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2022-01-09
Sanità azzoppata e assunzioni ferme ma l’infermiera si lagna dei no vax
Martina Benedetti (Ansa)
Martina Benedetti è l’infermiera di 29 anni che sui social ha rispolverato un selfie di due anni fa, nel quale appariva con il volto segnato dalla mascherina. Un’immagine di stanchezza da super lavoro e stress in reparto Covid, oggi «usata» per criticare la multa che sarà inflitta agli over 50 ostinati nel rifiutare il vaccino. «Cento euro, il prezzo della nostra salute. Delle nostre vite. Dei sacrifici che facciamo da due anni, soprattutto noi operatori sanitari», l’ha definito in un post diventato virale, come si dice in gergo.
La giovane, che lavora al Nuovo ospedale Apuane di Massa e Carrara, lamenta che «per l’ennesima volta saremo noi frontliners a pulire tutto il fango derivante dall’assenza di decisioni forti e coraggiose. Scelte assurde che ricadranno sulle nostre schiene già gravate da due anni di fatica». Inutile aggiungere che quelle frasi sono state usate da ogni parte, per rendere ancora più odiosi i non vaccinati.
Colpevoli, secondo questo governo, di seminare contagi, di provocare la diffusione di Omicron, costretti a vaccinarsi se over 50, a perdere il lavoro se non lo faranno, privati di ogni diritto e adesso stigmatizzati perché se la caverebbero con cento euro di sanzione amministrativa. Martina ha sbagliato obiettivo, doveva prendersela con il ministero della Salute. La rabbia è un bene prezioso che non va sprecato, se il fine è farsi ascoltare per giuste motivazioni.
Il «fango» non sono i 3 milioni di non vaccinati in Italia che si fanno tamponi, sono ghettizzati, privati della loro dimensione sociale, culturale, adesso pure lavorativa e che se finiscono in ospedale hanno diritto di farsi curare dal momento che pagano le tasse. L’infermiera doveva usare parole durissime nei confronti di chi ha tradito il sistema sanitario italiano, con tagli continui e devastanti. Che c’entrano i senza dose, con le promesse non mantenute a medici e infermieri sotto organico ovunque, costretti a turni massacranti dopo due anni di promesse?
Ripresa dai media come l’eroina che tanto ha sofferto e ancora dovrà soffrire per colpa di quei miserabili che sarebbero i no vax (da «spazzare via, un dovere» secondo il senatore forzista Maurizio Gasparri), Martina ieri ha poi avuto l’onestà di dire al Tgcom24 che gli infermieri non sono eroi. «Siamo professionisti», ha precisato. Ecco, questa doveva essere la giusta affermazione di partenza. Sono tantissime le persone che da due anni non smettono di lavorare con impegno, con dedizione, con grande sacrificio, per non far collassare il Paese sotto la mal gestione sanitaria e politica.
Se mal ripagate, se inascoltate nelle loro istanze, se prese in giro e lasciate da sole «in trincea», devono reagire contro chi li ha traditi e abbandonati ad arrangiarsi, ma non smettono di essere professionisti. Non si fanno irretire, sbagliando bersaglio perché travolti dal clima di odio no vax. Tante grazie all’infermiera Martina per il suo lavoro in corsia, grazie per l’abnegazione che le venne riconosciuta anche con il premio speciale Laurentum 2020, in quanto «simbolo della straordinaria lotta dell’intero mondo sanitario contro il nemico del Covid 19» durante il periodo più difficile della pandemia.
Il suo post su Facebook, nel marzo 2020, dopo l’ennesima notte di lavoro massacrante in terapia intensiva, emozionò il mondo dei social. Quel testo è stato anche interpretato dall’attrice Sandra Tedeschi. Siamo felici che malgrado i ritmi di lavoro che denuncia, Martina abbia ripreso la sua normalità di vita trovando pure il tempo di essere tutor con la Fondazione Gimbe, dove si occupa di formazione, mostrando il suo volto non segnato da mascherine. Di certo il post dell’infermiera sarà stato molto apprezzato dal presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta, che nello stesso giorno twittava: «Importi sanzioni. Guida senza cintura di sicurezza: sino a 323 euro; telefoni e dispositivi elettronici alla guida: da 165 a 661 euro; rifiuto vaccino obbligatorio: 100 euro».
Ieri la notizia della collaborazione della Benedetti è comparsa sui social, con tanto di link al sito di Gimbe education che organizza corsi per tutte le professioni sanitarie. Martina figura assieme ad altri colleghi, ma era l’unica di cui non era possibile consultare il Cv. Casualmente, quella pagina era stata aggiornata proprio ieri.
Non importa, la giovane fa l’infermiera e sul lavoro si occupa ancora di Covid, non solo di quello ci immaginiamo visto che i pazienti vengono ricoverati anche per altre patologie. È riuscita a pubblicare un libro sulla pandemia e «in primavera uscirà un romanzo», ha raccontato a Repubblica. «Il momento più bello? Quello del vaccino», dichiarò il 17 marzo 2021. Plurivaccinata, con soddisfazioni professionali ma anche avvilita perché medici e infermieri contano solo nell’emergenza e solo per merito loro, il simbolo della lotta al Covid poteva provarci a far vergognare questo ministero della Salute. Invece ha sprecato una bella occasione. «Vediamo nel quotidiano persone che riversano la loro frustrazione online», si è rammaricata con Repubblica. L’infermiera Benedetti non ha fatto di meglio.
Rinfaccereste le spese di ricoveri e terapie anche ai sieropositivi?
Lui è un sincero democratico, quindi auspica «una sanzione equivalente a un giorno di terapia intensiva». Siamo sui 1.500 euro, tanto per capirci. Il destinatario della multa sarebbe l’intubato no-vax sfuggito all’inoculazione. E il vigile inflessibile Agostino Miozzo, ex coordinatore del Comitato tecnico scientifico da qualche mese in astinenza da dichiarazioni napoleoniche. I riflettori si spengono per tutti, ma la fatica ad accettare le penombre è umana. Così uno dei tecnici di Giuseppe Conte epurati da Mario Draghi spara alto: «Un giorno di ricovero costa 1.500 euro, c’è chi rimane 20 giorni. Si può partire da lì». Calca la mano sulla spesa, getta addosso all’antivaccinista lo stigma del parassita e nell’intervista al Corriere della Sera finisce per auspicare: «Come sanzione bisognerebbe prevedere anche l’arresto». L’approccio da oberleutnant sulla torretta non è nuovo. Sui social è di tendenza presso il popolo dei liberal(i) di complemento come in quello dei postmarxisti piddo-grillini che fanno della tolleranza civile un valore solo il martedì e il giovedì, dopo il parrucchiere. Il no vax deve pagare e ovviamente 100 euro sono un obolo ridicolo. Lo hanno ribadito («È una buffonata») Massimo Galli, Andrea Crisanti, Matteo Bassetti. La lotta al Covid diventa una questione di soldi, danè, schei anche per chi si vanta di tenere il giuramento di Ippocrate sotto il cuscino. Aveva introdotto l’alato argomento Alessio D’Amato, assessore alla Sanità della Regione Lazio trasformato in genio da alcuni media-scendiletto prima dell’imbarazzante vicenda dei dati rubati dall’Uomo ragno o dagli hacker russi: «Chi non si vaccina deve pagare il conto». Subito sostenuto dal presidente degli anestesisti Alessandro Vergallo, che aveva quantificato in 20 milioni al mese la spesa per i non vaccinati.
Accantoniamo parole come umanità, solidarietà, resilienza (consumate sino allo sfinimento per l’uso su profughi e minoranze arcobaleno) e teniamo il punto sulla soluzione Miozzo, casualmente medico. Una semplice domanda: rinfaccereste la stessa spesa ai malati di tumore polmonare da fumo, ai diabetici, ai cronici e a chi è alle prese con malattie rare? Il paragone sarebbe terribile perché, come spiega l’Istituto Veronesi, il servizio sanitario nazionale oggi spende 16 miliardi l’anno per coprire diagnosi e cure oncologiche con i nuovi e costosissimi farmaci antitumorali. E secondo la Favo (federazione delle associazioni di volontariato in oncologia), malati e famigliari dei tre milioni di afflitti da tumore ne sborsano altri cinque di tasca loro per visite, terapie, chirurgia ricostruttiva, assistenza, spostamenti.
Per curare le malattie rare, lo Stato spende due miliardi di euro l’anno, l’1,7% della spesa sanitaria complessiva e nessuno si sogna di fare i conti in tasca ai ricoverati. E per quelle croniche, che risultano essere l’80% del totale, l’esborso è di 66 miliardi di euro (24 milioni di italiani hanno patologie varie). L’osservatorio dell’Università Cattolica, che monitora con grande cura il fenomeno, è guidato da Walter Ricciardi, uno degli esperti da virus più talebani del circo italiano. A questo punto l’obiezione dei puntigliosi è prevedibile: chi non si vaccina sceglie deliberatamente di ammalarsi o di contagiare, quindi prepari il portafoglio. Ma una simile intimazione vi sognereste mai di farla, anche sottovoce, ai malati di Aids e ai sieropositivi?
Philadelphia, Tom Hanks che si spegne lentamente, la colonna sonora di Bruce Springsteen. Parliamo esattamente di questo, di un cavallo di battaglia che negli anni 80 e 90 fu anche fortemente ideologico, sostenuto dal più destabilizzante degli slogan: «Vietato vietare». Un flagello dimenticato, non scomparso. Il sacrificio di persone che hanno sempre meritato il rispetto della stessa società che oggi, con buzzurra ferocia e la connivenza dell’intellighenzia illuminata per decreto, seppellisce i malati di Covid non vaccinati sotto i numerosi zeri del ricatto economico e del risarcimento mercantile. Come siete invecchiati male.
A costoro è bene ricordare che per ogni malato di Hiv lo Stato italiano spende 7.000 euro l’anno. E poiché la Lila (la Lega italiana per la lotta contro l’Aids) stima in 130.000 i pazienti nel 2020, l’intervento a carico del servizio sanitario è di 910 milioni. Se aggiungiamo le spese accessorie siamo al miliardo. Ogni anno, per sempre, perché le terapie non si possono interrompere. Nessuna persona dotata di equilibrio e diploma elementare di civiltà, nel 2021 in Occidente, chiederebbe mai ai malati di Aids di pagarsi le cure. Ma la barbarie del virus cinese è andata oltre e pare normale sentir risuonare il Miozzo-pensiero: «Una sanzione equivalente a un giorno di terapia intensiva». La variante Omicron ha trasformato medici di complemento in esattori delle tasse.
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L’operatrice, tutor di Gimbe, incolpa i renitenti all’iniezione per i turni massacranti in corsia. Tacendo invece sulla mancanza di personale, i tagli fatti da più governi e le promesse non mantenute in due anni di pandemia.Tutti i malati sono un costo che è giusto sostenere. Eppure i non vaccinati son definiti parassiti a cui mandare il conto.Lo speciale contiene due articoli.Martina Benedetti è l’infermiera di 29 anni che sui social ha rispolverato un selfie di due anni fa, nel quale appariva con il volto segnato dalla mascherina. Un’immagine di stanchezza da super lavoro e stress in reparto Covid, oggi «usata» per criticare la multa che sarà inflitta agli over 50 ostinati nel rifiutare il vaccino. «Cento euro, il prezzo della nostra salute. Delle nostre vite. Dei sacrifici che facciamo da due anni, soprattutto noi operatori sanitari», l’ha definito in un post diventato virale, come si dice in gergo. La giovane, che lavora al Nuovo ospedale Apuane di Massa e Carrara, lamenta che «per l’ennesima volta saremo noi frontliners a pulire tutto il fango derivante dall’assenza di decisioni forti e coraggiose. Scelte assurde che ricadranno sulle nostre schiene già gravate da due anni di fatica». Inutile aggiungere che quelle frasi sono state usate da ogni parte, per rendere ancora più odiosi i non vaccinati. Colpevoli, secondo questo governo, di seminare contagi, di provocare la diffusione di Omicron, costretti a vaccinarsi se over 50, a perdere il lavoro se non lo faranno, privati di ogni diritto e adesso stigmatizzati perché se la caverebbero con cento euro di sanzione amministrativa. Martina ha sbagliato obiettivo, doveva prendersela con il ministero della Salute. La rabbia è un bene prezioso che non va sprecato, se il fine è farsi ascoltare per giuste motivazioni. Il «fango» non sono i 3 milioni di non vaccinati in Italia che si fanno tamponi, sono ghettizzati, privati della loro dimensione sociale, culturale, adesso pure lavorativa e che se finiscono in ospedale hanno diritto di farsi curare dal momento che pagano le tasse. L’infermiera doveva usare parole durissime nei confronti di chi ha tradito il sistema sanitario italiano, con tagli continui e devastanti. Che c’entrano i senza dose, con le promesse non mantenute a medici e infermieri sotto organico ovunque, costretti a turni massacranti dopo due anni di promesse? Ripresa dai media come l’eroina che tanto ha sofferto e ancora dovrà soffrire per colpa di quei miserabili che sarebbero i no vax (da «spazzare via, un dovere» secondo il senatore forzista Maurizio Gasparri), Martina ieri ha poi avuto l’onestà di dire al Tgcom24 che gli infermieri non sono eroi. «Siamo professionisti», ha precisato. Ecco, questa doveva essere la giusta affermazione di partenza. Sono tantissime le persone che da due anni non smettono di lavorare con impegno, con dedizione, con grande sacrificio, per non far collassare il Paese sotto la mal gestione sanitaria e politica. Se mal ripagate, se inascoltate nelle loro istanze, se prese in giro e lasciate da sole «in trincea», devono reagire contro chi li ha traditi e abbandonati ad arrangiarsi, ma non smettono di essere professionisti. Non si fanno irretire, sbagliando bersaglio perché travolti dal clima di odio no vax. Tante grazie all’infermiera Martina per il suo lavoro in corsia, grazie per l’abnegazione che le venne riconosciuta anche con il premio speciale Laurentum 2020, in quanto «simbolo della straordinaria lotta dell’intero mondo sanitario contro il nemico del Covid 19» durante il periodo più difficile della pandemia. Il suo post su Facebook, nel marzo 2020, dopo l’ennesima notte di lavoro massacrante in terapia intensiva, emozionò il mondo dei social. Quel testo è stato anche interpretato dall’attrice Sandra Tedeschi. Siamo felici che malgrado i ritmi di lavoro che denuncia, Martina abbia ripreso la sua normalità di vita trovando pure il tempo di essere tutor con la Fondazione Gimbe, dove si occupa di formazione, mostrando il suo volto non segnato da mascherine. Di certo il post dell’infermiera sarà stato molto apprezzato dal presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta, che nello stesso giorno twittava: «Importi sanzioni. Guida senza cintura di sicurezza: sino a 323 euro; telefoni e dispositivi elettronici alla guida: da 165 a 661 euro; rifiuto vaccino obbligatorio: 100 euro». Ieri la notizia della collaborazione della Benedetti è comparsa sui social, con tanto di link al sito di Gimbe education che organizza corsi per tutte le professioni sanitarie. Martina figura assieme ad altri colleghi, ma era l’unica di cui non era possibile consultare il Cv. Casualmente, quella pagina era stata aggiornata proprio ieri. Non importa, la giovane fa l’infermiera e sul lavoro si occupa ancora di Covid, non solo di quello ci immaginiamo visto che i pazienti vengono ricoverati anche per altre patologie. È riuscita a pubblicare un libro sulla pandemia e «in primavera uscirà un romanzo», ha raccontato a Repubblica. «Il momento più bello? Quello del vaccino», dichiarò il 17 marzo 2021. Plurivaccinata, con soddisfazioni professionali ma anche avvilita perché medici e infermieri contano solo nell’emergenza e solo per merito loro, il simbolo della lotta al Covid poteva provarci a far vergognare questo ministero della Salute. Invece ha sprecato una bella occasione. «Vediamo nel quotidiano persone che riversano la loro frustrazione online», si è rammaricata con Repubblica. 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Così uno dei tecnici di Giuseppe Conte epurati da Mario Draghi spara alto: «Un giorno di ricovero costa 1.500 euro, c’è chi rimane 20 giorni. Si può partire da lì». Calca la mano sulla spesa, getta addosso all’antivaccinista lo stigma del parassita e nell’intervista al Corriere della Sera finisce per auspicare: «Come sanzione bisognerebbe prevedere anche l’arresto». L’approccio da oberleutnant sulla torretta non è nuovo. Sui social è di tendenza presso il popolo dei liberal(i) di complemento come in quello dei postmarxisti piddo-grillini che fanno della tolleranza civile un valore solo il martedì e il giovedì, dopo il parrucchiere. Il no vax deve pagare e ovviamente 100 euro sono un obolo ridicolo. Lo hanno ribadito («È una buffonata») Massimo Galli, Andrea Crisanti, Matteo Bassetti. La lotta al Covid diventa una questione di soldi, danè, schei anche per chi si vanta di tenere il giuramento di Ippocrate sotto il cuscino. Aveva introdotto l’alato argomento Alessio D’Amato, assessore alla Sanità della Regione Lazio trasformato in genio da alcuni media-scendiletto prima dell’imbarazzante vicenda dei dati rubati dall’Uomo ragno o dagli hacker russi: «Chi non si vaccina deve pagare il conto». Subito sostenuto dal presidente degli anestesisti Alessandro Vergallo, che aveva quantificato in 20 milioni al mese la spesa per i non vaccinati. Accantoniamo parole come umanità, solidarietà, resilienza (consumate sino allo sfinimento per l’uso su profughi e minoranze arcobaleno) e teniamo il punto sulla soluzione Miozzo, casualmente medico. Una semplice domanda: rinfaccereste la stessa spesa ai malati di tumore polmonare da fumo, ai diabetici, ai cronici e a chi è alle prese con malattie rare? Il paragone sarebbe terribile perché, come spiega l’Istituto Veronesi, il servizio sanitario nazionale oggi spende 16 miliardi l’anno per coprire diagnosi e cure oncologiche con i nuovi e costosissimi farmaci antitumorali. E secondo la Favo (federazione delle associazioni di volontariato in oncologia), malati e famigliari dei tre milioni di afflitti da tumore ne sborsano altri cinque di tasca loro per visite, terapie, chirurgia ricostruttiva, assistenza, spostamenti. Per curare le malattie rare, lo Stato spende due miliardi di euro l’anno, l’1,7% della spesa sanitaria complessiva e nessuno si sogna di fare i conti in tasca ai ricoverati. E per quelle croniche, che risultano essere l’80% del totale, l’esborso è di 66 miliardi di euro (24 milioni di italiani hanno patologie varie). L’osservatorio dell’Università Cattolica, che monitora con grande cura il fenomeno, è guidato da Walter Ricciardi, uno degli esperti da virus più talebani del circo italiano. A questo punto l’obiezione dei puntigliosi è prevedibile: chi non si vaccina sceglie deliberatamente di ammalarsi o di contagiare, quindi prepari il portafoglio. Ma una simile intimazione vi sognereste mai di farla, anche sottovoce, ai malati di Aids e ai sieropositivi? Philadelphia, Tom Hanks che si spegne lentamente, la colonna sonora di Bruce Springsteen. Parliamo esattamente di questo, di un cavallo di battaglia che negli anni 80 e 90 fu anche fortemente ideologico, sostenuto dal più destabilizzante degli slogan: «Vietato vietare». Un flagello dimenticato, non scomparso. Il sacrificio di persone che hanno sempre meritato il rispetto della stessa società che oggi, con buzzurra ferocia e la connivenza dell’intellighenzia illuminata per decreto, seppellisce i malati di Covid non vaccinati sotto i numerosi zeri del ricatto economico e del risarcimento mercantile. Come siete invecchiati male. A costoro è bene ricordare che per ogni malato di Hiv lo Stato italiano spende 7.000 euro l’anno. E poiché la Lila (la Lega italiana per la lotta contro l’Aids) stima in 130.000 i pazienti nel 2020, l’intervento a carico del servizio sanitario è di 910 milioni. Se aggiungiamo le spese accessorie siamo al miliardo. Ogni anno, per sempre, perché le terapie non si possono interrompere. Nessuna persona dotata di equilibrio e diploma elementare di civiltà, nel 2021 in Occidente, chiederebbe mai ai malati di Aids di pagarsi le cure. Ma la barbarie del virus cinese è andata oltre e pare normale sentir risuonare il Miozzo-pensiero: «Una sanzione equivalente a un giorno di terapia intensiva». La variante Omicron ha trasformato medici di complemento in esattori delle tasse.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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