in classifica con appena quattro punti racimolati in nove partite. La prima mossa della nuova proprietà è stata quella di esonerare il manager allenatore Steve Bruce e affidare la guida tecnica della squadra ad interim a Graeme Jones in attesa di individuare un profilo adatto. Tra i nomi in lizza ci sono Antonio Conte, Unay Emery e Steven Gerrard. Per rinforzare la squadra, invece, bisognerà aspettare gennaio 2022, quando si aprirà la sessione di calciomercato invernale. Secondo i media inglesi la nuova proprietà avrebbe intenzione di investire subito 600 milioni di sterline, pari circa a 700 milioni di euro. E senza violare le regole del fair play finanziario imposto dalla Football Association sfruttando il regolamento economico del calcio inglese che permette ai club di registrare una perdita di bilancio in tre stagioni fino a 105 milioni di sterline, pari a circa 125 milioni di euro. Non partecipando ad alcuna competizione europea, le spese del Newcastle non dovrebbero al momento finire sotto la lente d'ingrandimento della Uefa.Poi sarà la volta di mettere mano al portafogli per costruire un nuovo centro sportivo, ma soprattutto riammodernare St James' Park. Investimenti che potrebbero rivoluzionare gli equilibri del campionato inglese e che non lasciano indifferenti gli altri club con i proprietari delle altre 19 squadre che hanno deciso di bloccare le sponsorizzazioni provenienti dal mondo saudita. Alla prima partita dei Magpies sotto la nuova gestione del presidente Yasir al-Rumayyan, che del fondo Pif ne è il governatore, nell'1-1 dello scorso 23 ottobre contro il Crystal Palace, squadra e tifosi sono stati accolti a Selhurst Park da un lungo striscione che riportava le seguenti e durissime parole: «L'Arabia Saudita, un paese controllato dalla paura, dove le donne sono cittadini di seconda classe, i giornalisti vengono silenziati, imprigionati e uccisi e i dissidenti torturati. Dare l'ok per l'acquisto del Newcastle in un momento in cui la Premier League promuove uguaglianza, pari diritti e il calcio femminile mostra tutta l'ipocrisia della Lega e il fatto che l'unico obiettivo siano i profitti. Il Newcastle viene oggi utilizzato per ripulire soldi sporchi di un governo corrotto e i tifosi Magpies dovrebbero tenerlo in considerazione quando dicono che "hanno riavuto indietro il loro club"». Inoltre, secondo quanto riferito dal Guardian, gli altri club avrebbero convocato un'assemblea d'emergenza per bloccare appunto un accordo di sponsorizzazione che avrebbe coperto di denaro il Newcastle aggiungendo altri 200 milioni di euro alla propria capacità di spesa, firmando un nuovo regolamento che vieta accordi commerciali preesistenti e approvato con 18 voti a favore, uno contrario - il Newcastle stesso - e un astenuto, il Manchester City. Il timore del fronte anti Newcastle sta nella possibilità che i Magpies possano siglare partnership interne al regno saudita troppo vantaggiose.Tutto questo si inserisce in uno scenario internazionale che vede sfidarsi a colpi di petrodollari investiti nel calcio mondiale i Paesi del golfo. Quella di bin Salman è una risposta agli sceicchi degli Emirati, ormai da diversi anni alla guida di Manchester City e Paris Saint-Germain, ma soprattutto a quelli del Qatar che si apprestano a raccogliere i frutti dei Mondiali al via tra un anno negli Emirati. E il Newcastle pare essere soltanto la prima tessera di un effetto domino che vede il fondo saudita puntare non solo altri club di spessore internazionale come l'Inter e l'Olympique Marsiglia, ma anche i Mondiali del 2030.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/sauditi-gamba-tesa-calcio-inglese-2655406596.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dopo-ibrahimovic-thiago-silva-messi-e-donnarumma-ora-e-il-turno-di-beckham" data-post-id="2655406596" data-published-at="1635345389" data-use-pagination="False"> Dopo Ibrahimovic, Thiago Silva, Messi e Donnarumma, ora è il turno di Beckham David Beckham (Ansa) Non è stato nemmeno troppo difficile per il Qatar diventare in meno di 10 anni uno dei simboli mondiali del mondo del calcio. Nel solo 2020 il Pil del Qatar si è attestato intorno ai 150 miliardi di dollari. Il Paese detiene la terza riserva al mondo di gas naturale liquefatto (Gn), ma soprattutto è uno dei più grandi investitori del mondo, con un patrimonio detenuto dal fondo sovrano, la Qatar Investment Authority, stimato tra i 100 e i 200 miliardi di dollari. Il prossimo anno, tra novembre e dicembre, nella monarchia dell'emirato della famiglia Al Thani si svolgeranno i mondiali di calcio. E per l'occasione gli emiri hanno deciso di regalarsi come ambasciatore un ex giocatore di fama mondiale come David Beckham, ex centrocampista di Manchester United, Real Madrid, Milan e Paris Saint-Germain e della nazionale inglese. Il costo è al solito spropositato: Beckham guadagnerà 15 milioni di sterline all'anno per 10 anni, in totale 150 milioni di euro. È l'ennesima figurina che ha voluto regalarsi Nasser Ghanim Tubir Al-Khelaïfi , storico numero uno del fondo del Qatar (la cassaforte delle finanze qatarine) e presidente del Paris Saint-Germain. Al Khelaifi va avanti da anni a collezionare figurine. Incominciò nel 2012 con l'acquisto di Zlatan Ibrahimovic e Thiago Silva dal Milan, ha poi continuato negli anni a comprare campioni a destra e manca. Quest'anno sono arrivati Gianluigi Donnarumma, Lionel Messi e Achraf Hakimi, oltre ai già presenti in rosa Neymar e Kylian Mbappe, per citare solo i più noti. Il Qatar come Arabia Saudita e Emirati Arabi, sta cercando di diversificare la proprio economia interna, incentrata sul petrolio. I paesi del golfo fanno così a gara da anni a trovare nuovi canali economici per poter mantenere stabile la loro economia (il Qatar ha il prodotto interno lordo più alto del mondo), che un giorno potrebbe subire contraccolpi da un possibile minor utilizzo del petrolio. È una sfida. Anche per questo l'Arabia Saudita ha deciso di investire in Premier League nel Newcastle. Non solo. C'è un'altra monarchia del golfo presente nel calcio, gli Emirati Arabi Uniti, proprietari del Manchester City. La notizia di Beckham (che aveva giocato anche lui nel Psg nella stagione 2012-2013) sta già creando qualche polemica, anche perché come noto il Qatar per arrivare a questo traguardo ha dovuto impiegare una forza lavoro mai vista per costruire le strutture che ospiteranno i mondiali. Si calcola che dal 2010 a oggi più di 6.500 lavoratori migranti – dodici ogni settimana – sono morti nel paese. La maggior parte di loro era arrivata da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka. I dati sono stati pubblicati ottenuti in esclusiva dal Guardian: quelli che arrivano da India, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka rivelano che 5.927 persone sono morte tra il 2011 e il 2020. Altri dati dell'ambasciata del Pakistan in Qatar riferiscono di altri 824 lavoratori pachistani morti tra il 2010 e il 2020. Ma al mondo del calcio questi dettagli non sembrano interessare poi molto. Del resto da 10 anni il Qatar inonda il pallone di soldi. Basti pensare che nel 2011 la Qatar Foundation aveva pagato 150 milioni di euro per un contratto quinquennale per diventare il primo sponsor in assoluto della maglia del Barcellona, uno degli spazi pubblicitari più prestigiosi. Nel 2013 quell'accordo è stato convertito nella prima vera sponsorizzazione aziendale del Barcellona. A questo si è aggiunto l'accordo con Qatar Airways da 96 milioni di dollari. Mentre si faceva tappa in Spagna, nel maggio del 2011 il Qatar ha deciso di acquistare il Paris Saint-Germain, tramite la Qatar Sports Investments, di proprietà statale. L'accordo sarebbe stato trovato nel 2010, durante un pranzo tra l'ex presidente francese, Nicolas Sarkozy, l'allora presidente dell'Uefa Michel Platini e da Tamim bin Hamad al-Thani, primo ministro del Qatar. A quanto pare sarebbe stato Sarkozy a convincere il Qatar all'acquisto del Psg, in questo modo Platini avrebbe poi votato a favore della Coppa del Mondo del 2022 in Qatar. La ricostruzione è stata anche confermata. Sta di fatto che Laurent Platini, figlio di Michel, è diventato poi amministratore delegato di Burrda, la società di abbigliamento sportivo di proprietà di Qatar Sport Investment. Come per l'Arabia Saudita, anche a Doha hanno programmato un piano di sviluppo in vista del 2030. La strategia del Qatar è quella di costruire rapidamente basi favorevoli all'Occidente per un'economia moderna post-gas, e in parte di difesa dall'espansionismo del vicino di casa Mohammad bin Salman. In questi anni è stato lanciato anche un altro progetto, lanciato dai grandi fondi di investimento di Doha. È nata infatti l'Accademia Aspire, un progetto per trovare giovani talenti nel mondo del calcio, in Africa, Asia e America Latina. Giovani giocatori vengono esaminati nei centri in tutta l'Africa, in Paraguay, Thailandia e Vietnam. Secondo alcuni, molti di questi Paesi starebbero ricevendo indietro quanto promesso per il voto dei mondiali del 2022. Il Qatar, del resto, paga tutti.
Ansa
L’accordo è stato siglato con Certares, fondo statunitense specializzato nel turismo e nei viaggi, nome ben noto nel settore per American express global business travel e per una rete di partecipazioni che abbraccia distribuzione, servizi e tecnologia legata alla mobilità globale. Il piano è robusto: una joint venture e investimenti complessivi per circa un miliardo di euro tra Francia e Regno Unito.
Il primo terreno di gioco è Trenitalia France, la controllata con sede a Parigi che negli ultimi anni ha dimostrato come la concorrenza sui binari francesi non sia più un tabù. Oggi opera nell’Alta velocità sulle tratte Parigi-Lione e Parigi-Marsiglia, oltre al collegamento internazionale Parigi-Milano. Dal debutto ha trasportato oltre 4,7 milioni di passeggeri, ritagliandosi il ruolo di secondo operatore nel mercato francese. A dominarlo il monopolio storico di Sncf il cui Tgv è stato il primo treno super-veloce in Europa. Intaccarne il primato richiede investimenti e impegno. Il nuovo capitale messo sul tavolo servirà a consolidare la presenza di Fs non solo in Francia, ma anche nei mercati transfrontalieri. Il progetto prevede l’ampliamento della flotta fino a 19 treni, aumento delle frequenze - sulla Parigi-Lione si arriverà a 28 corse giornaliere - e la realizzazione di un nuovo impianto di manutenzione nell’area parigina. A questo si aggiunge la creazione di centinaia di nuovi posti di lavoro e il rafforzamento degli investimenti in tecnologia, brand e marketing. Ma il vero orizzonte strategico è oltre il Canale della Manica. La partnership punta infatti all’ingresso sulla rotta Parigi-Londra entro il 2029, un corridoio simbolico e ad altissimo traffico, finora appannaggio quasi esclusivo dell’Eurostar. Portare l’Alta velocità italiana su quella linea significa non solo competere su prezzi e servizi, ma anche ridisegnare la geografia dei viaggi europei, offrendo un’alternativa all’aereo.
In questo disegno Certares gioca un ruolo chiave. Il fondo americano non si limita a investire capitale, ma mette a disposizione la rete di distribuzione e le società in portafoglio per favorire la transizione dei clienti business verso il treno ad Alta velocità. Parallelamente, l’accordo guarda anche ad altro. Trenitalia France e Certares intendono promuovere itinerari integrati che includano il treno, semplificare gli strumenti di prenotazione e spingere milioni di viaggiatori a scegliere la ferrovia come modalità di trasporto preferita, soprattutto sulle medie distanze. L’operazione si inserisce nel piano strategico 2025-2029 del gruppo Fs, che punta su una crescita internazionale accelerata attraverso alleanze con partner finanziari e industriali di primo piano. Sarà centrale Fs International, la divisione che si occupa delle attività passeggeri fuori dall’Italia. Oggi vale circa 3 miliardi di euro di fatturato e conta su 12.000 dipendenti.
L’obiettivo, come spiega un comunicato del gruppo, combinare l’eccellenza operativa di Fs e di Trenitalia France con la potenza commerciale e distributiva globale di Certares per trasformare la Francia, il corridoio Parigi-Londra e i futuri mercati della joint venture in una vetrina del trasporto europeo. Un’Europa che viaggia veloce, sempre più su rotaia, e che riscopre il treno non come nostalgia del passato, ma come infrastruttura del futuro.
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Brigitte Bardot guarda Gunter Sachs (Ansa)
Ora che è morta, la destra la vorrebbe ricordare. Ma non perché in passato aveva detto di votare il Front National. Semplicemente perché la Bardot è stata un simbolo della Francia, come ha chiesto Eric Ciotti, del Rassemblement National, a Emmanuel Macron. Una proposta scontata, alla quale però hanno risposto negativamente i socialisti. Su X, infatti, Olivier Faure ha scritto: «Gli omaggi nazionali vengono organizzati per servizi eccezionali resi alla Nazione. Brigitte Bardot è stata un'attrice emblematica della Nouvelle Vague. Solare, ha segnato il cinema francese. Ma ha anche voltato le spalle ai valori repubblicani ed è stata pluri-condannata dalla giustizia per razzismo». Un po’ come se esser stata la più importante attrice degli anni Cinquanta e Sessanta passasse in secondo piano a causa delle sue scelte politiche. Come se BB, per le sue idee, non facesse più parte di quella Francia che aveva portato al centro del mondo. Non solo nel cinema. Ma anche nel turismo. Fu grazie a lei che la spiaggia di Saint Tropez divenne di moda. Le sue immagini, nuda sulla riva, finirono sulle copertine delle riviste più importanti dell’epoca. E fecero sì che, ricchi e meno ricchi, raggiungessero quel mare limpido e selvaggio nella speranza di poterla incontrare. Tra loro anche Gigi Rizzi, che faceva parte di quel gruppo di italiani in cerca di belle donne e fortuna sulla spiaggia di Saint Tropez. Un amore estivo, che però lo rese immortale.
È vero: BB era di destra. Era una femmina che non poteva essere femminista. Avrebbe tradito sé stessa se lo avesse fatto. Del resto, disse: «Il femminismo non è il mio genere. A me piacciono gli uomini». Impossibile aggiungere altro.
Se non il dispiacere nel vedere una certa Francia voltarle le spalle. Ancora una volta. Quella stessa Francia che ha dimenticato sé stessa e che ha perso la propria identità. Quella Francia che oggi vuole dimenticare chi, Brigitte Bardot, le ricordava che cosa avrebbe potuto essere. Una Francia dei francesi. Una Francia certamente capace di accogliere, ma senza perdere la propria identità. Era questo che chiedeva BB, massacrata da morta sui giornali di sinistra, vedi Liberation, che titolano Brigitte Bardot, la discesa verso l'odio razziale.
Forse, nelle sue lettere contro l’islamizzazione, BB odiò davvero. Chi lo sa. Di certo amò la Francia, che incarnò. Nel 1956, proprio mentre la Bardot riempiva i cinema mondiali, Édith Piaf scrisse Non, je ne regrette rien (no, non mi pento di nulla). Lo fece per i legionari che combattevano la guerra d’Algeria. Una guerra che oggi i socialisti definirebbero colonialista. Quelle parole di gioia possono essere il testamento spirituale di BB. Che visse, senza rimpiangere nulla. Vivendo in un eterno presente. Mangiando la vita a morsi. Sparendo dalla scena. Ora per sempre.
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«Gigolò per caso» (Amazon Prime Video)
Un infarto, però, lo aveva costretto ad una lunga degenza e, insieme, ad uno stop professionale. Stop che non avrebbe potuto permettersi, indebitato com'era con un orologiaio affatto mite. Così, pur sapendo che avrebbe incontrato la riprova del figlio, già inviperito con suo padre, Giacomo aveva deciso di chiedergli una mano. Una sostituzione, il favore di frequentare le sue clienti abituali, consentendogli con ciò un'adeguata ripresa. La prima stagione della serie televisiva era passata, perciò, dalla rabbia allo stupore, per trovare, infine, il divertimento e una strana armonia. La seconda, intitolata La sex gurue pronta a debuttare su Amazon Prime video venerdì 2 gennaio, dovrebbe fare altrettanto, risparmiandosi però la fase della rabbia. Alfonso, cioè, è ormai a suo agio nel ruolo di gigolò. Non solo. La strana alleanza professionale, arrivata in un momento topico della sua vita, quello della crisi con la moglie Margherita, gli ha consentito di recuperare il rapporto con il padre, che credeva irrimediabilmente compromesso. Si diverte, quasi, a frequentare le sue clienti sgallettate. Peccato solo l'arrivo di Rossana Astri, il volto di Sabrina Ferilli. La donna è una fra le più celebri guru del nuovo femminismo, determinata ad indottrinare le sue simili perché si convincano sia giusto fare a meno degli uomini. Ed è questa convinzione che muove anche Margherita, moglie in crisi di Alfonso. Margherita, interpretata da Ambra Angiolini, diventa un'adepta della Astri, una sua fedele scudiera. Quasi, si scopre ad odiarli, gli uomini, dando vita ad una sorta di guerra tra sessi. Divertita, però. E capace, pure di far emergere le abissali differenze tra il maschile e il femminile, i desideri degli uni e le aspettative, quasi mai soddisfatte, delle altre.
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La nuova applicazione, in parte accessibile anche ai non clienti, introduce servizi innovativi come un assistente virtuale basato su Intelligenza artificiale, attivo 24 ore su 24, e uno screening audiometrico effettuabile direttamente dallo smartphone. L’obiettivo è duplice: migliorare la qualità del servizio clienti e promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione uditiva, riducendo le barriere all’accesso ai controlli iniziali.
Il lancio avviene in un contesto complesso per il settore. Nei primi nove mesi dell’anno Amplifon ha registrato una crescita dei ricavi dell’1,8% a cambi costanti, ma il titolo ha risentito dell’andamento negativo che ha colpito in Borsa i principali operatori del comparto. Lo sguardo di lungo periodo restituisce però un quadro diverso: negli ultimi dieci anni il titolo Amplifon ha segnato un incremento dell’80% (ieri +0,7% fra i migliori cinque del Ftse Mib), al netto dei dividendi distribuiti, che complessivamente sfiorano i 450 milioni di euro. Nello stesso arco temporale, tra il 2014 e il 2024, il gruppo ha triplicato i ricavi, arrivando a circa 2,4 miliardi di euro.
Il progetto della nuova app è stato sviluppato da Amplifon X, la divisione di ricerca e sviluppo del gruppo. Con sedi a Milano e Napoli, Amplifon X riunisce circa 50 professionisti tra sviluppatori, data analyst e designer, impegnati nella creazione di soluzioni digitali avanzate per l’audiologia. L’Intelligenza artificiale rappresenta uno dei pilastri di questa strategia, applicata non solo alla diagnosi e al supporto al paziente, ma anche alla gestione delle esigenze quotidiane legate all’uso degli apparecchi acustici.
Accanto alla tecnologia, resta centrale il ruolo degli audioprotesisti, figure chiave per Amplifon. Le competenze tecniche ed empatiche degli specialisti della salute dell’udito continuano a essere considerate un elemento insostituibile del modello di servizio, con il digitale pensato come strumento di supporto e integrazione, non come sostituzione del rapporto umano.
Fondato a Milano nel 1950, il gruppo Amplifon opera oggi in 26 Paesi con oltre 10.000 centri audiologici, impiegando più di 20.000 persone. La prevenzione e l’assistenza rappresentano i cardini della strategia industriale, e la nuova Amplifon App si inserisce in questa visione come leva per ampliare l’accesso ai servizi e rafforzare la relazione con i pazienti lungo tutto il ciclo di cura.
Il rilascio della nuova applicazione è avvenuto in modo progressivo. Dopo il debutto in Francia, Nuova Zelanda, Portogallo e Stati Uniti, la app è stata estesa ad Australia, Belgio, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera, con l’obiettivo di garantire un’esperienza digitale omogenea nei principali mercati del gruppo.
Ma l’innovazione digitale di Amplifon non si ferma all’app. Negli ultimi anni il gruppo ha sviluppato soluzioni come gli audiometri digitali OtoPad e OtoKiosk, certificati Ce e Fda, e i nuovi apparecchi Ampli-Mini Ai, miniaturizzati, ricaricabili e in grado di adattarsi in tempo reale all’ambiente sonoro. Entro la fine del 2025 è inoltre previsto il lancio in Cina di Amplifon Product Experience (Ape), la linea di prodotti a marchio Amplifon già introdotta in Argentina e Cile e oggi presente in 15 dei 26 Paesi in cui il gruppo opera.
Già per Natale il gruppo aveva lanciato la speciale campagna globale The Wish (Il regalo perfetto) Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oggi nel mondo circa 1,5 miliardi di persone convivono con una forma di perdita uditiva (o ipoacusia) e il loro numero è destinato a salire a 2,5 miliardi nel 2050.
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