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2022-01-09
Sanità azzoppata e assunzioni ferme ma l’infermiera si lagna dei no vax
Martina Benedetti (Ansa)
Martina Benedetti è l’infermiera di 29 anni che sui social ha rispolverato un selfie di due anni fa, nel quale appariva con il volto segnato dalla mascherina. Un’immagine di stanchezza da super lavoro e stress in reparto Covid, oggi «usata» per criticare la multa che sarà inflitta agli over 50 ostinati nel rifiutare il vaccino. «Cento euro, il prezzo della nostra salute. Delle nostre vite. Dei sacrifici che facciamo da due anni, soprattutto noi operatori sanitari», l’ha definito in un post diventato virale, come si dice in gergo.
La giovane, che lavora al Nuovo ospedale Apuane di Massa e Carrara, lamenta che «per l’ennesima volta saremo noi frontliners a pulire tutto il fango derivante dall’assenza di decisioni forti e coraggiose. Scelte assurde che ricadranno sulle nostre schiene già gravate da due anni di fatica». Inutile aggiungere che quelle frasi sono state usate da ogni parte, per rendere ancora più odiosi i non vaccinati.
Colpevoli, secondo questo governo, di seminare contagi, di provocare la diffusione di Omicron, costretti a vaccinarsi se over 50, a perdere il lavoro se non lo faranno, privati di ogni diritto e adesso stigmatizzati perché se la caverebbero con cento euro di sanzione amministrativa. Martina ha sbagliato obiettivo, doveva prendersela con il ministero della Salute. La rabbia è un bene prezioso che non va sprecato, se il fine è farsi ascoltare per giuste motivazioni.
Il «fango» non sono i 3 milioni di non vaccinati in Italia che si fanno tamponi, sono ghettizzati, privati della loro dimensione sociale, culturale, adesso pure lavorativa e che se finiscono in ospedale hanno diritto di farsi curare dal momento che pagano le tasse. L’infermiera doveva usare parole durissime nei confronti di chi ha tradito il sistema sanitario italiano, con tagli continui e devastanti. Che c’entrano i senza dose, con le promesse non mantenute a medici e infermieri sotto organico ovunque, costretti a turni massacranti dopo due anni di promesse?
Ripresa dai media come l’eroina che tanto ha sofferto e ancora dovrà soffrire per colpa di quei miserabili che sarebbero i no vax (da «spazzare via, un dovere» secondo il senatore forzista Maurizio Gasparri), Martina ieri ha poi avuto l’onestà di dire al Tgcom24 che gli infermieri non sono eroi. «Siamo professionisti», ha precisato. Ecco, questa doveva essere la giusta affermazione di partenza. Sono tantissime le persone che da due anni non smettono di lavorare con impegno, con dedizione, con grande sacrificio, per non far collassare il Paese sotto la mal gestione sanitaria e politica.
Se mal ripagate, se inascoltate nelle loro istanze, se prese in giro e lasciate da sole «in trincea», devono reagire contro chi li ha traditi e abbandonati ad arrangiarsi, ma non smettono di essere professionisti. Non si fanno irretire, sbagliando bersaglio perché travolti dal clima di odio no vax. Tante grazie all’infermiera Martina per il suo lavoro in corsia, grazie per l’abnegazione che le venne riconosciuta anche con il premio speciale Laurentum 2020, in quanto «simbolo della straordinaria lotta dell’intero mondo sanitario contro il nemico del Covid 19» durante il periodo più difficile della pandemia.
Il suo post su Facebook, nel marzo 2020, dopo l’ennesima notte di lavoro massacrante in terapia intensiva, emozionò il mondo dei social. Quel testo è stato anche interpretato dall’attrice Sandra Tedeschi. Siamo felici che malgrado i ritmi di lavoro che denuncia, Martina abbia ripreso la sua normalità di vita trovando pure il tempo di essere tutor con la Fondazione Gimbe, dove si occupa di formazione, mostrando il suo volto non segnato da mascherine. Di certo il post dell’infermiera sarà stato molto apprezzato dal presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta, che nello stesso giorno twittava: «Importi sanzioni. Guida senza cintura di sicurezza: sino a 323 euro; telefoni e dispositivi elettronici alla guida: da 165 a 661 euro; rifiuto vaccino obbligatorio: 100 euro».
Ieri la notizia della collaborazione della Benedetti è comparsa sui social, con tanto di link al sito di Gimbe education che organizza corsi per tutte le professioni sanitarie. Martina figura assieme ad altri colleghi, ma era l’unica di cui non era possibile consultare il Cv. Casualmente, quella pagina era stata aggiornata proprio ieri.
Non importa, la giovane fa l’infermiera e sul lavoro si occupa ancora di Covid, non solo di quello ci immaginiamo visto che i pazienti vengono ricoverati anche per altre patologie. È riuscita a pubblicare un libro sulla pandemia e «in primavera uscirà un romanzo», ha raccontato a Repubblica. «Il momento più bello? Quello del vaccino», dichiarò il 17 marzo 2021. Plurivaccinata, con soddisfazioni professionali ma anche avvilita perché medici e infermieri contano solo nell’emergenza e solo per merito loro, il simbolo della lotta al Covid poteva provarci a far vergognare questo ministero della Salute. Invece ha sprecato una bella occasione. «Vediamo nel quotidiano persone che riversano la loro frustrazione online», si è rammaricata con Repubblica. L’infermiera Benedetti non ha fatto di meglio.
Rinfaccereste le spese di ricoveri e terapie anche ai sieropositivi?
Lui è un sincero democratico, quindi auspica «una sanzione equivalente a un giorno di terapia intensiva». Siamo sui 1.500 euro, tanto per capirci. Il destinatario della multa sarebbe l’intubato no-vax sfuggito all’inoculazione. E il vigile inflessibile Agostino Miozzo, ex coordinatore del Comitato tecnico scientifico da qualche mese in astinenza da dichiarazioni napoleoniche. I riflettori si spengono per tutti, ma la fatica ad accettare le penombre è umana. Così uno dei tecnici di Giuseppe Conte epurati da Mario Draghi spara alto: «Un giorno di ricovero costa 1.500 euro, c’è chi rimane 20 giorni. Si può partire da lì». Calca la mano sulla spesa, getta addosso all’antivaccinista lo stigma del parassita e nell’intervista al Corriere della Sera finisce per auspicare: «Come sanzione bisognerebbe prevedere anche l’arresto». L’approccio da oberleutnant sulla torretta non è nuovo. Sui social è di tendenza presso il popolo dei liberal(i) di complemento come in quello dei postmarxisti piddo-grillini che fanno della tolleranza civile un valore solo il martedì e il giovedì, dopo il parrucchiere. Il no vax deve pagare e ovviamente 100 euro sono un obolo ridicolo. Lo hanno ribadito («È una buffonata») Massimo Galli, Andrea Crisanti, Matteo Bassetti. La lotta al Covid diventa una questione di soldi, danè, schei anche per chi si vanta di tenere il giuramento di Ippocrate sotto il cuscino. Aveva introdotto l’alato argomento Alessio D’Amato, assessore alla Sanità della Regione Lazio trasformato in genio da alcuni media-scendiletto prima dell’imbarazzante vicenda dei dati rubati dall’Uomo ragno o dagli hacker russi: «Chi non si vaccina deve pagare il conto». Subito sostenuto dal presidente degli anestesisti Alessandro Vergallo, che aveva quantificato in 20 milioni al mese la spesa per i non vaccinati.
Accantoniamo parole come umanità, solidarietà, resilienza (consumate sino allo sfinimento per l’uso su profughi e minoranze arcobaleno) e teniamo il punto sulla soluzione Miozzo, casualmente medico. Una semplice domanda: rinfaccereste la stessa spesa ai malati di tumore polmonare da fumo, ai diabetici, ai cronici e a chi è alle prese con malattie rare? Il paragone sarebbe terribile perché, come spiega l’Istituto Veronesi, il servizio sanitario nazionale oggi spende 16 miliardi l’anno per coprire diagnosi e cure oncologiche con i nuovi e costosissimi farmaci antitumorali. E secondo la Favo (federazione delle associazioni di volontariato in oncologia), malati e famigliari dei tre milioni di afflitti da tumore ne sborsano altri cinque di tasca loro per visite, terapie, chirurgia ricostruttiva, assistenza, spostamenti.
Per curare le malattie rare, lo Stato spende due miliardi di euro l’anno, l’1,7% della spesa sanitaria complessiva e nessuno si sogna di fare i conti in tasca ai ricoverati. E per quelle croniche, che risultano essere l’80% del totale, l’esborso è di 66 miliardi di euro (24 milioni di italiani hanno patologie varie). L’osservatorio dell’Università Cattolica, che monitora con grande cura il fenomeno, è guidato da Walter Ricciardi, uno degli esperti da virus più talebani del circo italiano. A questo punto l’obiezione dei puntigliosi è prevedibile: chi non si vaccina sceglie deliberatamente di ammalarsi o di contagiare, quindi prepari il portafoglio. Ma una simile intimazione vi sognereste mai di farla, anche sottovoce, ai malati di Aids e ai sieropositivi?
Philadelphia, Tom Hanks che si spegne lentamente, la colonna sonora di Bruce Springsteen. Parliamo esattamente di questo, di un cavallo di battaglia che negli anni 80 e 90 fu anche fortemente ideologico, sostenuto dal più destabilizzante degli slogan: «Vietato vietare». Un flagello dimenticato, non scomparso. Il sacrificio di persone che hanno sempre meritato il rispetto della stessa società che oggi, con buzzurra ferocia e la connivenza dell’intellighenzia illuminata per decreto, seppellisce i malati di Covid non vaccinati sotto i numerosi zeri del ricatto economico e del risarcimento mercantile. Come siete invecchiati male.
A costoro è bene ricordare che per ogni malato di Hiv lo Stato italiano spende 7.000 euro l’anno. E poiché la Lila (la Lega italiana per la lotta contro l’Aids) stima in 130.000 i pazienti nel 2020, l’intervento a carico del servizio sanitario è di 910 milioni. Se aggiungiamo le spese accessorie siamo al miliardo. Ogni anno, per sempre, perché le terapie non si possono interrompere. Nessuna persona dotata di equilibrio e diploma elementare di civiltà, nel 2021 in Occidente, chiederebbe mai ai malati di Aids di pagarsi le cure. Ma la barbarie del virus cinese è andata oltre e pare normale sentir risuonare il Miozzo-pensiero: «Una sanzione equivalente a un giorno di terapia intensiva». La variante Omicron ha trasformato medici di complemento in esattori delle tasse.
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L’operatrice, tutor di Gimbe, incolpa i renitenti all’iniezione per i turni massacranti in corsia. Tacendo invece sulla mancanza di personale, i tagli fatti da più governi e le promesse non mantenute in due anni di pandemia.Tutti i malati sono un costo che è giusto sostenere. Eppure i non vaccinati son definiti parassiti a cui mandare il conto.Lo speciale contiene due articoli.Martina Benedetti è l’infermiera di 29 anni che sui social ha rispolverato un selfie di due anni fa, nel quale appariva con il volto segnato dalla mascherina. Un’immagine di stanchezza da super lavoro e stress in reparto Covid, oggi «usata» per criticare la multa che sarà inflitta agli over 50 ostinati nel rifiutare il vaccino. «Cento euro, il prezzo della nostra salute. Delle nostre vite. Dei sacrifici che facciamo da due anni, soprattutto noi operatori sanitari», l’ha definito in un post diventato virale, come si dice in gergo. La giovane, che lavora al Nuovo ospedale Apuane di Massa e Carrara, lamenta che «per l’ennesima volta saremo noi frontliners a pulire tutto il fango derivante dall’assenza di decisioni forti e coraggiose. Scelte assurde che ricadranno sulle nostre schiene già gravate da due anni di fatica». Inutile aggiungere che quelle frasi sono state usate da ogni parte, per rendere ancora più odiosi i non vaccinati. Colpevoli, secondo questo governo, di seminare contagi, di provocare la diffusione di Omicron, costretti a vaccinarsi se over 50, a perdere il lavoro se non lo faranno, privati di ogni diritto e adesso stigmatizzati perché se la caverebbero con cento euro di sanzione amministrativa. Martina ha sbagliato obiettivo, doveva prendersela con il ministero della Salute. La rabbia è un bene prezioso che non va sprecato, se il fine è farsi ascoltare per giuste motivazioni. Il «fango» non sono i 3 milioni di non vaccinati in Italia che si fanno tamponi, sono ghettizzati, privati della loro dimensione sociale, culturale, adesso pure lavorativa e che se finiscono in ospedale hanno diritto di farsi curare dal momento che pagano le tasse. L’infermiera doveva usare parole durissime nei confronti di chi ha tradito il sistema sanitario italiano, con tagli continui e devastanti. Che c’entrano i senza dose, con le promesse non mantenute a medici e infermieri sotto organico ovunque, costretti a turni massacranti dopo due anni di promesse? Ripresa dai media come l’eroina che tanto ha sofferto e ancora dovrà soffrire per colpa di quei miserabili che sarebbero i no vax (da «spazzare via, un dovere» secondo il senatore forzista Maurizio Gasparri), Martina ieri ha poi avuto l’onestà di dire al Tgcom24 che gli infermieri non sono eroi. «Siamo professionisti», ha precisato. Ecco, questa doveva essere la giusta affermazione di partenza. Sono tantissime le persone che da due anni non smettono di lavorare con impegno, con dedizione, con grande sacrificio, per non far collassare il Paese sotto la mal gestione sanitaria e politica. Se mal ripagate, se inascoltate nelle loro istanze, se prese in giro e lasciate da sole «in trincea», devono reagire contro chi li ha traditi e abbandonati ad arrangiarsi, ma non smettono di essere professionisti. Non si fanno irretire, sbagliando bersaglio perché travolti dal clima di odio no vax. Tante grazie all’infermiera Martina per il suo lavoro in corsia, grazie per l’abnegazione che le venne riconosciuta anche con il premio speciale Laurentum 2020, in quanto «simbolo della straordinaria lotta dell’intero mondo sanitario contro il nemico del Covid 19» durante il periodo più difficile della pandemia. Il suo post su Facebook, nel marzo 2020, dopo l’ennesima notte di lavoro massacrante in terapia intensiva, emozionò il mondo dei social. Quel testo è stato anche interpretato dall’attrice Sandra Tedeschi. Siamo felici che malgrado i ritmi di lavoro che denuncia, Martina abbia ripreso la sua normalità di vita trovando pure il tempo di essere tutor con la Fondazione Gimbe, dove si occupa di formazione, mostrando il suo volto non segnato da mascherine. Di certo il post dell’infermiera sarà stato molto apprezzato dal presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta, che nello stesso giorno twittava: «Importi sanzioni. Guida senza cintura di sicurezza: sino a 323 euro; telefoni e dispositivi elettronici alla guida: da 165 a 661 euro; rifiuto vaccino obbligatorio: 100 euro». Ieri la notizia della collaborazione della Benedetti è comparsa sui social, con tanto di link al sito di Gimbe education che organizza corsi per tutte le professioni sanitarie. Martina figura assieme ad altri colleghi, ma era l’unica di cui non era possibile consultare il Cv. Casualmente, quella pagina era stata aggiornata proprio ieri. Non importa, la giovane fa l’infermiera e sul lavoro si occupa ancora di Covid, non solo di quello ci immaginiamo visto che i pazienti vengono ricoverati anche per altre patologie. È riuscita a pubblicare un libro sulla pandemia e «in primavera uscirà un romanzo», ha raccontato a Repubblica. «Il momento più bello? Quello del vaccino», dichiarò il 17 marzo 2021. Plurivaccinata, con soddisfazioni professionali ma anche avvilita perché medici e infermieri contano solo nell’emergenza e solo per merito loro, il simbolo della lotta al Covid poteva provarci a far vergognare questo ministero della Salute. Invece ha sprecato una bella occasione. «Vediamo nel quotidiano persone che riversano la loro frustrazione online», si è rammaricata con Repubblica. 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Così uno dei tecnici di Giuseppe Conte epurati da Mario Draghi spara alto: «Un giorno di ricovero costa 1.500 euro, c’è chi rimane 20 giorni. Si può partire da lì». Calca la mano sulla spesa, getta addosso all’antivaccinista lo stigma del parassita e nell’intervista al Corriere della Sera finisce per auspicare: «Come sanzione bisognerebbe prevedere anche l’arresto». L’approccio da oberleutnant sulla torretta non è nuovo. Sui social è di tendenza presso il popolo dei liberal(i) di complemento come in quello dei postmarxisti piddo-grillini che fanno della tolleranza civile un valore solo il martedì e il giovedì, dopo il parrucchiere. Il no vax deve pagare e ovviamente 100 euro sono un obolo ridicolo. Lo hanno ribadito («È una buffonata») Massimo Galli, Andrea Crisanti, Matteo Bassetti. La lotta al Covid diventa una questione di soldi, danè, schei anche per chi si vanta di tenere il giuramento di Ippocrate sotto il cuscino. Aveva introdotto l’alato argomento Alessio D’Amato, assessore alla Sanità della Regione Lazio trasformato in genio da alcuni media-scendiletto prima dell’imbarazzante vicenda dei dati rubati dall’Uomo ragno o dagli hacker russi: «Chi non si vaccina deve pagare il conto». Subito sostenuto dal presidente degli anestesisti Alessandro Vergallo, che aveva quantificato in 20 milioni al mese la spesa per i non vaccinati. Accantoniamo parole come umanità, solidarietà, resilienza (consumate sino allo sfinimento per l’uso su profughi e minoranze arcobaleno) e teniamo il punto sulla soluzione Miozzo, casualmente medico. Una semplice domanda: rinfaccereste la stessa spesa ai malati di tumore polmonare da fumo, ai diabetici, ai cronici e a chi è alle prese con malattie rare? Il paragone sarebbe terribile perché, come spiega l’Istituto Veronesi, il servizio sanitario nazionale oggi spende 16 miliardi l’anno per coprire diagnosi e cure oncologiche con i nuovi e costosissimi farmaci antitumorali. E secondo la Favo (federazione delle associazioni di volontariato in oncologia), malati e famigliari dei tre milioni di afflitti da tumore ne sborsano altri cinque di tasca loro per visite, terapie, chirurgia ricostruttiva, assistenza, spostamenti. Per curare le malattie rare, lo Stato spende due miliardi di euro l’anno, l’1,7% della spesa sanitaria complessiva e nessuno si sogna di fare i conti in tasca ai ricoverati. E per quelle croniche, che risultano essere l’80% del totale, l’esborso è di 66 miliardi di euro (24 milioni di italiani hanno patologie varie). L’osservatorio dell’Università Cattolica, che monitora con grande cura il fenomeno, è guidato da Walter Ricciardi, uno degli esperti da virus più talebani del circo italiano. A questo punto l’obiezione dei puntigliosi è prevedibile: chi non si vaccina sceglie deliberatamente di ammalarsi o di contagiare, quindi prepari il portafoglio. Ma una simile intimazione vi sognereste mai di farla, anche sottovoce, ai malati di Aids e ai sieropositivi? Philadelphia, Tom Hanks che si spegne lentamente, la colonna sonora di Bruce Springsteen. Parliamo esattamente di questo, di un cavallo di battaglia che negli anni 80 e 90 fu anche fortemente ideologico, sostenuto dal più destabilizzante degli slogan: «Vietato vietare». Un flagello dimenticato, non scomparso. Il sacrificio di persone che hanno sempre meritato il rispetto della stessa società che oggi, con buzzurra ferocia e la connivenza dell’intellighenzia illuminata per decreto, seppellisce i malati di Covid non vaccinati sotto i numerosi zeri del ricatto economico e del risarcimento mercantile. Come siete invecchiati male. A costoro è bene ricordare che per ogni malato di Hiv lo Stato italiano spende 7.000 euro l’anno. E poiché la Lila (la Lega italiana per la lotta contro l’Aids) stima in 130.000 i pazienti nel 2020, l’intervento a carico del servizio sanitario è di 910 milioni. Se aggiungiamo le spese accessorie siamo al miliardo. Ogni anno, per sempre, perché le terapie non si possono interrompere. Nessuna persona dotata di equilibrio e diploma elementare di civiltà, nel 2021 in Occidente, chiederebbe mai ai malati di Aids di pagarsi le cure. Ma la barbarie del virus cinese è andata oltre e pare normale sentir risuonare il Miozzo-pensiero: «Una sanzione equivalente a un giorno di terapia intensiva». La variante Omicron ha trasformato medici di complemento in esattori delle tasse.
Il ministro degli Esteri del Regno di Giordania Ayman Safadi
Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi spiega la partecipazione di Amman all’operazione Usa in Siria contro l’Isis, il ruolo della comunità drusa nella stabilità interna e l’impegno della Giordania per la pace e la sicurezza nella Striscia di Gaza. «Questi terroristi vogliono ricostituire lo Stato Islamico», avverte.
Nell’attacco alle posizioni dello Stato Islamico in Siria Washington ha colpito 70 obiettivi, neutralizzando la cellula che agiva nella provincia orientale siriana di Deir Ezzor. Questi miliziani dell’Isis erano i responsabili dell’attacco di Palmira dove avevano perso la vita tre americani, due militari e un interprete civile ed erano noti per le continue offensive con droni in questa area. L’operazione, denominata Occhio di falco, si è estesa a diverse località della Siria centrale utilizzando caccia, elicotteri d'attacco e artiglieria e agendo insieme all’aviazione della Giordania. Amman ha confermato la sua partecipazione a questa azione militare ribadendo la propria volontà di sradicare lo Stato Islamico dal Medio Oriente. Ayman Safadi è vice primo ministro e ministro degli Esteri del Regno di Giordania da quasi 9 anni ed è un diplomatico di grande esperienza.
Ministro Safadi, la partecipazione delle vostre forze aeree all’operazione degli Usa dimostra il vostro interesse ad essere protagonisti in Medio Oriente.
«Abbiamo deciso di affiancare gli statunitensi del Centcom perché riteniamo l’Isis un pericolo per tutta la nostra area e soprattutto per la Giordania. Questi terroristi hanno già cercato di infiltrare la nostra nazione, ma la loro propaganda non ha mai attecchito. La Giordania è uno dei 90 paesi che compongono la coalizione globale contro l'Isis, a cui la Siria ha recentemente aderito e questa operazione è l’attuazione pratica dei nostri principi. La nostra aviazione ha agito per impedire ai gruppi estremisti come questo di sfruttare questa regione come una rampa di lancio allo scopo di minacciare la sicurezza dei paesi vicini alla Siria e del Medio Oriente in generale, soprattutto dopo che l'Isis si è riorganizzato e ha ricostruito le sue capacità nella Siria meridionale. In troppi hanno sottovalutato la rinascita di questo network del terrorismo che è proliferato in Africa, dove gestisce traffici di armi, droga e migranti. Con i guadagni di queste attività criminali vogliono ricostituire lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, quella creatura nefasta che aveva conquistato il nord dell’Iraq e tutta la Siria orientale».
Il Medio Oriente è una regione complessa per le diversità culturali e religiose. In Giordania la convivenza sembra funzionare: come vive la sua comunità drusa questo equilibrio?
«Noi drusi siamo un gruppo etno-religioso con una lunga storia e abbiamo sempre lottato per le nazioni dove viviamo. In Giordania la comunità è piccola, ma siamo fieri di essere giordani. In Siria la situazione è complicata per i drusi che sono stati attaccati dai beduini e probabilmente anche da elementi dello Stato Islamico, il nuovo governo di Damasco deve fare di più per difendere le minoranze. Il presidente siriano Ahmed al Shara ha pubblicamente dichiarato di combattere lo Stato Islamico, ma ci sono intere province del sud e dell’est che sono fuori controllo e ci sono ancora troppe armi in Siria».
Il governo israeliano ha dichiarato di non fidarsi del nuovo regime di Damasco, qual è la posizione di Amman?
«Il presidente statunitense Donald Trump ha voluto togliere tutte le sanzioni alla Siria, aprendo un grande credito al nuovo corso. Adesso al Shara deve dimostrare di meritare questa fiducia e lo deve fare pacificando la sua nazione, la Siria è un paese con tante anime: sunniti, sciiti, cristiani e drusi. Washington sta dedicando una grande attenzione al Medio Oriente e questo è positivo. Soltanto il presidente Trump può ottenere una pace duratura e un futuro per la Striscia, la Giordania segue con estrema attenzione ciò che accade a Gaza perché circa il 50% della nostra popolazione è di origine palestinese. Noi siamo totalmente contrari a una divisione della Striscia, il territorio dei palestinese non deve essere toccato ed i confini devono restare gli stessi. La cosa più importante è garantire la sicurezza di tutti, dei palestinesi, degli israeliani ed anche delle nazioni vicine. La Giordania ha sempre represso la presenza di Hamas sul suo territorio, chiudendone gli uffici ed esiliandone i funzionari nel 1999. Negli ultimi anni abbiamo aumentato la sicurezza alle frontiere per ostacolare il contrabbando di armi, collegato ad Hamas che nel passato ha tentato di destabilizzare la Giordania».
Quale futuro per la Striscia di Gaza?
«Dobbiamo difendere la pace e ricostruire un posto dove gli abitanti di Gaza possano vivere. Il nostro sovrano ed il nostro governo hanno più volte dichiarato di essere favorevoli ad un maggior impegno degli europei nella Striscia. La Giordania ha relazioni eccellenti con l’Italia. Sua Maestà il Re Abdullah II di Giordania a marzo ha incontrato Giorgia Meloni e ha espresso apprezzamento per la solida cooperazione tra le due nazioni nell’assistenza umanitaria a Gaza. Il presidente del Consiglio italiano ha voluto sottolineare ancora una volta il ruolo svolto dalla Giordania, come una forza di pace e di dialogo determinante per il futuro di tutta l’area».
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Nuove accuse tra Cambogia e Thailandia lungo il confine conteso. Phnom Penh denuncia bombardamenti con caccia F-16, Bangkok parla di attacchi notturni cambogiani. Oltre mezzo milione di sfollati mentre proseguono i negoziati.
La crisi tra Cambogia e Thailandia torna ad aggravarsi lungo il confine conteso. Phnom Penh accusa Bangkok di aver intensificato i bombardamenti con caccia F-16, mentre le autorità thailandesi parlano di attacchi cambogiani durante la notte. Le accuse incrociate arrivano mentre sono in corso negoziati per un cessate il fuoco e il numero degli sfollati supera il mezzo milione.
Secondo il ministero della Difesa cambogiano, l’aeronautica thailandese avrebbe impiegato caccia F-16, sganciando almeno quaranta bombe nell’area del villaggio di Chok Chey. L’episodio viene descritto come un’ulteriore escalation militare in una zona già colpita da ripetuti raid. La versione di Bangkok è opposta. I media thailandesi riferiscono che, durante la notte, le forze cambogiane avrebbero condotto attacchi massicci lungo il confine nella provincia sud-orientale di Sa Kaeo, provocando danni a diverse abitazioni civili.
Nel frattempo, le due parti hanno avviato un nuovo ciclo di colloqui, iniziato mercoledì e destinato a durare quattro giorni, con l’obiettivo dichiarato di porre fine ai combattimenti. L’incontro si svolge in territorio thailandese, presso un valico di frontiera nella provincia di Chanthaburi, secondo quanto riferito da funzionari di Phnom Penh. Sul piano diplomatico si registra anche un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Il primo ministro cambogiano Hun Manet ha reso noto di aver avuto un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano Marco Rubio, durante il quale si è discusso di «come garantire un cessate il fuoco lungo il confine tra Cambogia e Thailandia».
Alla base delle tensioni c’è una disputa storica sulla delimitazione di circa 800 chilometri di confine, che affonda le radici nell’epoca coloniale. Il confronto armato si è riacceso con forza nel corso dell’anno. A luglio, cinque giorni di scontri avevano provocato circa 40 morti e costretto 300.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni, prima di una tregua che successivamente è fallita.
L’impatto umanitario resta pesante. Secondo le autorità cambogiane, oltre mezzo milione di persone è stato costretto a lasciare case e scuole nelle ultime due settimane di combattimenti. In una nota, il ministero dell’Interno di Phnom Penh ha parlato di 518.611 sfollati, denunciando che «oltre mezzo milione di cambogiani, tra cui donne e bambini, stanno soffrendo gravi difficoltà a causa dello sfollamento forzato dalle loro case e scuole per sfuggire al fuoco di artiglieria, ai razzi e agli attacchi aerei dei caccia F-16 thailandesi». In precedenza, Bangkok aveva indicato in circa 400.000 il numero degli sfollati sul proprio territorio. Il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri, ha affermato che il numero di persone accolte nei rifugi è in diminuzione, pur restando superiore alle 200.000 unità. Kongsiri ha inoltre invitato gli abitanti dei villaggi a rientrare con cautela, avvertendo che «potrebbero esserci ancora mine o bombe pericolose». Dal punto di vista militare, Phnom Penh ha sottolineato come le forze thailandesi abbiano continuato le operazioni dall’alba del 21 dicembre, segnalando combattimenti anche nei pressi del tempio khmer di Preah Vihear, risalente a 900 anni fa. La Cambogia ha inoltre ricordato il divario di risorse tra i due eserciti, a vantaggio di Bangkok. Secondo i dati ufficiali, il bilancio complessivo degli scontri è salito ad almeno 41 morti, di cui 22 thailandesi e 19 cambogiani. Le ostilità più recenti sono riprese il 12 dicembre, mentre una precedente ondata di violenze, a luglio, aveva causato 43 vittime in pochi giorni.
La crisi è ora all’attenzione dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. I ministri degli Esteri dell’Asean, compresi quelli di Thailandia e Cambogia, si riuniscono il 22 dicembre a Kuala Lumpur per discutere del conflitto. Entrambi i governi hanno espresso l’auspicio che l’incontro contribuisca a ridurre le tensioni. La portavoce del ministero degli Esteri thailandese, Maratee Nalita Andamo, ha definito il vertice «un’importante opportunità per entrambe le parti». Bangkok ha tuttavia ribadito alcune condizioni preliminari, chiedendo a Phnom Penh di annunciare per prima un cessate il fuoco e di cooperare nelle operazioni di sminamento lungo il confine. In un comunicato, il governo thailandese ha precisato che un accordo potrà essere raggiunto «solo se basato principalmente su una valutazione della situazione sul campo da parte dell’esercito thailandese».
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L’obiettivo è evitare la delocalizzazione della produzione e contrastare l’effetto dei costi energetici elevati sulla competitività europea. La misura riguarda principalmente i settori dell’acciaio, della chimica e dell’automotive, fortemente influenzati dalle bollette elettriche, che in Germania risultano quasi tre volte superiori rispetto agli Stati Uniti. Le autorità tedesche hanno già avviato le trattative con la Commissione Europea per ottenere la compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato. Per la Slovacchia, strettamente integrata nelle filiere tedesche, la mossa può rappresentare una sfida competitiva: se le imprese tedesche recuperano tranquillità sui costi dell’energia, le aziende slovacche del comparto manifatturiero esportatrici potrebbero trovarsi a dover far fronte a maggiori pressioni sui costi. Lo stesso potrebbe accadere in Italia.
Prima della Germania il Regno Unito, dove un “price cap” è stato stabilito nel 2019 dall’allora governo May. Dal gennaio 2019 l’Ofgem (l’equivalente della nostra Arera) applica un tetto alla spesa massima dei consumatori di trimestre in trimestre. Ma attenzione: non a tutti i clienti, bensì solo ai sottoscrittori delle “standard variable tariffs”, cioè delle tariffe a prezzo variabile molto basilari, dedicate ai clienti meno abituati a cercare tariffe sul mercato libero, e per questo da anni con lo stesso operatore che a volte approfitta di questo immobilismo applicando prezzi piuttosto elevati.
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