
Nonostante le passerelle di Antonio Banderas e Javier Bardem in favore di Open arms, il premier spagnolo resta in vacanza e snobba le Ong. Gli attivisti, del resto, sanno bene che le leggi iberiche sono ben più severe di quelle contenute nel nostro decreto Sicurezza bis.Quello che la nave Proactiva Open arms, battente bandiera spagnola, vuole dal suo Paese l'ha detto chiaramente la Ong ieri al Mundo: «Pedro Sánchez deve farsi promotore della ripartizione dei migranti in Europa». L'imbarcazione, che da tredici giorni galleggia nel Mediterraneo con a bordo 151 profughi, non ha alcuna intenzione di puntare su un porto iberico «impiegando quattro giorni e rischiando di essere bloccata, senza più poter ripartire», ha dichiarato al quotidiano spagnolo. In realtà, oltre al fermo del barcone, c'è ben altro che spaventa Óscar Camps. Il catalano fondatore di Open arms sa che dovrà pagare una multa di minimo 300.000 euro fino a un massimo di 901.000, per aver trasgredito l'ordine di non salvare migranti. Un divieto del governo spagnolo giunto a gennaio di quest'anno e che aveva bloccato per tre mesi la nave, il cui capitano verrà anche sospeso dal titolo professionale marittimo per aver trasgredito l'ordine. Una multa salatissima attende la Ong al suo rientro a casa, altro che i 50.000 euro al massimo del Decreto sicurezza bis previsti per le navi di soccorso in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane. Open arms preferisce stazionare al largo di Lampedusa sfidando l'Italia e lanciando, oltre a messaggi all'Unione europea, video che dovrebbero scuotere l'immobilismo spagnolo, come gli ultimi appelli delle celebrities del grande schermo Antonio Banderas e Javier Bardem, dopo la passerella tra i migranti di Richard Gere. Il premier Pedro Sánchez però non risponde, è in vacanza. Meritato riposo con la famiglia, prima di sapere che cosa gli riserverà l'autunno politico, nella lussuosa semplicità della finca Las Marismillas nel parco naturale di Doñana, profondo Sud dell'Andalusia, due passi dall'Africa. Giusto un anno fa, nella sede estiva di rappresentanza del governo spagnolo, immersa in 50.000 ettari tra boschi e macchia mediterranea, paludi, lagune e costata 3.682.362 euro di fondi europei per renderla confortevole, l'allora neo eletto premier socialista aveva ospitato la cancelliera tedesca Angela Merkel. Conversarono di politica europea e di migranti, passeggiando sulle dune, ma già in quel mese Sánchez aveva cominciato a cambiare idea in fatto di accoglienza, dopo la grande solidarietà ostentata con Aquarius e Open arms appena insediatosi alla Moncloa per farsi bello davanti a Macron e Merkel e denigrare Salvini. Gli 87 migranti che il 9 agosto 2018 finirono dirottati sul porto di Algeciras in provincia di Cadice, pochi chilometri dal luogo di villeggiatura della cancelliera con il premier spagnolo, sperimentarono il rapido cambio di politica. Furono trattati «come ogni altro clandestino che cerca di sbarcare sul continente con mezzi di fortuna». Da un paio di giorni, sui social di Open arms sta circolando un tweet di Pedro Sánchez del 13 aprile 2018, un mese e mezzo prima che il segretario generale del Psoe diventasse il nuovo premier. «Migliaia di persone muoiono ogni anno nel Mediterraneo e migliaia vengono salvate grazie al lavoro delle Ong. Il governo di Rajoy deve assistere alla nave di Open arms e impegnarsi in una buona cooperazione e politica umanitaria nell'Ue. Dobbiamo fermare questo dramma», scriveva Sánchez. Il governo di Mariano Rajoy venne sfiduciato il primo giugno, il nuovo premier fece in fretta a cambiare idea in tema di migrazione. «Riteniamo che la Spagna sia il Paese», membro dell'Europa, «più adatto» a coordinare la distribuzione dei migranti in Europa, «perché è il Paese di origine della Ong» ha detto nel suo messaggio Bardem, consorte di Penélope Cruz, altro orgoglio del cinema spagnolo. ll ministro delle Finanze, María Jesús Montero, rompendo il silenzio della Moncloa, in un'intervista televisiva ha dichiarato che «al governo spagnolo non si può fare alcun rimprovero perché quello dei migranti è un problema di tutta la Ue». Open arms «deve essere accolta dal porto sicuro più vicino a trova», ha scandito Montero, quindi l'Italia deve far sbarcare i 151 profughi a Lampedusa. Madrid è sorda ad ogni richiesta di Open arms, respinge anche l'obbligo di occuparsi dei minori a bordo come aveva sollecitato il capitano Marc Reig. Il comandante «non ha la competenza legale o l'autorità» per chiedere asilo per i 31 minori recuperati in mare, ha risposto il ministro dello Sviluppo José Luis Ábalos. Il ministro socialista, ribadendo che Open arms non ha chiesto di poter sbarcare in un porto spagnolo (ma si è guardato bene dal dire perché, per la multa spropositata che attende la Ong), si è lamentato delle accuse di indifferenza rivolte al suo governo e si è detto «profondamente irritato e dispiaciuto per la situazione disumana» in cui versano i profughi.Intanto, ieri, il tribunale dei minori di Palermo ha scritto ai ministri italiani per chiedere «di conoscere quali provvedimenti intendono adottare in osservanza della normativa internazionale» circa i minorenni a bordo, facendo presente che vietare loro l'ingresso «equivale ad un respingimento o diniego di ingresso ad un valico di frontiera». Il ministro dell'Interno Matteo Salvini, in ogni caso, ha twittato dal Viminale: «Al lavoro al ministero da stamane per evitare lo sbarco di oltre 500 immigrati a bordo delle navi di due Ong, una francese e una spagnola». Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha fatto un appello al premier Conte «per uno sbocco immediato di una soluzione divenuta insostenibile» e ha definito i migranti come «tenuti in ostaggio» da Salvini.
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La transizione energetica non è più un concetto astratto, ma una realtà che interroga aziende, governi e cittadini. Se ne è discusso al primo panel dell’evento de La Verità al Gallia di Milano, dedicato a «Opportunità, sviluppo e innovazione del settore energetico. Hub Italia», con il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, la direttrice Ingegneria e realizzazione di Progetti di Terna Maria Rosaria Guarniere e la responsabile ESG Stakeholders & Just Transition di Enel Maria Cristina Papetti.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Giuseppe Cruciani (Ansa)
Il giornalista: «In tv l’intellighenzia progressista mostrifica la vittima. Bisognerebbe scendere in piazza in difesa del libero pensiero: vedremmo chi davvero vuole il dialogo».