2023-09-09
Rivogliono i diktat che la scienza ha bocciato
Senza più Roberto Speranza, Walter Ricciardi piange i tagli alla sanità e intona la litania dei vaccini. Ma ormai è provato che le pazzie del rischio zero hanno fatto danni gravi. Nuove norme per gli ospedali: tamponi solo per i sintomatici.L'ex consulente del già ministro della Salute ricomincia a invocare le punture. E scopre ora i tagli sui quali aveva sorvolato.Lo speciale contiene due articoli.Bisogna seguire la scienza, dicono. E seguiamola. Davvero. È ripartita la tiritera sui contagi da Covid, che dovrebbe trainare un’altra tornata di vaccinazioni. E sono riemersi discorsi inquietanti su pratiche sanitarie da era Speranza, a cominciare dall’uso delle mascherine. Perciò è il caso di ricordare, a chi, come il fisico Roberto Battiston, sostiene che l’autunno «deve preoccuparci», cosa attestano le evidenze sui provvedimenti adottati durante la pandemia. Così vedremo chi sono quelli che danno retta alla scienza e quelli che la usano come foglia di fico della propaganda politica.Partiamo proprio dalle coperture per le vie respiratorie, simbolo della «nuova normalità» durante la stagione del virus. Già nel 2019, l’Oms aveva pubblicato un dettagliato manuale dedicato alle misure non farmaceutiche per contrastare le epidemie influenzali. A pagina 26 del documento, si leggono le seguenti conclusioni: «Non c’è alcuna prova che le mascherine siano efficaci nel ridurre la trasmissione» dei patogeni. Non basta? L’anno seguente, è stata Policy Review a mettere sotto esame i bavagli. Ecco con quale formula tirava le fila il mensile dei Centers for disease control and prevention americani (Cdc): «Sebbene studi meccanicistici supportino l’effetto potenziale dell’igiene delle mani o delle mascherine, le prove raccolte da 14 trial randomizzati controllati su tali misure non hanno avvalorato un effetto significativo sulla trasmissione dell’influenza». E non è finita.Citiamo la maxi revisione diffusa lo scorso gennaio da Cochrane, l’associazione internazionale che monitora sicurezza ed efficacia degli interventi sanitari. Il paper rispondeva a una domanda precisa: «Misure fisiche come il lavaggio delle mani o l’uso delle mascherine fermano o rallentano la diffusione dei virus respiratori?». Risposta, basata sull’analisi di 78 ricerche: «Rispetto al non indossare mascherine […], indossarle potrebbe fare poca o nessuna differenza quanto al numero di persone che hanno contratto una sindrome simil-influenzale o tipo Covid». Quanto al raffronto tra chirurghe e Ffp2, sia nel contesto ospedaliero sia in quello comunitario, il tessuto in teoria più filtrante non ha mostrato risultati superiori. Badate bene: questo non significa che, di per sé, le mascherine non abbiano la capacità meccanica di schermare dai virus. Il punto è che andrebbero utilizzate seguendo una serie di scrupoli e precauzioni che, nella vita di tutti i giorni, sono semplicemente improponibili: andrebbero sostituite ogni tre-quattro ore, non andrebbero infilate in tasca o legate al gomito, non andrebbero rimesse per troppi giorni di fila, dovrebbero coprire correttamente tanto il naso quanto la bocca… In parole povere: testate sul campo, sui grandi numeri, il loro impatto è per lo meno dubbio, quando inesistente. Arrivati a settembre 2023, dovrebbe essere superfluo spiegare che i lockdown sono inservibili e dannosi. Persino l’Oms, non volendo, s’è lasciata scappare la verità e ha ammesso che, se la gente resta in casa, le infezioni aumenteranno. Sarebbe bastato un medico condotto di quarant’anni fa per capirlo, ma almeno adesso abbiamo il timbro di un’agenzia Onu. A nessuno venga in mente, comunque, di suggerire chiusure parziali. Ad esempio, di spedire gli studenti a casa per qualche periodo: l’impatto sulla diffusione del Sars-Cov-2 si è rivelato trascurabile e non si capisce quali pericoli corrano i ragazzini. Dopodiché, è facile immaginare che il martellamento di media e «competenti» sia collegato a uno scopo obliquo: promuovere un altro round di iniezioni. Le autorità regolatorie hanno appena approvato i preparati di Pfizer aggiornati - si fa per dire - alla variante Kraken, che è stata soppiantata da Eris e Pirola. E il ministero raccomanda in primis ad anziani e fragili di porgere il braccio, benché la platea inoculabile parta dai bimbi di sei mesi. Chi è in avanti con gli anni, o soffre di qualche patologia grave, valuterà liberamente, ascoltando il proprio medico curante, se dare un’altra bottarella al sistema immunitario. In fondo, neppure l’influenza stagionale è esente da rischi, per certe categorie di pazienti. Tuttavia, i vaccini che continuano a offrirci non bloccheranno i contagi e non salveranno chi, essendo sano e relativamente giovane, è già al sicuro. Senza contare che i dati invitano alla prudenza: in Inghilterra, tra gli under 40 con quattro dosi è stata registrata un’inopinata impennata di decessi. È una buona idea seguitare il bombardamento di punture, senza aver prima fatto chiarezza sugli effetti avversi? D’altro canto, a rigor di logica, un’ipotesi esclude l’altra: o i vaccini hanno funzionato, quindi non c’è più emergenza; o c’è emergenza, quindi i vaccini non hanno funzionato.Intanto, per fortuna, abbiamo maturato delle certezze sui protocolli di cura del Covid. L’epopea di paracetamolo e vigile attesa dovrebbe essere terminata. Abbiamo a disposizione gli antinfiammatori e siamo pieni di antivirali. Da ultimo, la squadra del professor Carmine Gazzaruso, responsabile del Centro di ricerca clinico e dell’Istituto clinico Beato Matteo di Vigevano (Gruppo San Donato), ha scoperto che una combinazione di vecchi antistaminici e farmaci antiulcera è utile a combattere i sintomi del long Covid. Lo studio, condotto in collaborazione con la Statale di Milano, l’Irccs MultiMedica di Sesto San Giovanni e il Centro medico Ticinello di Pavia, offre una promettente via d’uscita dall’ultima temuta emergenza: gli strascichi del coronavirus.Dinanzi a un quadro del genere, che senso ha rispolverare il repertorio allarmistico? Che motivo c’è di rimettersi a parlare di mascherine, isolamento e profilassi? È giusto monitorare, è ingiustificabile spaventare. A meno che le prefiche del Covid non siano, in realtà, gli agenti di commercio di Pfizer & C. Sarebbe un altro paio di maniche. Non scienza. Semmai, pubblicità.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/rivogliono-diktat-che-scienza-bocciato-2665114079.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pur-di-tornare-al-regimetto-il-professor-lockdown-ammette-di-essere-un-politico" data-post-id="2665114079" data-published-at="1694229596" data-use-pagination="False"> Pur di tornare al regimetto il professor Lockdown ammette di essere un politico Walter Ricciardi, ex consulente del già ministro della Salute, Roberto Speranza, ha scelto l’8 settembre per annunciare la resa nei confronti del Covid. «Trattarlo come un’influenza è un delitto dal punto di vista della sanità pubblica», dichiarava ieri a Quotidiano Sanità. «Servirebbe una grande campagna vaccinale con una promozione attiva del vaccino. Se non c’è promozione attiva ci saranno coperture vaccinali scarse», sentenzia il professore. Non è l’intervento di un ex addetto ai lavori, destituito di ogni credibilità dopo la gestione della pandemia, ma un proclama politico in qualità di responsabile sanità di Azione. Dichiara che la battaglia contro il virus è persa, se non ci rassegniamo a richiami continui. Guarda caso, la sua sortita avviene poche settimane prima dell’avvio della campagna vaccinale d’autunno. Pura illusione, credere che il Covid sia diventato endemico. «Il Covid non è un’influenza», sostiene Ricciardi. Dopo quasi quattro anni, ancora dobbiamo sopportare le lezioni di un esperto solo di giravolte. Era il febbraio 2020, quando ex l’ex presidente dell’Istituto superiore di sanità pensò bene di rassicurare sul coronavirus in quanto «meno pericoloso dell’attuale pandemia influenzale». Aggiungeva: «Va comunque preso sul serio, come tutti i virus respiratori, ma senza esagerare facendosi prendere dal panico». Criticava il blocco dei voli aerei deciso da Speranza, definendolo «inutile e sbagliato», sosteneva l’inutilità dell’indossare mascherine e del fare i tamponi agli asintomatici (su questo punto, venne tragicamente smentito dai fatti). Pochi mesi dopo, già aveva iniziato a seminare terrore: «Tutte le varianti del virus Sars-Cov-2 sono temibili e ci preoccupano». Il professor Lockdown, che sapeva solo indicare la strada delle chiusure, del blocco delle attività, di tutti confinati a casa additando come esempio il modello cinese dello zero Covid (si rivelò fallimentare, quando il Dragone allentò le restrizioni e centinaia di milioni di cinesi si contagiarono), nel frattempo che cosa stava suggerendo per salvare il sistema sanitario nazionale che oggi vede «in punto di crisi»? L’ordinario di igiene preventiva, fautore del controllo ossessivo della popolazione, («La strada maestra sarebbe quella di tracciare la stragrande maggioranza degli italiani ed isolare quelli che sono infetti […]. Se ne potrebbe uscire in 8 giorni», fu una delle sue grottesche sparate), si limitava a sottolineare i ritardi e i finanziamenti che non c’erano stati. O i pochi interventi programmati. «Ora ci troviamo a recuperare tempo perduto, 10 anni in pochi mesi, è chiaro che non ce la facciamo», si lamentò a dicembre 2020 nel salotto di Lilly Gruber su La 7. Oggi afferma: «Di medici ce ne sono, con i dovuti incentivi il Ssn non avrebbe grandi problemi a reperirli», però tre anni fa dichiarava che c’era «bisogno di medici e infermieri specializzati, dove li troviamo se ora questi non ci sono? E perché non ci sono? Perché sono andati a lavorare in Germania». Un’idea chiara è capace di mantenerla nel tempo, l’ex consulente di Speranza? «Noi siamo dei consiglieri scientifici. Diamo dei dati alla decisione che deve naturalmente essere esclusivamente politica. E sulla base dei nostri dati i prossimi mesi saranno terribili», scandiva a novembre 2020 ospite della trasmissione Agorà, su Rai 3. A settembre aveva detto che il Paese «non è al sicuro, è vittima dei tagli del passato e parte da un handicap notevolissimo che deve recuperare». In occasione della presentazione del rapporto annuale sull’innovazione in campo sanitario e farmaceutico dal titolo «Riportare la sanità al centro», spiegava che «ora dobbiamo rafforzare l’ospedale in maniera stabile, sostanzialmente mettendo più risorse. E queste risorse ci sono nel Recovery fund, nel Mes e nella Sure. Sono questi i fondi internazionali a cui possiamo attingere». Annunci privi di fondamento, promesse rimaste incompiute. Ricciardi si vantava di ricevere «richieste di informazione da tutto il mondo. Mi chiedono qual è il modello italiano. Il nostro modello è semplicemente quello di scienziati che parlano in particolare modo con il ministro della Salute, che si fa carico di andare in Consiglio dei ministri a difendere, a volte anche litigando, le ragioni della evidenza scientifica, facendo capire a tutti, innanzitutto al ministro dell’Economia, a cui va dato atto che ha sempre capito in maniera molto adeguata, che non ci può essere economia se non c’è salute». Il professore ossessionato dalle chiusure come unica arma per contrastare la circolazione del virus, mentre hanno devastato l’economia, la salute fisica e mentale dei cittadini, oggi parla di potenziare l’assistenza territoriale. Perché non ne fece parola quando era consulente di Speranza? Interventi domiciliari avrebbero salvato molte vite, evitato il collasso degli ospedali e ridimensionato l’emergenza. Adesso, come allora, Ricciardi vuole solo il controllo sanitario della popolazione. Spaccia per evidenza scientifica la necessità di nuove vaccinazioni, ma nessuno gli presta più attenzione e prova a giocare la carta della credibilità politica.
Susanna Tamaro (Getty Images)
Nel periodo gennaio-settembre, il fabbisogno elettrico italiano si è attestato a 233,3 terawattora (TWh), di cui circa il 42,7% è stato coperto da fonti rinnovabili. Tale quota conferma la crescente integrazione delle fonti green nel panorama energetico nazionale, un processo sostenuto dal potenziamento infrastrutturale e dagli avanzamenti tecnologici portati avanti da Terna.
Sul fronte economico, i ricavi del gruppo hanno raggiunto quota 2,88 miliardi di euro, con un incremento dell’8,9% rispetto agli stessi mesi del 2024. L’Ebitda, margine operativo lordo, ha superato i 2 miliardi (+7,1%), mentre l’utile netto si è attestato a 852,7 milioni di euro, in crescita del 4,9%. Risultati, questi, che illustrano non solo un miglioramento operativo, ma anche un’efficiente gestione finanziaria; il tutto, nonostante un lieve aumento degli oneri finanziari netti, transitati da 104,9 a 131,7 milioni di euro.
Elemento di rilievo sono gli investimenti, che hanno superato i 2 miliardi di euro (+22,9% rispetto ai primi nove mesi del 2024, quando il dato era di 1,7 miliardi), un impegno che riflette la volontà di Terna di rafforzare la rete di trasmissione e favorire l’efficienza e la sicurezza del sistema elettrico. Tra i principali progetti infrastrutturali si segnalano il Tyrrhenian Link, il collegamento sottomarino tra Campania, Sicilia e Sardegna, con una dotazione finanziaria complessiva di circa 3,7 miliardi di euro, il più esteso tra le opere in corso; l’Adriatic Link, elettrodotto sottomarino tra Marche e Abruzzo; e i lavori per la rete elettrica dedicata ai Giochi olimpici e paralimpici invernali di Milano-Cortina 2026.
L’attenzione ai nuovi sistemi di accumulo elettrico ha trovato un momento chiave nell’asta Macse, il Meccanismo di approvvigionamento di capacità di stoccaggio, conclusosi con l’assegnazione totale della capacità richiesta, pari a 10 GWh, a prezzi molto più bassi del premio di riserva, un segnale di un mercato in forte crescita e di un interesse marcato verso le soluzioni di accumulo energetico che miglioreranno la sicurezza e contribuiranno alla riduzione della dipendenza da fonti fossili.
Sul piano organizzativo, Terna ha visto una crescita nel personale, con 6.922 dipendenti al 30 settembre (502 in più rispetto a fine 2024), necessari per sostenere la complessità delle attività e l’implementazione del Piano industriale 2024-2028. Inoltre, è stata perfezionata l’acquisizione di Rete 2 S.r.l. da Areti, che rafforza la presenza nella rete ad alta tensione dell’area metropolitana di Roma, ottimizzando l’integrazione e la gestione infrastrutturale.
Sotto il profilo finanziario, l’indebitamento netto è cresciuto a 11,67 miliardi di euro, per sostenere la spinta agli investimenti, ma è ben bilanciato da un patrimonio netto robusto di circa 7,77 miliardi di euro. Il consiglio ha confermato l’acconto sul dividendo 2025 pari a 11,92 centesimi di euro per azione, in linea con la politica di distribuzione che punta a coniugare remunerazione degli azionisti e sostenibilità finanziaria.
Da segnalare anche le iniziative di finanza sostenibile, con l’emissione di un Green Bond europeo da 750 milioni di euro, molto richiesto e con una cedola del 3%, che denuncia la forte attenzione agli investimenti a basso impatto ambientale. Terna ha inoltre sottoscritto accordi finanziari per 1,5 miliardi con istituzioni come la Banca europea per gli investimenti e Intesa Sanpaolo a supporto dell’Adriatic Link e altri progetti chiave.
L’innovazione tecnologica rappresenta un altro pilastro della strategia di Terna, con l’apertura dell’hub Terna innovation zone Adriatico ad Ascoli Piceno, dedicato alla collaborazione con startup, università e partner industriali per sviluppare soluzioni avanzate a favore della transizione energetica e della digitalizzazione della rete.
La solidità del piano industriale e la continuità degli investimenti nelle infrastrutture critiche e nelle tecnologie innovative pongono Terna in una posizione di vantaggio nel garantire il sostentamento energetico italiano, supportando la sicurezza, la sostenibilità e l’efficienza del sistema elettrico anche in contesti incerti, con potenziali tensioni commerciali e geopolitiche.
Il 2025 si chiuderà con previsioni di ricavi per oltre 4 miliardi di euro, Ebitda a 2,7 miliardi e utile netto superiore a un miliardo, fra conferme di leadership e rinnovate sfide da affrontare con competenza e visione strategica.
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Il presidente venezuelano Nicolas Maduro (Getty Images)
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha ordinato alle forze armate di essere pronte ad un’eventuale invasione ed ha dispiegato oltre 200mila militari in tutti i luoghi chiave del suo paese. il ministro della Difesa Vladimir Padrino Lopez sta guidando personalmente questa mobilitazione generale orchestrata dalla Milizia Nazionale Bolivariana, i fedelissimi che stanno rastrellando Caracas e le principali città per arruolare nuove forze.
L’opposizione denuncia arruolamenti forzati anche fra i giovanissimi, soprattutto nelle baraccopoli intorno alla capitale, nel disperato tentativo di far credere che la cosiddetta «rivoluzione bolivariana», inventata dal predecessore di Maduro, Hugo Chavez, sia ancora in piedi. Proprio Maduro si è rivolto alla nazione dichiarando che il popolo venezuelano è pronto a combattere fino alla morte, ma allo stesso tempo ha lanciato un messaggio di pace nel continente proprio a Donald Trump.
Il presidente del Parlamento ha parlato di effetti devastanti ed ha accusato Washington di perseguire la forma massima di aggressione nella «vana speranza di un cambio di governo, scelto e voluto di cittadini». Caracas tramite il suo ambasciatore alle Nazioni Unite ha inviato una lettera al Segretario Generale António Guterres per chiedere una condanna esplicita delle azioni provocatorie statunitensi e il ritiro immediato delle forze Usa dai Caraibi.
Diversi media statunitensi hanno rivelato che il Tycoon americano sta pensando ad un’escalation con una vera operazione militare in Venezuela e nei primi incontri con i vertici militari sarebbe stata stilata anche una lista dei principali target da colpire come porti e aeroporti, ma soprattutto le sedi delle forze militari più fedeli a Maduro. Dal Pentagono non è arrivata nessuna conferma ufficiale e sembra che questo attacco non sia imminente, ma intanto in Venezuela sono arrivati da Mosca alcuni cargo con materiale strategico per rafforzare i sistemi di difesa anti-aerea Pantsir-S1 e batterie missilistiche Buk-M2E.
Dalle immagini satellitari si vede che l’area della capitale e le regioni di Apure e Cojedes, sedi delle forze maduriste, sono state fortemente rinforzate dopo che il presidente ha promulgato la legge sul Comando per la difesa integrale della nazione per la salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale. In uno dei tanti discorsi alla televisione nazionale il leader venezuelano ha spiegato che vuole che le forze armate proteggano tutte le infrastrutture essenziali.
Nel piano presentato dal suo fedelissimo ministro della Difesa l’esercito, la polizia ed anche i paramilitari dovranno essere pronti ad una resistenza prolungata, trasformando la guerra in guerriglia. Una forza di resistenza che dovrebbe rendere impossibile governare il paese colpendo tutti i suoi punti nevralgici e generando il caos.
Una prospettiva evidentemente propagandistica perché come racconta la leader dell’opposizione Delsa Solorzano «nessuno è disposto a combattere per Maduro, tranne i suoi complici nel crimine. Noi siamo pronti ad una transizione ordinata, pacifica e che riporti il Venezuela nel posto che merita, dopo anni di buio e terrore.»
Una resistenza in cui non sembra davvero credere nessuno perché Nicolas Maduro, la sua famiglia e diversi membri del suo governo, avrebbero un piano di fuga nella vicina Cuba per poi probabilmente raggiungere Mosca come ha già fatto l’ex presidente siriano Assad.
Intanto il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso preoccupazione per i cittadini italiani detenuti nelle carceri del Paese, sottolineando l’impegno della Farnesina per scarcerarli al più presto, compreso Alberto Trentini, arrestato oltre un anno fa.
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