2023-12-21
A Roggero 17 anni, allo zio di Saman 14. È il momento di cambiare queste leggi
Lo zio di Saman Abbas in aula a Reggio Emilia (Ansa)
La riforma della giustizia non può occuparsi solo di intercettazioni o separazione delle carriere. Serve un modo per avere sentenze rapide ed eque. I pronunciamenti su Grinzane e Novellara lo dimostrano.Non so quando la riforma della Giustizia più volte annunciata dal ministro Carlo Nordio arriverà in porto. Tuttavia, sono certo che quando ciò avverrà sarà sempre tardi. Non soltanto: temo pure che, come spesso è capitato in passato, le nuove norme, tutte incentrate su intercettazioni sì e intercettazioni no, su carriere divise o unite per giudici e pm, alla fine cambieranno poco di quello che interessa agli italiani. I quali non sono appassionati dal sapere come e se sono applicati i test attitudinali che dovrebbero valutare un magistrato, ma vorrebbero solo una giustizia rapida e soprattutto giusta. Le mie osservazioni vi paiono delle banalità? A me non sembra, soprattutto dopo le ultime sentenze di cui abbiamo avuto notizia. La prima è quella che riguarda un gioielliere plurirapinato e anche malmenato, che all’ultimo assalto di tre malviventi ha reagito sparando e colpendo a morte due banditi e ferendone un terzo. Il tribunale lo ha condannato in primo grado a 17 anni di carcere e a un risarcimento alle famiglie delle vittime di circa mezzo milione di euro. Soldi che si aggiungono ai 300.000 già versati spontaneamente dal poveretto. Perché tanto rigore? Secondo i giudici, quello del negoziante di Grinzane è un duplice omicidio volontario, perché l’uomo non si è limitato a farsi rapinare stando buono buono nella sua gioielleria, ma dopo aver visto aggredire la moglie e aver rimirato una pistola puntata alla fronte, una volta che i criminali gli hanno voltato le spalle arraffando tutto ciò che avevano potuto, li ha inseguiti e ha sparato, uccidendoli. Condannare a 17 anni un uomo che ne ha quasi 70 significa dargli l’ergastolo, e stabilire una provvisionale di 800.000 euro equivale a mettere sul lastrico lui e la sua famiglia. Tutto ciò, sia chiaro, per aver reagito durante una rapina. Già questo sarebbe argomento per una riforma che definisca chiaramente il diritto alla legittima difesa. Però poi uno legge la sentenza che il tribunale di Reggio Emilia ha inflitto allo zio di Saman Abbas, la ragazza pachistana che per il solo motivo di non voler sposare l’uomo scelto dal padre è stata assassinata e sepolta in una fossa nella campagna di Novellara, e rimane basito. Sono ovviamente curioso di leggere le motivazioni con cui i giudici hanno dato all’uomo, accusato di aver ucciso la nipote di 14 anni, una pena inferiore a quella di un gioielliere che si è difeso dai rapinatori. Ma anche senza sapere quali artifizi giuridici e quali attenuanti si è inventato chi ha emesso la sentenza, trovo incredibile il verdetto. Come si fa infatti a escludere la premeditazione, quando si sono condannati all’ergastolo i mandanti dell’omicidio, ossia il padre e la madre? La storia è nota: i genitori di Saman, ragazza che voleva vivere la sua vita e fidanzarsi con chi le piaceva, a un certo punto hanno deciso che per non sconfessare un matrimonio combinato in Pakistan, la figlia dovesse morire. Una decisione presa in famiglia, con il consenso di tutti o quasi i componenti. L’unico a opporsi, o meglio a non partecipare all’esecuzione, è il fratellino di Saman, il quale dopo la sparizione della sorella racconta tutto ai carabinieri, che aprono l’inchiesta. Il resoconto del giovane, seppur dilaniato tra la voglia di rendere giustizia alla sorella e quella di non rompere i legami con la sua famiglia, è stato netto. Padre e madre, d’accordo con altri parenti, hanno accompagnato la figlia alla morte, consegnandola allo zio, il quale si sarebbe poi incaricato di spezzare il collo alla ragazza e di seppellirla in modo che non fosse ritrovata. Come si fa a dire che un assassinio del genere non è premeditato? Come è possibile concedere il patteggiamento e uno sconto di pena? E non ditemi che lo prevede la legge, perché se il codice penale punisce di più un gioielliere che si difende e meno uno zio che strangola la nipote, vuol dire che la legge è sbagliata e va cambiata. C’è però un’altra osservazione che mi preme. Per settimane, dopo l’assassinio di Giulia Cecchettin, abbiamo dovuto subire un dibattito sul patriarcato e sulle colpe degli uomini nei confronti delle donne. Ogni maschio, secondo questa tesi, avrebbe dovuto chiedere scusa, anche se non responsabile di nulla. Però, di fronte a un omicidio che è chiaramente frutto di una concezione patriarcale della famiglia e della libertà oltremodo condizionata della donna, non ho sentito levarsi una voce. Zitte le femministe, che pure hanno sfilato contro il patriarcato che affligge - per colpa d’Israele, ovvio - le donne palestinesi. Bocca chiusa da parte di tutti i commentatori di pronto intervento che di solito invadono le tv. Saman è vittima del patriarcato, ma non di un patriarcato italiano, bensì di quello islamico, che non concede a chi nasce femmina nessun diritto se non quello di coprirsi fino a sparire e di camminare tre passi dietro al marito e fare figli. Anche Vanessa Ballan, la giovane mamma uccisa con il figlio che portava in grembo vicino a Treviso, è vittima di un immigrato, molto probabilmente anch’egli islamico, in quanto di origine kosovara. Ma anche per lei, come per Saman, non si è mosso nessuno. Forse le attiviste anti patriarcato in servizio permanente si sono prese una pausa per le feste natalizie. Ah, dimenticavo, quando la cultura woke attaccherà Babbo Natale, perché uomo?
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Flaminia Camilletti