2022-11-10
La scalata del «combattente di Dio» al Gop
Ron Desantis (Getty Images)
Ron DeSantis è stato riconfermato governatore in Florida. Dal contrasto alla dittatura sanitaria all’inflessibilità con gli immigrati, dalla lotta contro l’aborto fino alla guerra con Disney per la svolta gender: le sue politiche lo proiettano leader del Grand old party.«Anche se non avesse niente da dire lo starei a sentire, canta come Caruso». Commenta così su Twitter un democrat con il barbone di Karl Marx, annichilito dal 57% con cui Ron DeSantis - quello dalla voce bellissima - ha rivinto le elezioni in Florida. Eppure il governatore conservatore ha parecchie cose da dire agli americani stanchi del pensiero unico, della melassa progressista, delle passeggiate di Joe Biden alla ricerca di mani che non esistono, della dittatura genderfluid, soprattutto dei bermudati siliconvallici liquidati con la frase da Guerra di secessione: «Non permetterò ai woke californiani di dettare legge in casa mia».Nato a Jacksonville, a due ore di macchina (rigorosamente a benzina) da Cape Canaveral, DeSantis è sulla rampa di lancio per conquistare il Grand old party ed eventualmente puntare alla Casa Bianca nel 2024. Il meticoloso avvocato dall’oratoria tonante sta diventando un fattore capace di scaldare i cuori dal Montana al New Mexico, per non parlare del Texas. Kamala Harris, che pure lo detesta, l’ha definito «il Trump con il cervello». Nel discorso della rielezione, lui ha ricordato le battaglie per superare la sindrome da pandemia permanente e per tenere alla larga la propaganda Lgbtq+ dalle scuole, facendo saltare l’applausometro con la frase: «Abbiamo scelto i fatti invece della paura sul Covid, abbiamo scelto l’educazione invece dell’indottrinamento sul resto».Se la Florida è diventata un laboratorio politico nazionale alternativo all’allegro progressismo dei desideri universali, molto lo deve a questo ex marine di 44 anni, figlio di un installatore di tv e di un’infermiera, con il pedigree old America: studi a Yale, laurea in Legge ad Harvard, promessa del baseball universitario, in prima linea a Fallujah e Ramadi in Iraq, decorato con la «stella di bronzo» durante la seconda Guerra del Golfo, impegnato a Guantanamo come carceriere dei terroristi, congedato da capitano di corvetta. Cattolico osservante con trisnonna emigrata da Avellino, che non guasta alla narrazione. È sposato con Casey Black, ex conduttrice di Golf Channel, e ha tre figli.È l’underdog per eccellenza. Il primo ad essere preoccupato è proprio Donald Trump, che potrebbe ritrovarlo come avversario alle primarie repubblicane come leader dei Tea Party. The Donald ha fiutato il pericolo e ha cominciato a definirlo «Ron DeSanctimonious» (Ron il bigotto). Poi lo ha minacciato: «Penso che se si candidasse potrebbe farsi molto male. Potrei dire di lui cose non lusinghiere, ne so più di chiunque altro, forse a parte sua moglie». Ron è il suo opposto: meno divisivo, per niente imprevedibile, amministratore dal valore riconosciuto. La risposta dello Stato all’uragano Ian, uno dei più violenti della storia americana, è stata definita eccellente a denti stretti anche dai media schierati a sinistra. La sua ascesa nel mondo conservatore è un fatto, anche perché l’età e i guai giudiziari risultano pesanti palle al piede del grande capo.Spiazzante senza essere circense, pragmatico e non istintivo, DeSantis piace perché studia i dossier e sa colpire il ventre molle dell’America che ha dimenticato il suo destino nella Storia. Durante la pandemia si è opposto alla dittatura sanitaria, non ha mai imposto leggi liberticide. Accusato di voler andare incontro a conseguenze catastrofiche, ha replicato con i dati: i decessi della Florida sono stati nella media «ma non abbiamo distrutto l’economia e non abbiamo tradito le libertà, vero patrimonio dell’intera nazione». In quel momento è diventato il governatore conservatore più amato. Inflessibile sulla regolamentazione dei flussi migratori, ha richiamato l’attenzione del mondo con un gesto provocatorio che piacerebbe a Matteo Salvini: ha spedito due aerei di clandestini a Martha’s Vineyard, il santuario kennediano dei democratici, al grido di «allora prendeteveli voi».I suoi nemici giurati sono i big tech «che hanno il potere di investire sui loro social network per influenzare il pensiero della gente». È stato lui ad affrontare per primo il problema Mark Zuckerberg e a mettere in piazza il finanziamento di 419 milioni ai democratici (definito «Zuckerbucks», i verdoni di Zucker), effettuato dal patron di Facebook sotto la definizione «non profit» per condizionare le ultime elezioni presidenziali. Da tempo gli esperti di comunicazione studiano l’impatto sociologico di una sua scelta lessicale: per definire gli avversari, Ron non usa mai le parole liberal, progressisti, democratici, ma semplicemente «woke». Nel senso più deteriore, quello del politicamente corretto fine a se stesso. E sogna di trasformare la Florida nel «primo Stato woke free».Firmatario di una legge che vieta l’aborto dopo la 15ª settimana di gravidanza, ha attuato un braccio di ferro contro la potenza multimediale della Disney, revocandole i privilegi fiscali a Orlando. Motivo, la svolta gender dell’impero dell’animazione e dei villaggi a tema, con il surreale revisionismo sessuale per il quale Tom e Jerry sarebbero razzisti, Cappuccetto rosso, Cenerentola e la Sirenetta fiabe sessiste. Ha anche impedito con un provvedimento (chiamato Don’t Say Gay dai cultori del woke) che nelle scuole si tenessero conferenze sui generi sessuali agli allievi fino alla terza elementare.Chi non lo ama lo accusa di integralismo. Alle ultime elezioni ha fatto di tutto per dare ragione ai critici con uno spot nel quale si definisce «combattente di Dio». L’ex presidente repubblicano Michael Steel lo ha liquidato così: «Non ho bisogno che DeSantis diventi Gesù, mi basta che si confermi governatore della Florida». Spunta blu, fatto.