2024-01-22
Sabino Cassese: «Sull’Autonomia la sinistra ha torto»
Il giurista: «La riforma della maggioranza non spacca il Paese, lo unirà di più. Mentre il premierato ci darà stabilità, senza intaccare i poteri del Colle. Il Comune di Roma è un malato grave, servono organismi speciali».«L’Autonomia differenziata non divide l’Italia, anzi la unisce di più. Il premierato? Darà stabilità di governo, consacrando il vincolo tra chi vince le elezioni e l’elettorato. A Roma, invece, serve la ghigliottina: la Capitale è un malato grave, e per gestirlo servono organismi speciali». Il professor Sabino Cassese, ascoltatissimo costituzionalista, giudica senza fronzoli tutti i fascicoli scottanti sul tavolo delle riforme. E sull’Autonomia non ha dubbi: «È stato proprio il centrosinistra a introdurre nella Carta il concetto di autonomia differenziata, che avvantaggerà anche il Sud. Propongo di adottare la formula del Pnrr per il Meridione: fondi condizionati al rispetto dei tempi, e sanzioni per chi non li osserva». Cassese, peraltro, fa parte del comitato di «saggi» chiamato a definire i famigerati «Lep», cioè gli standard minimi di servizio pubblico indispensabili per garantire i diritti sociali in vista dell’applicazione dell’Autonomia. «Con i Lep si attua la Costituzione, anzi dobbiamo affrettarci a introdurli per sanare le disparità». Il disegno di legge sull’attuazione dell’Autonomia differenziata approda in Senato. Primo capo d’accusa: «È una riforma che divide l’Italia»?«Se si attua la Costituzione, che prevede la determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio, e il potere del governo di sostituirsi alle Regioni laddove la tutela di tali livelli non sia assicurata, ci si muove nella direzione di una maggiore unità nel Paese».Come può essere così sicuro che, con queste norme, non ci sarà un Paese a due velocità?«Io non sono sicuro e nessuno ne può essere sicuro, perché la decisione presa nel 1948, poi realizzata nel 1970, di costituire 15 Regioni a statuto ordinario, si è incamminata sulla strada dell’autonomia, e autonomia vuol dire differenziazione, tant’è vero che già oggi le leggi in materia di agricoltura sono diverse da una Regione all’altra».Ritiene che questa riforma possa introdurre meritocrazia? Ci sarà un incentivo per le classi dirigenti locali a essere più virtuose?«Purtroppo, il principio costituzionale del merito viene spesso violato in tutto l’ordinamento italiano e la proposta della cosiddetta Autonomia differenziata non può contribuire a fare passi avanti in materia».Il Partito democratico, con il segretario Elly Schlein, parla di «riforma antimeridionalista». Perché pensa che questa riforma possa rappresentare un vantaggio anche per il Sud?«Perché anche le Regioni del Sud possono chiedere di stipulare intese con lo Stato per ottenere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia». Le preoccupazioni riguardano soprattutto la tenuta del sistema sanitario in alcune Regioni. Non vede il rischio di affossare ulteriormente i servizi per la salute di una parte del Paese?«Questo rischio lo corriamo già oggi, con il Servizio sanitario nazionale e regole uniformi su tutto il territorio. Dovrebbe essere un buon motivo per affrettarsi a introdurre i Livelli essenziali delle prestazioni, oppure ad applicare davvero i Livelli essenziali di assistenza che già esistono, anche se non vengono rispettati».Perché ritiene che i Lep altro non siano che un’attuazione del dettato costituzionale?«Perché vi sono due articoli della Costituzione che li prevedono (116 e 120) e che furono introdotti dal centrosinistra e approvati con un referendum che si svolse nel 2001 con più di 10 milioni di votanti a favore e poco più di 5 milioni di votanti contro».Dia un consiglio al centrosinistra, che protesta parlando di riforma «Spacca Italia».«Al centrosinistra ricorderei di cercare chi introdusse la cosiddetta Autonomia differenziata nella Costituzione e cancellò dalla Costituzione la parola “Mezzogiorno”. Mentre al centrodestra ricorderei in che modo il tema della Autonomia differenziata fu presentato intorno al 2016».Che effetto le fanno i sindaci del Sud che si coalizzano contro la riforma: «Per noi è il colpo di grazia»?«Io ho sentito e apprezzato la richiesta dei sindaci che forme ulteriori e condizioni particolari di autonomia siano ulteriormente conferite agli enti locali, perché le Regioni devono essere principalmente organi di programmazione, non di esecuzione». Secondo lei qual è la strada più breve per far ripartire il Mezzogiorno: serve un miracolo?«In primo luogo, non tutto il Mezzogiorno è rimasto indietro. In secondo luogo, la formula migliore sarebbe quella del Piano nazionale di ripresa e resilienza, cioè quella della distribuzione di fondi condizionati a obiettivi e tempi di realizzazione, e accompagnati da sanzioni».Le opposizioni non escludono un referendum sull’Autonomia. Lei voterebbe sì, augurandosi che gli italiani facciano altrettanto?«Per dire come voterei, avrei bisogno di sapere come sarebbe formulato il quesito referendario».Fratelli d’Italia introduce un emendamento importante al testo in discussione: si punta a ottenere che i fondi per coprire gli eventuali maggiori oneri legati all’attuazione dei Lep siano aumentati anche per le Regioni che non hanno chiesto l’Autonomia differenziata. È un passo avanti?«Perché no, se fondi ulteriori, per coprire gli eventuali maggiori oneri, fossero legati a obiettivi di miglioramento dell’azione amministrativa?».A proposito di «differenziazioni»: ha ragione Pietro Ichino quando dice che occorre garantire, con stipendi differenziati, lo stesso potere d’acquisto ai lavoratori, indipendentemente da dove abitano?«Il problema c’è, ma non sono sicuro che questa sia la soluzione». L’altra «gamba» delle riforme istituzionali è il cosiddetto premierato. Che ne pensa dell’elezione diretta del capo del governo?«Se avvenisse contestualmente con l’elezione dei parlamentari, avrebbe il vantaggio di un voto che consacra non solo il presidente, ma anche una maggioranza. Poiché l’instabilità dei nostri governi dipende dalla scarsa coesione delle maggioranze di governo, questo avrebbe il vantaggio di consacrare il vincolo tra le forze politiche che raggiungano la maggioranza, dinanzi all’elettorato».Dunque pensa che il nuovo assetto potrà dare finalmente stabilità ai governi?«Sì. Tanto per cominciare il disegno di legge costituzionale presentato dal governo stabilisce che l’esecutivo deve durare cinque anni».Qual è il principale difetto della riforma istituzionale che introduce il premierato?«L’articolo 4 del disegno di legge costituzionale, che regola il sistema barocco di sostituzione del premier eletto».Il premier è corso a precisare che il premierato non tocca i poteri del Quirinale. Teme limitazioni delle prerogative della presidenza della Repubblica?«Non le temo, perché c’è una soluzione che ho esposto durante l’audizione alla commissione Affari costituzionali del Senato: quella di lasciare al presidente un potere di nomina, simile a quello che è previsto dall’articolo 87 della Costituzione».Nel caso del premierato, è fiducioso sull’esito di un probabile referendum confermativo sulla nuova forma di governo?«Penso che sarebbe bene che il Parlamento approvasse con la maggioranza qualificata prevista dalla Costituzione la riforma costituzionale, perché in Italia i referendum si caricano di altri significati, come accaduto nei due referendum del 2006 e del 2016».Il conflitto tra politica e magistratura non si è mai sopito. E contro la riforma Nordio si ergono barricate. Crede che le riforme istituzionali, per funzionare davvero, debbano essere accompagnate da un’organica riforma della giustizia? In quale direzione vorrebbe che si muovesse il governo?«La direzione è quella indicata dalla Costituzione. Un’autentica indipendenza della magistratura. Una giustizia sollecita, senza milioni di cause pendenti. Separazione tra magistrati giudicanti e magistrati dell’accusa».Parlando della città di Roma, lei ha dichiarato che occorre «reintrodurre immediatamente il governatorato, come quello che Benito Mussolini affidò a Giuseppe Bottai, per almeno 15 anni, il tempo necessario minimo per risalire la china. Va affidato a tre generali di corpo d’armata, dotati di una congrua cifra, in modo da poter, con mano libera, ricostituire le condizioni del vivere civile elementari». Era una battuta delle sue?«Era un’affermazione scherzosa. Ma non escludo che per un malato grave come il Comune della Capitale vi sia bisogno, per un numero determinato di anni, di un organismo speciale, dotato di particolari poteri».Se per salvare Roma servono i generali, per il sindaco, Roberto Gualtieri, ha auspicato addirittura la ghigliottina. Sogna il ricorso alla pena di morte anche per qualcun altro?«La ghigliottina fu adoperata dai rivoluzionari francesi e dobbiamo alla Rivoluzione francese quel grande cambiamento che ha consentito alla borghesia di sostituire monarchi e aristocrazie, ai cittadini di avere diritti, alla popolazione di guadagnare la libertà, alle persone di avere il beneficio dell’eguaglianza. Purtroppo, le condizioni della Capitale sono tali da richiedere interventi straordinari».
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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