2023-04-24
Edoardo Rixi: «Per le grandi opere il Pnrr è inutile»
Edoardo Rixi (Imagoeconomica)
Il viceministro alle Infrastrutture: «Bruxelles ci ha legato le mani, proveremo a correggere il piano. Col ponte di Messina torneremo centrali nel Mediterraneo. E rafforzando i nostri porti possiamo sfidare Cina e Turchia».L’Italia orgogliosa di sé e del suo ruolo al centro del Mediterraneo, capace di costruire materialmente il futuro rilanciando la sfida del suo saper fare tecnico e delle sue abilità imprenditoriali, con una maggiore capacità di pressione sull’Europa, dove deve stare da protagonista anche grazie a un’articolazione «federale» ed efficiente dello Stato. È il paradigma di Edoardo Rixi. Viceministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, è diventato «l’uomo del ponte». Tutti chiedono a lui per sapere cosa pensa e fa Matteo Salvini, il suo ministro. Ma più ancora il suo amico. Rixi, genovese, 49 anni, solidissima formazione economica, ha percorso il cursus honorum leghista in Liguria, poi il «capitano» lo ha voluto vicesegretario nazionale e al ministero di Porta Pia – una breccia Rixi l’ha davvero aperta nelle stanze ovattate che aggettano sul monumento al bersagliere – c’era già stato col governo «gialloverde». Appassionato di montagna, deve scalare i sentieri impervi della burocrazia e della cultura del «no» a prescindere per mettere un campo base: l’ammodernamento infrastrutturale. Parliamo mentre sta tornando a Genova dalle Marche, nel giorno in cui l’Italia è divisa in due da un treno deragliato e si capisce che tra autostrade e ferrovie lo sviluppo è una via crucis. «Stiamo pagando», sottolinea tra l’amareggiato e l’irato, «ritardi ed errori di decenni. Quando hanno fatto l’Alta velocità non hanno pensato di separare il percorso dei treni veloci da quello dei convogli merci. È la seconda volta che a Firenze c’è un incidente anche banale e l’Italia si blocca. In quel punto c’è una strozzatura. C’è da tempo in programma la soluzione dello snodo di Firenze dove i binari normali corrono paralleli a quelli dell’alta velocità, ma i 5 Stelle, parte della sinistra e le inchieste hanno bloccato tutto. Sono sette chilometri cruciali in sotterranea tra Castello e Rifredi sbucando a Campo di Marte, ma per farli ci vogliono anni, i cantieri partiranno entro maggio».Non è che il resto delle ferrovie stia messo benissimo…«Vero, c’è il nodo di Milano che ha un segnalamento vetusto e dobbiamo rifare una circonvallazione ferroviaria, c’è il potenziamento delle linee secondarie e delle direttrici come il corridoio 5, quello che va a Est. C’è da riprogrammare i lavori ferroviari, ma bisogna rinnovare i vertici di Rfi. Lo faremo tra breve».Un nome la Lega ce l’ha per Rfi?«Sì ma non lo dico neanche sotto tortura».Sta tornando dalle Marche, ha visto il «disastro» dell’A14?«Sono andato per il porto di Ancona dove vorremmo ampliare gli spazi dopo che abbiamo sbloccato l’interporto e per l’aeroporto abbiamo assicurato continuità territoriale. Non si possono lasciare territori “isolati”. Vale anche per il Friuli Venezia Giulia, per la Sardegna e in parte per la Liguria. Le autostrade nelle Marche, come in Liguria, sono un problema su cui però noi non possiamo agire».Ma come? Non avete revocato le concessioni?«No, hanno solo pagato la buonuscita ai Benetton vendendo a due fondi esteri e a Cdp che hanno ora le concessioni. Non si può chiedere ai nuovi di farsi carico delle passate gestioni. Dopo la tragedia del Morandi si poteva pretendere da loro di rendere conto di tutti i danni che hanno fatto sulla rete».Ponte di Messina: è deciso? Dicono che non avete i soldi, che nel Def non c’è nulla.«Nel Def non poteva esserci nulla. Semmai la spesa dovrebbe essere indicata nella Legge di stabilità. Fin quando l’opera non è approvata è ovvio che non può esserci la previsione d’investimento. La polemica sul Def la dice lunga però sulla superficialità e strumentalità di certe prese di posizione. Noi correttamente abbiamo stimato la spesa tenendo conto delle variazioni di prezzo intervenute, non come hanno fatto col Pnrr dove si sono dimenticati di aggiornare i prezzi. Il ponte è fatto quasi interamente di ferro e il ferro è aumentato del 40% perciò la nostra stima è che costerà attorno ai 14 miliardi. C’è un altro miliardo per adeguare gli impianti e le opere di contorno. In questi anni da quando la progettazione fu sospesa in quelle aree è cresciuto di tutto: case, strade. Si tratta di ripristinare le migliori condizioni realizzative». Allora si fa? «Va fatto. E i soldi si trovano. Per il ponte di Messina ci sono tutte le condizioni perché diventi un’opera di livello europeo, la più significativa di tutto il Mediterraneo. In Africa e nell’Est, l’Italia deve essere sfidante e deve ritrovare con grandi opere la sua centralità. Avevamo una leadership assoluta nelle grandi opere, ma negli ultimi 15 anni sono spariti 120.000 aziende, 600.000 addetti e 8 grandi gruppi di valore internazionale. Oggi gran parte di quella ricchezza non esiste più. Nel 2018 dopo la tragedia del Morandi abbiamo dimostrato di essere capaci di fare meglio e più in fretta di chiunque. Dobbiamo fare opere sfidanti. Anche per la manutenzione dobbiamo tenere in vita queste capacità, altrimenti in futuro non ce la faremo e non potremo competere in Africa dove nei prossimi 30 anni ci sarà un forte sviluppo infrastrutturale. Abbiamo il 55% di opere d’arte - intendo viadotti, gallerie, ponti - dell’intera Europa, in media nel continente c’è il 24% di opere d’arte a chilometro di strada o ferrovia, in alcune regioni come la Liguria si arriva al 60%».Pnrr, perché non partono i lavori?«Le grandi opere non stanno e non possono stare nel Pnrr. Si è fatta una comunicazione un po’ fuorviante su questo. Il Pnrr è stato concepito per immettere risorse in fretta nell’economia dopo la pandemia. Ha un orizzonte inferiore a cinque anni e con cosi poco tempo a disposizione le grandi opere non si fanno. È uno strumento finanziario che va bene per chiudere lavori già iniziati».Allora tagliare progetti e restituire i soldi non spesi?«Da genovese dico che i soldi si tengono e si spendono bene. E si cerca di correggere anche il Pnrr per come l’ha concepito Bruxelles. Se ci avessero dato i soldi per adeguare ad esempio il parco circolante dell’autotrasporto, avremmo meno inquinamento di quello che riduce il Pnrr così com’è formulato. Considerato che continueremo per anni ad avere l’80% del traffico merci su gomma, tenere in strada dei camion euro 1 o euro 3 inquina. Se avessimo aiutato le imprese a sostituirli con mezzi meno inquinanti avremmo risolto molto di più».I cinesi si stanno comprando i nostri porti. Serve la golden share?«Sui porti dobbiamo investire. Va cambiata la ragione giuridica degli enti portuali, va fatta una riforma complessiva, dobbiamo essere consapevoli che siamo gli unici in grado di esercitare una leadership mediterranea per la posizione geografica. Ci hanno estromesso dalla Libia, non possiamo consentire che esploda la Tunisia, dobbiamo tornare protagonisti nel Mediterraneo dove cinesi e turchi hanno mostrato una straordinaria capacità di penetrazione. Non è il caso di parlare di golden share anche perché i porti sono per ora enti non economici, ma di centralità della nostra portualità. Ad esempio, se va avanti il cambiamento climatico il Nord Europa si troverà con i porti fluviali in secca».Con Giancarlo Giorgetti avete discusso di questa necessità di ripatrimonializzare l’Italia?«Col ministro Giorgetti abbiamo un ottimo rapporto: lui fa della prudenza e della concretezza le linee guida della sua azione. Siamo però consapevoli, come si fa anche nelle aziende, che senza investimenti non si produce ricchezza. E questo stiamo facendo, tutti insieme».Elly Schlein che dice sì al termovalorizzatore di Roma archivia la stagione del no alle opere pubbliche da parte di Pd e sinistra?«Vuol dire che la Schlein si è convinta che il termovalorizzatore di Roma è una necessità assoluta e questo mi sembra un bene. Mi auguro che il Paese capisca che non c’è spazio per la cultura del no, se l’Italia vuole rimanere tra i leader del mondo deve trovare soluzioni intelligenti e non ideologiche. Vedremo se il sì della Schlein segna un cambiamento, ma mi pare presto per dirlo».A proposito dei no, come siamo messi con la Tav?«Sulla Tav noi andiamo avanti bene, sono i francesi in ritardo nel loro tratto nazionale. Con loro abbiamo anche problemi per la realizzazione della seconda canna del Monte Bianco. Invece sul Brennero gli austriaci hanno messo limitazioni insensate al nostro autotrasporto per cui il ministro Salvini sta valutando una eventuale richiesta di infrazione a Bruxelles. Con la Svizzera abbiamo un ottimo rapporto e può rappresentare un hub logistico per le nostre merci dirette oltralpe. Per noi i valichi sono indispensabili per collegare l’Europa al Mediterraneo».Milita da sempre nella Lega, come concilia le grandi opere col federalismo?«Ci sono Paesi come la Germania che, con un governo federale, ha dimostrato di essere più dinamica nella realizzazione delle grandi infrastrutture rispetto a uno Stato centralista come il nostro. È giusto che i territori si assumano la responsabilità di fare ciò che è necessario avendo in cambio le risorse che servono. I cittadini giudicheranno direttamente l’operato degli amministratori locali evitando che paghi sempre Pantalone: i costi standard, le incompiute, le inefficienze non devono essere ripianate a piè di lista con le tasse di tutti. Maggiore autonomia, anche finanziaria, maggiore responsabilità dei territori e più autorevolezza dello Stato. Questa è la formula».