2024-12-19
Ha tradotto Tolstoj: esperta bandita perché parla di Russia
Lev Tolstoj. Nel riquadro, Laura Salmon (Getty Images)
Annullato un evento con Laura Salmon, tra le maggiori esperte del suo campo: «Umiliata da Roma, mi pento di aver votato Pd».Da quando la destra è al governo gli scrittori italiani sembrano fare a gara per mostrarsi perseguitati e vessati, intimiditi dalle figure di potere. Giusto ieri sulla prima pagina di Repubblica Nicola Lagioia lamentava di essere stato denunciato dal ministro Giuseppe Valditara. Posto che di sicuro essere querelati da un ministro non è piacevole, e che in generale meno querele si fanno e meglio è, resta che tutti i presunti perseguitati continuano a godere di enorme visibilità, possono presenziare ai festival e ottengono grande spazio sui media. Ad altri intellettuali va un po’ peggio. Subiscono censure anche se non hanno scritto articoli violenti o pronunciato frasi al limite dell’insulto, vengono emarginati in virtù delle idee e non riscuotono certo il sostegno di cui godono coloro che sono baciati dalla luce dei riflettori mainstream. A tale proposito vale la pena di raccontare un episodio, forse marginale ma indicativo, capitato alla professoressa Laura Salmon, una delle più autorevoli traduttrici italiane. Nata da una famiglia ebraica che ha subito persecuzioni pesanti dal 1938 in avanti, slavista di chiarissima fama, la Salmon ha tradotto Dostoevskij, Tolstoj e altri grandi russi. Di recente, per l’editore Sandro Teti, ha pubblicato un memoir sui suoi anni in Unione Sovietica intitolato C’era una volta l’Urss. Niente di politico: ricordi personali di una vita trascorsa all’Est, intrisi d’amore per una terra bella e drammatica, nonostante le sue storture. Ebbene, la professoressa Salmon il prossimo 23 gennaio avrebbe dovuto presentare il volume e parlare del suo lavoro alla Casa delle traduzioni di Roma, una istituzione che fa parte del circuito bibliotecario romano (e dunque si suppone sia pubblica). Il problema è che l’evento è stato cancellato. Come sia andata lo racconta l’editore Sandro Teti. «Nell’ambito della promozione di questo libro dall’ufficio stampa abbiamo pensato di contattare la Casa delle traduzioni di Roma, gestita dal Comune in quanto parte del circuito bibliotecario, che organizza iniziative di prestigio. Inizialmente la risposta da parte è stata addirittura entusiastica, perché la responsabile conosceva di fama la professoressa. La quale non è solo russista e slavista, ma soprattutto è nota a livello internazionale per i suoi studi sulla tecnica e la teoria delle traduzioni applicate a tutte le lingue, ed è stata una pioniera: nel 1994 ha istituito la prima cattedra di Teoria e tecnica della traduzione presso l’Università di Genova». Dopo l’ottima accoglienza, prosegue Teti, «ci sono stati diversi scambi tra il nostro ufficio stampa e la Casa delle traduzioni, e si è arrivati a definire con precisione una data, il 23 di gennaio. Siamo entrati nei particolari, perché ci è stato richiesto di dedicare metà del tempo al libro e metà del tempo a una discorso sulla traduzione in senso lato. Quindi tutto andava bene, tutto era perfetto, al punto che la professoressa ha acquistato i biglietti per andare da Genova a Roma». Ma ecco che all’improvviso dalla Casa delle traduzioni fanno sapere che l’incontro non si farà. Poiché abbiamo letto gli scambi fra l’istituzione culturale e la casa editrice, possiamo confermare che la cancellazione è arrivata a bruciapelo dopo una serie di messaggi pieni di entusiasmo, in cui la direzione insisteva addirittura per incontrare l’editore Teti al fine di programmare ulteriori eventi. Ma perché è saltato tutto? Una sorta di motivazione ufficiale l’ha fornita in un breve messaggio Gaia Seller, responsabile della Casa delle traduzioni: «Non possiamo ospitare la presentazione di questo libro. Esula troppo dalle nostre competenze e dai nostri fini istituzionali». Una spiegazione piuttosto curiosa. Quale fosse il libro si sapeva da subito: perché cambiare idea repentinamente? E poi: ma davvero il memoir di una grande traduttrice italiana non rientra nelle competenze della Casa delle traduzioni? Suona strano, perché proprio due giorni fa la dottoressa Seller ha rilasciato a New Italian Books una intervista in cui spiega che «insieme alle ragazze e ai ragazzi del servizio civile, poi, stiamo lavorando per coinvolgere al meglio i nostri numerosi circoli di lettura e per rilanciare il rapporto con le case editrici, attraverso incontri tematici periodici e da organizzare insieme». Beh, l’incontro con Laura Salmon sembrava proprio rientrare in questa strategia, e invece... Infine, l’ultimo dubbio: perché non hanno confermato l’invito alla Salmon chiedendole di parlare soltanto di traduzione? Secondo la professoressa e il suo editore, c’entra la Russia. O meglio c’entrano le pressioni giunte dal Comune di sinistra per fermare un evento che in qualche modo tirava in ballo la cultura moscovita. Teti è stato accusato di putinismo nei mesi passati e del resto è parecchio tempo che tutte le iniziative culturali riguardanti Mosca e dintorni sono proibite o osteggiate (una è stata cancellata pochi giorni fa a Milano). Laura Salmon non ha dubbi: si tratta di censura bella e buona motivata dall’astio per la cultura russa. Una cultura grandiosa che - guerre o meno - è delirante cancellare. «Ho incontrato la direttrice della Casa delle traduzioni a Roma durante una presentazione del libro recentemente», ha detto la Salmon a Calibro 8 su Radio Cusano Campus. «Ha concordato con me i dettagli di questo intervento. Quanto accaduto è davvero impressionante, mi dispiace anche doverlo dire, perché queste sono umiliazioni. Non credo che esista nessuno in Italia che ha pubblicato più di me lavori scientifici sulla teoria della traduzione e che ha pubblicato più opere sull’argomento». Nonostante il curriculum, la Salmon non può parlare alla Casa delle traduzioni. «Mi permetto di dire che il mio grande dolore», ha dichiarato ancora, «nasce anche dal fatto che io ho votato per il Pd, ritenendolo l’unico vero baluardo della sinistra. Mi sento adesso misconosciuta e maltrattata da persone a cui ho dato fiducia per decenni e provo vergogna di fronte a me stessa, perché mi dico: cosa ho fatto? Ho aiutato questa forza dell’ipocrisia. Perché questa è un’enorme ipocrisia: non hanno letto il mio libro, si sono illimitati a fare una associazione. Traduci Dostoevskij, traduci Tolstoj? Non vai bene». Già: tutto quel che odora di Russia ultimamente non gode di grandi fortune. Abbiamo provato a chiamare Gaia Seller per chiederle spiegazioni, ma si è limitata a ribadire di non poter dire altro rispetto a quanto ha già scritto, e cioè che la presentazione era inadatta per la Casa delle culture. Poi la dottoressa ha repentinamente riagganciato il telefono, esattamente come ha fatto con Aurora Vena di Radio Cusano. Come mai tanta fretta di chiudere le comunicazioni e tanto imbarazzo? In fondo non è difficile da comprendere. Ammettere che non si vuole parlare di faccende russe sarebbe compromettente. Meglio annullare gli eventi e tacere, così che nessuno ne parli e la cancellazione passi sotto silenzio.O forse, chissà, come sostiene Laura Salmon, gli organizzatori di eventi che subiscono pressioni politiche hanno timore di parlare troppo: «Sono fenomeni in qualche modo simili a quelli che avvenivano in Unione Sovietica. C’è una sorta di omertà timorosa per cui non solo le persone non agiscono più secondo coscienza e in libertà intellettuale, ma hanno paura a giustificare i loro comportamenti».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)