2018-06-10
La «caccia» a Salvini è giusta: ha troppo potere
Venerdì 8 giugno l'articolo di fondo scritto da Maurizio Belpietro per La Verità recitava: «Il nuovo sport nazionale? Caccia a Salvini». E a pagina 3 la conclusione del pezzo aveva un titolo ancora più aspro: «In Italia se non spari su Salvini, non sei nessuno». Da semplice collaboratore settimanale della Verità, che ringrazio poiché ospita da anni il mio Bestiario, le affermazioni di Belpietro mi hanno costretto a un esame di coscienza. Mi sono domandato: caro Giampaolo, alla tua bella età sei diventato un killer che spara giudizi velenosi invece di pallottole? E seguiti a lavorare per un quotidiano che, secondo la penna del suo direttore, ritiene che i leader politici siano intoccabili e non possano essere criticati anche con durezza?Dopo tanti anni di professione, che mi hanno portato in una dozzina tra quotidiani e settimanali, mi sono imbattuto in un comandante che, senza saperlo, mandava al macero qualche migliaia di miei articoli e un buon numero di miei libri? Forse Belpietro non lo ricorda, ma dare la caccia ai big politici è sempre stato il mio sport preferito. Ho cominciato a praticarlo nella prima repubblica, raccontando senza cortesia le avventure e le cazzate di una infinità di big democristiani, socialisti e comunisti.Bettino Craxi, che mi conosceva dai tempi dell'Università, quando s'imbatteva nel sottoscritto ringhiava: «Pansa, quando la smetterai di rompermi i coglioni?». I comunisti non potevano sopportarmi perché non ero disposto a considerare un santo il loro segretario generale, Enrico Berlinguer. Soltanto i democristiani restavano impassibili. Il mio bersaglio preferito era Amintore Fanfani. Eppure lui si comportava da vero signore. E mi riceveva sempre. Per il piacere di duellare e di scambiarsi colpi duri. Diceva: «I giornalisti leccaculo li lascio ai presunti big del mio partito!». Quando la prima repubblica morì con l'avvento al potere di Silvio Berlusconi, il Cavaliere diventò il primo dei miei bersagli. Gli ho dato la caccia per anni. Dopo aver conquistato la Mondadori, il Berlusca si era messo in mente di papparsi anche il gruppo Espresso-Repubblica. Io ero il vicedirettore di Eugenio Scalfari e fui uno dei killer che, a sentire l'esercito del Cavaliere, aveva ricevuto l'incarico di abbatterlo con le parole stampate. Scrissi anche un libro contro il Silvio nazionale: L'intrigo, pubblicato dal mio editore di allora, la Sperling & Kupfer. Vendette molte copie e mi procurò dei buoni diritti d'autore. Era il prezzo del mio killeraggio ai danni del Cavaliere? Forse sì, ma non mi accorsi di essere diventato un criminale. Adesso, nel giugno 2018, a sentire Belpietro si è aperta una nuova caccia a un big politico: Matteo Salvini, il capo della Lega. Debbo dire che tutta questa caccia io non la vedo. Esiste un solo quotidiano che gli è davvero contrario: La Repubblica diretta da Mario Calabresi. La sua ostilità è evidente, ma anche del tutto signorile, un tratto tipico nel mio vecchio amico Mario. Ma se guardiamo al complesso della stampa italiana, tutta questa caccia mi appare una favola. Forse comincerà tra un po' di tempo, quando il leader leghista avrà dispiegato tutta la sua strapotenza politica e anche la bruscaggine del proprio carattere. Semmai oggi vedo qualche novità del tutto opposta. Ne volete un esempio? Eccovi serviti. La novità stava sul Giornale di venerdì 8 giugno. Il quotidiano diretto con efficacia da Alessandro Sallusti non appartiene alla schiera delle gazzette favorevoli al governo gialloblù. Ma pur essendo una testata critica ha accettato di pubblicare un singolare appello di Francesco Alberoni, uno dei grandi sociologi italiani, un signore di 89 anni che ha visto e studiato i tanti mutamenti della nostra felice, o infelice, società. In quell'appello, rivolto a Salvini, Alberoni raccomanda al capo leghista di stare attento perché i suoi avversari proveranno a distruggerlo. L'appello di Alberoni è importante. Non soltanto per la figura del suo autore, ma per quello che lascia intravvedere: il formarsi di una singolare convinzione. Provo a riassumerla così. La Lega è forte e grazie a Salvini diventerà il primo partito italiano, mettendo sotto i 5stelle, guidati da una coppia male assortita, Luigi Di Maio e Beppe Grillo. Ma questa possibilità renderà cazzuta, per usare una parola del linguaggio giovanile, l'opposizione a Matteo. Con tutte le conseguenze che spero non si avverino. Per quanto riguarda il sottoscritto, ho un dovere verso i lettori del Bestiario: dire come la penso a proposito di Matteo Salvini. Questo signore non mi piace. È diventato il ministro dell'Interno e uno dei due vicepresidenti del Consiglio, ma non ha lasciato la carica di segretario politico della Lega. Creando un caos non da poco in un panorama politico già abbastanza confuso. Poi il Salvini mi sembra troppo muscolare, tanto da apparirmi un allievo del Dittatore dello stato libero di Bananas, un vecchio film diretto e interpretato da Woody Allen. Se ne frega dello spread che ritiene una malvagia invenzione di qualche professore alla Mario Monti. Invece costa milioni di euro a noi italiani. È pronto a litigare con mezzo mondo. E questo elenco potrebbe continuare per parecchi capoversi. Ma penso che annoierei un bel po' di lettori. Arrivato a questo punto, sono obbligato a rivolgermi una domanda. Posso continuare a dare la caccia a Salvini come ho fatto, settimana dopo settimana, con Matteo Renzi, anche su un giornale diretto da Belpietro? Renzi l'avevo battezzato il Bullo o il Super Bullo. E anche oggi sulla Verità compaiono articoli al curaro su di lui e sugli affari del padre e della madre. Non abbiamo avuto misericordia per la famiglia Renzi e dobbiamo averla per Salvini, un maxibullo in camicia verde? Sono meno anziano di Alberoni (82 anni contro 89). Però mi sto rendendo conto che forse sarebbe meglio pensare alla salute e scrivere buoni libri. Lasciando perdere i giornali, questa giungla di carta che ho cominciato a frequentare il giorno di Capodanno del 1961.La bellezza di mezzo secolo fa, più qualche frattaglia.
Edmondo Cirielli (Imagoeconomica)
Il palazzo dove ha sede Fratelli d'Italia a Parma
Marcello Degni. Nel riquadro, Valeria Franchi (Imagoeconomica)
Giuliano Pisapia, Goffredo Bettini, Emma Bonino e Anna Paola Concia (Ansa)