2019-07-06
Sala condannato a sei mesi. Ma non lascia
Il sindaco di Milano è stato giudicato colpevole di falso nel processo per la piastra Expo. La pena convertita in 45.000 euro di multa. Lui dice: «Vado avanti fino a fine mandato».A distanza di undici anni dall'assegnazione dell'Expo 2015 a Milano - era il 31 marzo 2008 - l'ex amministratore delegato e commissario straordinario dell'esposizione Beppe Sala, ora sindaco, viene condannato a sei mesi di reclusione, convertiti in una multa da 45.000 euro per falso. Per questo tipo di reato non vale la legge Severino, quindi il primo cittadino di Milano potrà finire il suo mandato che scade nel 2021. «Assicuro i milanesi che resterò a fare il sindaco per i due anni che restano del mio mandato, lo farò con la dedizione che conoscono. Di guardare avanti ora non me la sento». Il Pd lo difende, la giunta di Palazzo Marino anche, mentre lui fa la vittima: «Una sentenza del genere dopo sette anni credo che allontanerà tanta gente perbene dalla gestione della cosa pubblica» ha detto ieri subito dopo la sentenza. «Oggi qui si è processato il lavoro e io di lavoro ne ho fatto tanto». Di sicuro è andata bene, con 45.000 euro di multa e anche l'attenuante per aver commesso un reato per particolari motivi di valore sociale, ovvero il rischio di ritardare i lavori di Expo. Eppure basterebbe rileggersi le informative della Guardia di finanza di quegli anni e pensare alle assegnazioni dirette di appalti senza gara, come nel caso del ristoratore renziano Oscar Farinetti, o alle infiltrazioni mafiose nei subappalti sempre della piastra, per capire che la pagina Expo non è stata di certo cristallina. Quello di ieri, insomma, altro non è che l'ultimo atto di uno dei tanti processi e inchieste nati intorno all'evento che ha coinvolto il capoluogo lombardo. Sono stati procedimenti che - oltre a scatenare una guerra in Procura tra il procuratore aggiunto Alfredo Robledo (fu lui a indagare per primo sull'appalto da 260 milioni di euro della piastra) e l'ex capo Edmondo Bruti Liberati -non hanno prodotto particolari successi giudiziari. Le indagini sull'appalto a Farinetti come quelle per truffa sulle monete di Expo sono state archiviate. Molte altre si sono perse nei corridoi del tribunale. A questo si aggiungono le polemiche che hanno accompagnato la storica Procura di Mani pulite in quegli anni, accusata di una inusuale «moratoria» su Expo (l'ex consigliere laico Pierantonio Zanettin la portò all'attenzione del Csm), «controfirmata» dall'ex premier Matteo Renzi con le frasi di ringraziamento proprio per la «sensibilità istituzionale» dei magistrati milanesi. In questo processo Sala era imputato per falso materiale e ideologico. Le accuse erano collegate alla retrodatazione di due verbali con cui, nel maggio del 2012, furono sostituiti due componenti della commissione di gara per l'assegnazione del maxi appalto per la piastra dei servizi dell'Esposizione universale del 2015. La storia si perde ormai nella notte dei tempi. Riguardava l'incompatibilità di due commissari, gli ingegneri Alessandro Molaioni e Antonio Acerbo, quest'ultimo poi arrestato e condannato dopo un patteggiamento a tre anni per corruzione e turbativa d'asta. Ora bisognerà aspettare le motivazioni, tra 90 giorni, dove si capirà anche il motivo delle assoluzioni di Antonio Rognoni, ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde, Angelo Paris, ex manager di Expo, e Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani. Eppure nella relazione che la Gdf aveva consegnato alla Procura vi erano diverse anomalie, come sospetti di ricatto, su come la Mantovani si era aggiudicata l'appalto. Proprio Rognoni, già arrestato in un'altra inchiesta, raccontò agli inquirenti che «Sala mi rispose che non avevamo tempo per verificare se l'offerta fosse anomala o meno».