2020-08-05
Roma naufraga tra buche e rifiuti. Ma la Raggi pensa all’antifascismo
Il sindaco, che punta a un altro mandato, deve accreditarsi a sinistra: perciò rinomina strade e metro, attacca Casapound e con «Repubblica» parla solo di Ventennio. Intanto la Capitale precipita nel degrado.Nel mondo alla rovescia di Virginia Raggi, l'allarme a Roma non riguarda sporcizia, degrado e disservizi, bensì il ritorno del fascismo. Pertanto la «sindaca», di solito poco loquace, spreca una delle sue poche interviste per sproloquiare di Ventennio e toponomastica antirazzista.Va bene che le domande le fanno i giornalisti, in questo caso quelli di Repubblica. E va bene che alla Raggi, che come amministratrice è stata un disastro, non fa gioco parlare dei problemi della sua città. Ma se l'inquilina del Campidoglio si muove con solerzia solo se deve sfrattare Casapound, rinominare strade e metrò, o liquidare il Museo del fascismo, proposto dai suoi stessi consiglieri, affiora il sospetto che la grillina sia completamente scollegata dalla realtà. Abbiamo la capitale più lercia d'Europa e la Raggi di che si preoccupa? Del fascismo. Le buche? Figuriamoci. Qualche giorno fa, un ultraottantenne s'è gravemente infortunato, finendo con il monopattino, tanto caro ai 5 stelle, dentro una delle voragini in centro. Due settimane fa, un cratere ha inghiottito un disabile che attraversava con l'aiuto del deambulatore, nel quartiere San Paolo. In tutta Roma, sono stati censiti, nel mese di marzo, oltre 240 tratti con pavimentazione dissestata. Per gli incidenti, il Comune ha sborsato quasi due milioni di risarcimenti nel solo 2018. Ma la priorità per la Raggi è un'altra: la lotta al fascismo. Al quale, peraltro, era riuscita ad attribuire persino la colpa degli alberi che vengono giù.L'ennesimo episodio, pochi giorni fa, a piazza Venezia: un pino s'è abbattuto sulla Mercedes di una signora la quale, per fortuna, se l'è cavata con un codice giallo. «Le radici erano marce», ha spiegato l'agronoma intervenuta per i rilievi. «La vita non li spezza», cantava Antonello Venditti dei «pini di Roma». Allora, sarà stato un sabotaggio delle camicie nere? Tragedia sfiorata anche nel quartiere Nomentano, lunedì: un ramo si è staccato ed è rimasto a penzoloni. Ma da quello stesso albero, il 29 giugno, se n'era spezzato un altro, crollato su motorini e auto in sosta. Quelle piante non venivano potate da 12 anni. A impedire lo sfoltimento c'era un picchetto fascista?I guai di Roma sono innumerevoli. E non hanno a che fare con gli squadristi. Ci sono invece gli autobus, che di «auto» hanno soprattutto la combustione: negli ultimi quattro anni, ne sono andati in fiamme 145. Ci sono le metropolitane: le ultime serrate sulla linea A risalgono a un mese fa. Il Messaggero ha calcolato una media di un guasto ogni cinque giorni. In piazza Venezia, il prolungamento della metro C prosegue a rilento. I lavori sul manto stradale si protrarranno fino a ottobre. Il piano sanpietrini, intanto, ha suscitato l'ironia di parecchi cittadini, vista la faciloneria con cui la Raggi - stavolta non senza i suoi buoni motivi - ha snobbato il tipico lastricato della Capitale.Poi c'è il capitolo monnezza. Riccardo Chiaberge, qualche settimana fa, ha battezzato «eau de Rocca Cencia» l'olezzo che attanaglia la metropoli. L'unica del continente ancora costellata di cassonetti, che si riempiono presto ma vengono svuotati tardi: così, specie d'estate, passanti e residenti vengono deliziati da fragranze di umido, pesce marcio, cartone unto, plastiche riarse. Delizia per i topi, che a Castel Sant'Angelo ormai passeggiano come turisti. Ogni quartiere ha le proprie «sorche». Alcune sono nere: sguinzagliate dai camerati?«Roma è in agonia», ha scritto il Corriere. Però la «sindaca» vive su Marte. E i fascisti, come insegna Corrado Guzzanti, stanno pure lì. Lei li considera una minaccia attualissima: «In una situazione come quella creata dagli strascichi del Covid», ha spiegato a Repubblica, «è importante vegliare su chi soffia sul fuoco della disperazione». Sicuro: i fascisti sono quelli che interpretano il dissenso, mica quelli che sognano di reprimerlo a colpi di stati d'emergenza. Il fatto è che la prima cittadina, la quale punta alla rielezione nonostante i sibillini consigli di desistenza da parte di Beppe Grillo («Virgi', Roma nun te merita»), non può giocarsi una campagna elettorale sulla buona amministrazione. E chi non sa parlare al popolo, che fa? Si rifugia nei palazzi. La Raggi s'affida alle somme algebriche dei partiti: a tal fine, deve accreditarsi con il Pd, provando almeno a replicare il patto di non belligeranza dell'amica-nemica Roberta Lombardi. Colei che, in Regione, ha tenuto in piedi Nicola Zingaretti. Perciò la «sindaca» vede fascisti ovunque. Perciò, a novembre scorso, aveva salutato come un «atto storico» la nuova intitolazione agli scienziati antifascisti delle vie prima dedicate ai firmatari del Manifesto della razza. E perciò s'è affrettata a dar seguito a una petizione, ignorando il no del VII Municipio, per attribuire alla stazione metro di via dell'Ambaradan il nome di Giorgio Marincola, il primo partigiano nero d'Italia. Nero perché nacque in Somalia, eh, mica per il colore della divisa. Alle stesse logiche risponde l'improvvisa stretta sull'immobile occupato da Casapound: lo sgombero non è ancora avvenuto, ma è il segnale che conta. Molto diverso dall'indulgenza che la Raggi aveva mostrato nei confronti della Casa delle donne, giubilando su Twitter, quando pareva che con il Milleproroghe lo Stato si sarebbe accollato i debiti dell'associazione verso il Comune. Così, è senza clamore che, saltato il salvataggio di Stato, il Campidoglio, pochi giorni fa, è andato a reclamare un milione di euro dalle femministe morose. Per la capitale, quello della Raggi è un gioco a perdere: se, camminando, rischi di romperti una gamba, della toponomastica politicamente corretta te ne infischi. Ecco la fine della città più affascinante del pianeta: «Orgogliosamente antifascista», ma fetida come una fogna. Più che Roma Capitale, una pena capitale.