True
2023-07-04
Salvini prova a prendersi un pezzo del Ppe
Matteo Salvini e Marine Le Pen (Ansa)
«Solidarietà a vigili del fuoco, sindaci e poliziotti». È consonanza fin dal primo minuto tra Matteo Salvini e Marine Le Pen nell’incontro virtuale in videoconferenza, che sostituisce il summit romano rimandato alla luce della delicata situazione nella Francia incendiata dalle rivolte razziali. Lo è soprattutto sul «patto» verso le elezioni europee del prossimo anno, occasione unica per cogliere i frutti della debolezza della coalizione eurolirica guidata dai socialisti, con il Ppe costretto - nonostante la maggioranza - a un ruolo ancillare sui temi dominanti (identità, lavoro, strategie e ipocrisie del presente e del futuro del continente).
In collegamento con Le Pen e con il presidente del Rassemblement National Jordan Bardella, Salvini ha ribadito «la determinazione a costruire una casa comune del centrodestra, alternativa ai socialisti e senza veti. Con l’obiettivo di realizzare il primo storico governo di centrodestra, in contrapposizione alla sinistra delle tasse e dell’immigrazione selvaggia. Mai la Lega andrà con sinistra e socialisti, non accetto veti sui nostri alleati». La sottolineatura pomeridiana non è casuale, arriva in risposta all’uscita di Antonio Tajani (ministro degli Esteri in veste di vicepresidente Ppe) che in mattinata aveva smontato con la chiave inglese e con un anatema l’operazione salviniana: «Mai con Le Pen e i tedeschi di AfD».
Foro rotondo, tassello quadrato: la differenza di prospettiva esiste e dovrà essere smussata nei prossimi mesi per passare da una visione ideologica (quella passatista degli euroentusiasti contro gli euroscettici) a una visione pragmatica con al centro le problematiche reali. Lì i punti d’incontro fra tutte le forze di centrodestra - quindi Ppe, Identità e Democrazia, i conservatori e riformisti di Ecr e di Giorgia Meloni - sono sempre più numerosi. A Bruxelles i mal di pancia sono quotidiani e la narrazione dei «burocrati felici» costruita ad arte dalla stampa mainstream ormai non regge più. Il castello di carta è crollato la settimana scorsa, quando un voto comune ha respinto le ultime follie del fanatismo green. Commento di un vecchio europarlamentare di Forza Italia: «Se le politiche comunitarie della maggioranza Ursula poggiano ancora sui deliri di Greta Thunberg non si va da nessuna parte».
Lo stesso Salvini è convinto che «una fetta del Ppe desideri guardare a destra e recidere una volta per tutte gli accordi con la sinistra. Perché l’unica speranza di cambiare l’Europa è tenere unito tutto quello che è alternativo alla sinistra. Chi si comporta diversamente fa un favore ai socialisti». Avendo davanti il volto di Le Pen, il vicepremier italiano si è ricordato che Emmanuel Macron si presenta in Europa come centrista e ha ribadito: «L’unico centrodestra presente in un grande Paese come la Francia siete voi». Poi ha aggiunto come punto esclamativo: «Il gruppo ID sarà sempre più attrattivo anche per altre forze politiche interessate a cambiare l’Europa».
Le turbolenze interne sono reali e al dibattito accesosi improvvisamente manca il convitato di pietra: la premier Meloni, che in questa fase non ha alcun interesse a entrare nella discussione. In Fratelli d’Italia sono consapevoli che «le volate lunghe sono le più difficili e, a un anno di distanza, il vento in faccia ti può sempre prosciugare le forze». Approccio saggio, mentre sotto traccia si lavora per cambiare proprio lo storytelling che fin qui ha consentito ai socialisti di salire sul Ppe come un paguro Bernardo e di trascinarlo verso un progressismo a senso unico: l’eterna battaglia fra europeisti e sovranisti.
La strategia internazionale di Meloni (atlantista, europeista quanto basta, mai No Euro) tende a smontare dall’interno l’equivoco e definire una nuova e più moderna contrapposizione. Con da una parte l’Europa dei popoli unita nel ribadire i valori fondanti - rispetto delle sovranità e delle tradizioni, politica economica di crescita, freno all’immigrazione incontrollata, politica fiscale non vessatoria - e dall’altra il minestrone Erasmus composto dal socialismo woke che piace a Elly Schlein, dal gretinismo ideologico e dal massimalismo pauperista nel quale nuota Giuseppe Conte. È evidente come, sui programmi, le convergenze del centrodestra finiranno per essere naturali. E lo stesso Ppe dovrà dare un colpo di timone per allontanarsi dal radicalismo allo Spritz.
«Davvero l’amico Tajani preferisce continuare a governare con Pd, socialisti e Macron?». La domanda dei leghisti europei Marco Zanni e Marco Campomenosi è puntuale, legittima. Ed è la stessa che nella Germania piegata dall’era Merkel (più passa il tempo e più si comprendono i disastri della grosse koalition) la Cdu sta ponendo a Ursula von der Leyen. Il partito cristiano-democratico è uscito con le ossa rotte dalle ultime elezioni proprio per questa insensata deriva rosè e arcobaleno, voluta per moda tardogiovanile e per copiare le pulsioni siliconvalliche dell’America senza ideali. «Vogliono vincere per minare l’Europa dall’interno», ormai è l’unico bolso slogan rimasto alla sinistra. Guardando gli incendi francesi si ha l’identikit dei volti e dei partiti che l’hanno minata negli ultimi 20 anni.
Tajani boccia i piani del Carroccio: «Mai patti con gli ultranazionalisti»
Respinto con perdite il patto del centrodestra lanciato dal segretario della Lega, Matteo Salvini, poco prima dell’incontro con la leader del Rassemblement National, Marine Le Pen. Antonio Tajani infatti, ospite di Agorà estate, Rai3, ha tracciato quella che sarà la linea politica del Partito popolare europeo per i prossimi anni, anche in vista delle elezioni europee di giugno 2024.
«Voglio essere molto chiaro, sono anche vicepresidente del Ppe: per noi è impossibile qualsiasi accordo con Rassemblement National della Le Pen e con Alternative für Deutschland dei tedeschi ultranazionalisti», ha dichiarato il coordinatore di Forza Italia, ma anche vicepremier e ministro degli Esteri del governo Meloni. E se nella famiglia europea di Identità e Democrazia è presente anche la Lega, il ministro azzurro ha detto che «la Lega è cosa ben diversa. Saremmo lieti di avere la Lega parte di una maggioranza, ma senza Le Pen e AfD». Tajani dunque, malgrado il vento di centrodestra che sta spirando in Ue, ribadisce che Fi è una grande forza moderata che non vira verso le più importanti formazioni dell’ultradestra europea, nonostante la necessità di nuove alleanze per poter eleggere le prossime cariche a Bruxelles. Ed esclude tensioni interne alla coalizione di centrodestra: «Un’alleanza in Europa con Salvini è assolutamente possibile, dopo le elezioni europee. Noi correremo con la lista di Forza Italia, con la scritta Partito popolare europeo. Noi siamo il Ppe in Italia. Con Salvini siamo pronti a fare alleanze in Italia e fuori dall’Italia. Il problema non è mai stato e non sarà mai Matteo Salvini e la Lega. Il problema sono AfD e il partito della signora Le Pen perché sono due partiti anti europeisti e non si può governare l’Europa con due partiti anti europeisti». Dall’Ue immediata la dura risposta del Carroccio: «Davvero l’amico Tajani preferisce continuare a governare con Pd, socialisti e Macron? La Lega lavora per cambiare la maggioranza in Europa e dare vita, finalmente, a un progetto di centrodestra unito, capace di dare risposte concrete ai cittadini dopo anni di mal governo delle sinistre» hanno attaccato Marzo Zanni (presidente gruppo Id) e Marco Campomenosi, (capo delegazione Lega al Parlamento Europeo) aggiungendo: «Non è il momento dei diktat, né di decidere a priori chi escludere dal progetto di centrodestra europeo, tanto più se questo arriva da chi fino a oggi è stato a braccetto di Pd e socialisti in Ue. Chiediamo più rispetto per i colleghi del gruppo Id: è proprio grazie ai voti dei nostri alleati francesi del Rn e tedeschi di AfD se, insieme al Ppe, siamo riusciti a respingere l’ultima eurofollia green non più tardi della scorsa settimana. Ci rifiutiamo di pensare che qualcuno che si definisce di centrodestra possa preferire Macron e le sinistre alla Le Pen». Ma il leader azzurro conferma: «L’idea che io ho per il futuro è dar vita ad una maggioranza con Popolari, Conservatori e Liberali, che è la maggioranza che mi ha permesso di sconfiggere la sinistra nel 2017 e mi ha permesso di essere eletto presidente del Parlamento europeo, non grazie ad accordi di Palazzo, ma grazie al voto di parlamentari che condividevano un progetto politico. Questo è quello che si poteva fare, ho dimostrato che si può fare ancora oggi; per sconfiggere la sinistra questa è la strada unica. Naturalmente dipende dal risultato elettorale: prima bisogna avere i voti e fare le maggioranze in Parlamento e nelle istituzioni». Incredula per la «chiusura» la deputata leghista Laura Ravetto: «La storia di Forza Italia ci ricorda che Berlusconi ha sconfitto le sinistre includendo, riuscendo a mettere insieme sensibilità e storie molto diverse come quelle di Umberto Bossi e Gianfranco Fini. Dire di “no” a qualcuno in vista delle Europee significa escludere e non includere, esattamente l’opposto di una ricetta vincente. La prossima commissione Ue dovrà essere di centrodestra, è impensabile tagliare fuori francesi, spagnoli, olandesi, austriaci o fiamminghi».
Continua a leggereRiduci
Il leader della Lega in videoconferenza con Marine Le Pen rinsalda l’alleanza per le elezioni del 2024: «Nessun accordo con chi tifa per tasse e immigrazione». Poi cerca di infilarsi tra Partito popolare europeo e progressisti. E Giorgia Meloni gioca la carta dell’attesa.Il ministro degli Esteri Antonio Tajani: no alla destra francese e tedesca. La replica: meglio Macron?Lo speciale contiene due articoli.«Solidarietà a vigili del fuoco, sindaci e poliziotti». È consonanza fin dal primo minuto tra Matteo Salvini e Marine Le Pen nell’incontro virtuale in videoconferenza, che sostituisce il summit romano rimandato alla luce della delicata situazione nella Francia incendiata dalle rivolte razziali. Lo è soprattutto sul «patto» verso le elezioni europee del prossimo anno, occasione unica per cogliere i frutti della debolezza della coalizione eurolirica guidata dai socialisti, con il Ppe costretto - nonostante la maggioranza - a un ruolo ancillare sui temi dominanti (identità, lavoro, strategie e ipocrisie del presente e del futuro del continente).In collegamento con Le Pen e con il presidente del Rassemblement National Jordan Bardella, Salvini ha ribadito «la determinazione a costruire una casa comune del centrodestra, alternativa ai socialisti e senza veti. Con l’obiettivo di realizzare il primo storico governo di centrodestra, in contrapposizione alla sinistra delle tasse e dell’immigrazione selvaggia. Mai la Lega andrà con sinistra e socialisti, non accetto veti sui nostri alleati». La sottolineatura pomeridiana non è casuale, arriva in risposta all’uscita di Antonio Tajani (ministro degli Esteri in veste di vicepresidente Ppe) che in mattinata aveva smontato con la chiave inglese e con un anatema l’operazione salviniana: «Mai con Le Pen e i tedeschi di AfD».Foro rotondo, tassello quadrato: la differenza di prospettiva esiste e dovrà essere smussata nei prossimi mesi per passare da una visione ideologica (quella passatista degli euroentusiasti contro gli euroscettici) a una visione pragmatica con al centro le problematiche reali. Lì i punti d’incontro fra tutte le forze di centrodestra - quindi Ppe, Identità e Democrazia, i conservatori e riformisti di Ecr e di Giorgia Meloni - sono sempre più numerosi. A Bruxelles i mal di pancia sono quotidiani e la narrazione dei «burocrati felici» costruita ad arte dalla stampa mainstream ormai non regge più. Il castello di carta è crollato la settimana scorsa, quando un voto comune ha respinto le ultime follie del fanatismo green. Commento di un vecchio europarlamentare di Forza Italia: «Se le politiche comunitarie della maggioranza Ursula poggiano ancora sui deliri di Greta Thunberg non si va da nessuna parte».Lo stesso Salvini è convinto che «una fetta del Ppe desideri guardare a destra e recidere una volta per tutte gli accordi con la sinistra. Perché l’unica speranza di cambiare l’Europa è tenere unito tutto quello che è alternativo alla sinistra. Chi si comporta diversamente fa un favore ai socialisti». Avendo davanti il volto di Le Pen, il vicepremier italiano si è ricordato che Emmanuel Macron si presenta in Europa come centrista e ha ribadito: «L’unico centrodestra presente in un grande Paese come la Francia siete voi». Poi ha aggiunto come punto esclamativo: «Il gruppo ID sarà sempre più attrattivo anche per altre forze politiche interessate a cambiare l’Europa».Le turbolenze interne sono reali e al dibattito accesosi improvvisamente manca il convitato di pietra: la premier Meloni, che in questa fase non ha alcun interesse a entrare nella discussione. In Fratelli d’Italia sono consapevoli che «le volate lunghe sono le più difficili e, a un anno di distanza, il vento in faccia ti può sempre prosciugare le forze». Approccio saggio, mentre sotto traccia si lavora per cambiare proprio lo storytelling che fin qui ha consentito ai socialisti di salire sul Ppe come un paguro Bernardo e di trascinarlo verso un progressismo a senso unico: l’eterna battaglia fra europeisti e sovranisti.La strategia internazionale di Meloni (atlantista, europeista quanto basta, mai No Euro) tende a smontare dall’interno l’equivoco e definire una nuova e più moderna contrapposizione. Con da una parte l’Europa dei popoli unita nel ribadire i valori fondanti - rispetto delle sovranità e delle tradizioni, politica economica di crescita, freno all’immigrazione incontrollata, politica fiscale non vessatoria - e dall’altra il minestrone Erasmus composto dal socialismo woke che piace a Elly Schlein, dal gretinismo ideologico e dal massimalismo pauperista nel quale nuota Giuseppe Conte. È evidente come, sui programmi, le convergenze del centrodestra finiranno per essere naturali. E lo stesso Ppe dovrà dare un colpo di timone per allontanarsi dal radicalismo allo Spritz.«Davvero l’amico Tajani preferisce continuare a governare con Pd, socialisti e Macron?». La domanda dei leghisti europei Marco Zanni e Marco Campomenosi è puntuale, legittima. Ed è la stessa che nella Germania piegata dall’era Merkel (più passa il tempo e più si comprendono i disastri della grosse koalition) la Cdu sta ponendo a Ursula von der Leyen. Il partito cristiano-democratico è uscito con le ossa rotte dalle ultime elezioni proprio per questa insensata deriva rosè e arcobaleno, voluta per moda tardogiovanile e per copiare le pulsioni siliconvalliche dell’America senza ideali. «Vogliono vincere per minare l’Europa dall’interno», ormai è l’unico bolso slogan rimasto alla sinistra. Guardando gli incendi francesi si ha l’identikit dei volti e dei partiti che l’hanno minata negli ultimi 20 anni.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salvini-prova-prendersi-pezzo-ppe-2662222985.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tajani-boccia-i-piani-del-carroccio-mai-patti-con-gli-ultranazionalisti" data-post-id="2662222985" data-published-at="1688434392" data-use-pagination="False"> Tajani boccia i piani del Carroccio: «Mai patti con gli ultranazionalisti» Respinto con perdite il patto del centrodestra lanciato dal segretario della Lega, Matteo Salvini, poco prima dell’incontro con la leader del Rassemblement National, Marine Le Pen. Antonio Tajani infatti, ospite di Agorà estate, Rai3, ha tracciato quella che sarà la linea politica del Partito popolare europeo per i prossimi anni, anche in vista delle elezioni europee di giugno 2024. «Voglio essere molto chiaro, sono anche vicepresidente del Ppe: per noi è impossibile qualsiasi accordo con Rassemblement National della Le Pen e con Alternative für Deutschland dei tedeschi ultranazionalisti», ha dichiarato il coordinatore di Forza Italia, ma anche vicepremier e ministro degli Esteri del governo Meloni. E se nella famiglia europea di Identità e Democrazia è presente anche la Lega, il ministro azzurro ha detto che «la Lega è cosa ben diversa. Saremmo lieti di avere la Lega parte di una maggioranza, ma senza Le Pen e AfD». Tajani dunque, malgrado il vento di centrodestra che sta spirando in Ue, ribadisce che Fi è una grande forza moderata che non vira verso le più importanti formazioni dell’ultradestra europea, nonostante la necessità di nuove alleanze per poter eleggere le prossime cariche a Bruxelles. Ed esclude tensioni interne alla coalizione di centrodestra: «Un’alleanza in Europa con Salvini è assolutamente possibile, dopo le elezioni europee. Noi correremo con la lista di Forza Italia, con la scritta Partito popolare europeo. Noi siamo il Ppe in Italia. Con Salvini siamo pronti a fare alleanze in Italia e fuori dall’Italia. Il problema non è mai stato e non sarà mai Matteo Salvini e la Lega. Il problema sono AfD e il partito della signora Le Pen perché sono due partiti anti europeisti e non si può governare l’Europa con due partiti anti europeisti». Dall’Ue immediata la dura risposta del Carroccio: «Davvero l’amico Tajani preferisce continuare a governare con Pd, socialisti e Macron? La Lega lavora per cambiare la maggioranza in Europa e dare vita, finalmente, a un progetto di centrodestra unito, capace di dare risposte concrete ai cittadini dopo anni di mal governo delle sinistre» hanno attaccato Marzo Zanni (presidente gruppo Id) e Marco Campomenosi, (capo delegazione Lega al Parlamento Europeo) aggiungendo: «Non è il momento dei diktat, né di decidere a priori chi escludere dal progetto di centrodestra europeo, tanto più se questo arriva da chi fino a oggi è stato a braccetto di Pd e socialisti in Ue. Chiediamo più rispetto per i colleghi del gruppo Id: è proprio grazie ai voti dei nostri alleati francesi del Rn e tedeschi di AfD se, insieme al Ppe, siamo riusciti a respingere l’ultima eurofollia green non più tardi della scorsa settimana. Ci rifiutiamo di pensare che qualcuno che si definisce di centrodestra possa preferire Macron e le sinistre alla Le Pen». Ma il leader azzurro conferma: «L’idea che io ho per il futuro è dar vita ad una maggioranza con Popolari, Conservatori e Liberali, che è la maggioranza che mi ha permesso di sconfiggere la sinistra nel 2017 e mi ha permesso di essere eletto presidente del Parlamento europeo, non grazie ad accordi di Palazzo, ma grazie al voto di parlamentari che condividevano un progetto politico. Questo è quello che si poteva fare, ho dimostrato che si può fare ancora oggi; per sconfiggere la sinistra questa è la strada unica. Naturalmente dipende dal risultato elettorale: prima bisogna avere i voti e fare le maggioranze in Parlamento e nelle istituzioni». Incredula per la «chiusura» la deputata leghista Laura Ravetto: «La storia di Forza Italia ci ricorda che Berlusconi ha sconfitto le sinistre includendo, riuscendo a mettere insieme sensibilità e storie molto diverse come quelle di Umberto Bossi e Gianfranco Fini. Dire di “no” a qualcuno in vista delle Europee significa escludere e non includere, esattamente l’opposto di una ricetta vincente. La prossima commissione Ue dovrà essere di centrodestra, è impensabile tagliare fuori francesi, spagnoli, olandesi, austriaci o fiamminghi».
La scritta apparsa a Marina di Pietrasanta (Ansa)
La polizia del commissariato di Forte dei Marmi ha avviato gli accertamenti per individuare i responsabili e sta verificando la presenza di telecamere nella zona che possano aver ripreso l’autore o gli autori del gesto. Non il primo ai danni del presidente del Consiglio, ma sicuramente annoverabile tra i più violenti.
Risale ad appena pochi mesi fa l’altra scritta che aveva suscitato parecchia indignazione: «Meloni come Kirk». Una frase per augurare al premier la fine dell’attivista americano Charlie Kirk, morto ammazzato durante un comizio a causa di una pallottola. Un gesto d’odio che evidentemente alimenta altro odio. La frase di Marina di Pietrasanta potrebbe essere una risposta a un’altra frase, pronunciata da Giorgia Meloni lo scorso 25 settembre in occasione di Fenix, la festa di Gioventù nazionale, partendo da una considerazione proprio sui post contro Charlie Kirk: «Non abbiamo avuto paura delle Brigate rosse, non ne abbiamo oggi». Fdi ha diffuso una nota dove si parla di «minacce al presidente Meloni, firmate dall’estremismo rosso: l’ennesima prova di un clima d’odio che qualcuno continua a tollerare». Nel testo si ribadisce che «la violenza si argina isolando i facinorosi, non strizzando loro l’occhio. La condanna unanime resta, per certa sinistra, ancora un esercizio difficile. Non ci intimidiscono. Non ci hanno mai intimidito». Anche la Lega ha espresso immediatamente la sua solidarietà al presidente del Consiglio. «Una frase aberrante, una minaccia di morte tutt’altro che velata. Auspichiamo una condanna unanime e bipartisan. Un clima d’odio inaccettabile che non può essere minimizzato», ha commentato Andrea Crippa, deputato toscano del Carroccio.
«Un gesto vile che conferma un clima di odio politico sempre più preoccupante. Da tempo denuncio questa deriva: nessun confronto può giustificare incitamenti alla violenza», commenta il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Parole di vicinanza e di condanna anche da parte del ministro della Salute, Orazio Schillaci, e dal ministro della Cultura, Alessandro Giuli: «Un gesto intimidatorio inaccettabile».
«Ha ragione il ministro Crosetto: c’è il rischio di trovarsi da un giorno all’altro con le Brigate rosse 4.0 se si continuerà a minimizzare l’offensiva di violenza dell’estrema sinistra», sostiene il capo dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «Piena solidarietà al Presidente del consiglio Giorgia Meloni per la scritta minacciosa», commenta Paolo Barelli (Fi): «È indispensabile uno stop immediato a questo clima avvelenato: serve una condanna unanime e trasversale, e occorre abbassare i toni per riportare il dibattito pubblico entro i confini del rispetto».
Per Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, si tratta di un fatto «gravissimo che va condannato senza ambiguità: evocare le Brigate rosse significa richiamare una stagione buia che l’Italia non vuole e non deve rivivere». Solidarietà anche da Maria Stella Gelmini .
Durissima la presa di posizione dell’Osservatorio nazionale Anni di Piombo per la verità storica, che parla di «atto infame» e di un gesto che «evoca la stagione del terrorismo e delle esecuzioni politiche».
Giornaliste italiane esprime «la più ferma condanna» per il gesto invitando «tutti i colleghi giornalisti, i media, le forze politiche, i rappresentanti della società civile a condannare e non far calare il silenzio su un episodio che colpisce le nostre istituzioni. Contribuire, ciascuno nel proprio ambito, alla costruzione di un clima pubblico rispettoso, lontano da logiche che alimentano tensioni e contrapposizioni assolute è una responsabilità che coinvolge tutti». Da Pd, Avs e M5s silenzio assoluto.
Continua a leggereRiduci
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa dell'8 dicembre con Carlo Cambi
È stata confermata in appello la condanna di primo grado pronunciata nei confronti di Mario Roggero (Ansa)
Nel 2015 Roggero subì una rapina devastante. «Naso, tre costole, operato alla spalla destra il mese dopo, oltre 6 mesi di terapia molto dolorosa», racconta ora davanti alle telecamere del programma condotto da Mario Giordano su Rete 4. «Mi hanno aggredito con una tale aggressività che non ho potuto fare niente. Erano due picchiatori e mi hanno sopraffatto completamente». È il passaggio che demolisce la lettura della Corte, secondo cui nel 2021 Roggero avrebbe «agito con la stessa modalità del 2015». Il gioielliere commenta: «Penoso. Ma stiamo scherzando?». Nel 2015 fu massacrato da due individui che continuarono a picchiarlo quando era a terra. «Chiunque ha visto il video di quella rapina», aggiunge Roggero, «è rimasto profondamente impressionato». E infatti le immagini mandate in onda mostrano un’aggressione brutale, con l’uomo inerme a terra e sangue ovunque. Una scena che per Roggero è trauma puro. Ma per i giudici non è ammissibile che un uomo massacrato nel 2015, che vive un dramma simile nel 2021, abbia reazioni difensive. Il salto di cornice che Roggero mette in evidenza è questo: nel 2015 non si difende, viene pestato, finisce in ospedale. Risultato: innocente, vittima. Nel 2021 reagisce, neutralizza chi minaccia con la pistola e fugge. Risultato: imputato, condannato, trattato da aggressore. Roggero fotografa senza filosofia: «Le vere vittime siamo noi».
Lui lo dice in modo semplice: «Con la pistola in alto non avrei sparato, ma quando lui me la punta in faccia, me la punta in fronte, che faccio?». L’ultimo passaggio delle sue parole è dedicato alla Suprema corte. Sembra un atto di fede laica: «Per la Cassazione», dice Roggero, «si presuppone e si spera che abbiano buon senso i giudici». Per comprendere il percorso dei giudici d’Appello, bisognerà attendere le motivazioni. Già in primo grado, però, era emersa una doppia narrazione: con Roggero nel ruolo di vittima durante la rapina e di aggressore fuori dal negozio. La moglie ha riferito che uno dei rapinatori, «soggetti con plurimi precedenti penali per reati contro il patrimonio» riconoscono i giudici, dopo averla colpita al volto le puntava il coltello al collo e minacciava di uccidere tutti. Alla figlia erano stati legati i polsi dietro la schiena. Roggero ha riferito che il rapinatore gli ha puntato la pistola in faccia, urlando «ti ammazzo». Entrano, lo afferrano, lo spingono verso il registratore di cassa. Lo portano nella zona ripresa dalle telecamere e, mentre afferra il rotolo dei gioielli, l’altro continua a strattonarlo. Poi lo spostano nell’ufficio in cui c’è la cassaforte. Lui ha ancora l’arma puntata alla testa. La scena non dura pochi secondi. Va avanti finché il gioielliere, approfittando di un attimo di distrazione, riesce a schiacciare il pulsante dell’allarme antirapina. Uno dei malviventi se ne accorge e torna verso la cassa. Roggero sente di nuovo la moglie urlare. Riesce a prendere la sua pistola e a spostarsi nel retro. Un gesto istintivo, dettato, dirà in aula, dalla convinzione che la moglie fosse stata presa in ostaggio. I giudici evidenziano anche che la famiglia «è stata sicuramente vittima di una rapina connotata da uso di armi e anche dai citati atti di violenza fisica; condotte che hanno sicuramente generato una forte e comprensibile paura nelle vittime». Fuori c’era un’auto parcheggiata. Ed è a questo punto che la Corte introduce un teorema: quando i rapinatori escono dal negozio, con armi e refurtiva, il pericolo svanisce. Quando si tratta di qualificare la reazione di Roggero all’esterno, i rapinatori diventano di colpo soggetti in fuga, innocui e vulnerabili. Per i giudici, «ha deliberatamente deciso di affrontare i rapinatori con il precipuo fine di assicurarli, lui, alla giustizia, o meglio alla sua giustizia privata, con immediata “esecuzione” della pena nei confronti dei colpevoli». La prova? Da ricercare, secondo i giudici, in alcune interviste, non perfettamente allineate alla ricostruzione giudiziaria, rilasciate dal gioielliere a giornali e tv dopo i fatti. L’azione, in primo grado, è stata giudicata punibile con 17 anni di carcere. Ora lo sconto di pena: 14 anni e 9 mesi (più 3 milioni di euro richiesti dalle parti offese). «Praticamente un ergastolo per una persona di 72 anni», aveva detto Roggero in udienza. E a Fuori dal coro ha aggiunto: «C’è qualcosa che non quadra».
Continua a leggereRiduci
Maurizio Landini (Ansa)
Al capo della Uil non è giunta neppure una lettera di scuse. Agli aggrediti neppure una manifestazione di solidarietà dai sindacalisti rossi. Ufficialmente è come se l’aggressione nei confronti dei colleghi sindacalisti da parte di quelli dei metalmeccanici della Cgil non fosse mai avvenuta. Eppure, molti giornali ne hanno parlato anche perché gli aggrediti sono finiti in ospedale ed è anche stata presentata una denuncia, affinché il caso non finisca nel dimenticatoio.
Tuttavia, nonostante quanto accaduto sia assai grave e riguardi la vertenza per la sopravvivenza dell’Ilva, ovvero della più grande acciaieria italiana che - grazie all’inchiesta della magistratura - rischia di fallire, Landini di fatto non ha trovato il tempo di commentare. E neppure di prendere le distanze dai suoi. Il che significa solo una cosa, ovvero che il leader del principale sindacato italiano, per convenienza politica, ha imboccato una deriva pericolosa, che rischia di consegnare alcune frange della Cgil all’estremismo più violento.
Su queste pagine abbiamo più volte criticato il linguaggio radicale del segretario della Cgil. Non parliamo solo delle parole usate contro Giorgia Meloni, che venne definita una «cortigiana» di Donald Trump. Tempo fa Landini chiamò gli italiani alla «rivolta sociale», che in un Paese devastato da un terrorismo che ha provocato centinaia di morti non può certo essere lasciato passare come un invito a un pranzo di gala. «Rivolta» è un sostantivo femminile che sintetizza un «moto collettivo e violento di ribellione contro l’ordine costituito». Il significato non lascia dubbi: si parla di insurrezione, sommossa, rivoluzione. Insomma, si tratta di una chiamata se non alle armi quantomeno alla ribellione. Landini in pratica reclama una sollevazione popolare, con le conseguenze che si possono immaginare. Dunque, vedere un manipolo di squadristi rossi che dà la caccia a sindacalisti che su una vertenza la pensano in maniera diversa, suscita preoccupazione.
Pierpaolo Bombardieri, capo della Uil, ha parlato di metodi «terroristici», una definizione che mette i brividi soprattutto in un momento in cui l’Italia è percorsa da manifestazioni ed espressioni che proprio non si possono definire pacifiche. Mentre alla fiera di Roma dedicata ai libri si discute della presenza di un singolo editore non allineato con il pensiero di sinistra (per questo lo si vorrebbe cacciare), a Pietrasanta è comparso un invito a sparare a Giorgia, con la stella a 5 punte delle Br, e ovviamente non si parlava della cantante. Si capisce che sia nel linguaggio sia nelle manifestazioni è in atto un cambiamento e un inasprimento della lotta politica.
A questo punto Landini deve solo decidere da che parte stare. Se di qua o di là. Se con chi difende la democrazia e la diversità di opinione o con chi usa metodi violenti per affermare le proprie idee. Il silenzio non si addice a chi denuncia ogni giorno il ritorno del fascismo. Qui l’unico pericolo viene da sinistra. È a sinistra che si invoca la rivolta. Se Landini non vuole finire nella schiera dei cattivi maestri ha il dovere di parlare e di denunciare chi riesuma lo squadrismo. Con i compagni che sbagliano sappiamo tutti come è finita.
Continua a leggereRiduci