2021-08-06
Ristoratori in rivolta: «Non siamo sceriffi». Resta il nodo privacy
Proprietari contro l'onere dei controlli ai clienti. Il Piemonte fa appello al Garante: «Gli esercenti non sono pubblici ufficiali».Era solito dire Otto Von Bismark, che il ministro della Salute Roberto Speranza deve aver preso a modello, «meno la gente sa di come sono fatte le salsicce e le eleggi e più è contenta!». Quando si tratta di bar e ristoranti va così, solo che la gente s'arrabbia. Scatta da oggi il famoso salvacondotto vaccinale che impone ai gestori di farsi gendarmi e ai cittadini di farsi sudditi. Senza il foglio verde che testimonia l'inoculazione e abilita alla vita non si può andare al ristorante al chiuso, né sedersi al tavolino di un bar sempre al chiuso. E il salvacondotto devono averlo tutti da 12 anni in su. Non si possono fare molte altre cose, ma una è consentita: consumare al bancone del bar. Cento giorni fa invece sono fioccate multe e alcuni esercizi sono stati chiusi perché il «decreto riaperture» del 21 aprile numero 14 vietava la consumazione al bancone. Da oggi è tutto il contrario.È vero che il virus muta, ma a star dietro alle grida di Speranza & Cts c 'è da perder la testa. E anche la pazienza. L'hanno ripersa i ristoranti e i bar di tutta Italia che si sentono presi in giro e protestano pronti a tornare in piazza anche perché ieri governo e cabina di regia hanno ribadito che in albergo si può fare tutto. E questa è concorrenza sleale. Dalla Brianza a Napoli - dove ieri sera c'è stata l'ennesima fiaccolata di protesta contro il governo e Mario Draghi - il coro dei ristoratori è unanime: non vogliamo fare gli sceriffi, il controllo sul green pass e sui documenti dei clienti non spetta a noi. La mossa più pressante l'ha fatta la Regione Piemonte con l'assessore agli Affari legali, Maurizio Marrone, che ha scritto al Garante nazionale della privacy «per avere conferma che agli esercenti privati non possano, e non debbano, essere attribuite funzioni tipiche dei pubblici ufficiali; hanno ragione le associazioni di commercianti ed esercenti quando affermano che un ristoratore non ha alcun obbligo e titolarità di identificare i propri clienti esigendo l'esibizione dei documenti di identità, quantomeno nell'ordinamento giuridico italiano». Sostiene il vicepresidente della Fipe-Confcommercio Aldo Cursano: «L'ipotesi di dover controllare anche i documenti d'identità viene vissuta con profondo disagio perché rappresenta un atto di sfiducia nei riguardi dei clienti, noi possiamo al massimo verificare il green pass, e di certo non può ricadere sui gestori la responsabilità della non veridicità dei documenti. Noi siamo sempre stati per l'autocertificazione e chiediamo che il decreto venga riscritto in questo senso. E poi c'è il paradosso che in piena stagione turistica dovremo respingere chi arriva da Paesi che hanno somministrato vaccini non riconosciuti dall'Ema». Il problema è serio assai perché - considerando che girano i pass falsi - se un ristoratore o un barista (moltissimi stanno chiudendo le sale interne consentendo solo consumazione al bancone che però può prolungarsi sine die) viene trovato con clienti non in regola prima si becca una multa di 1.000 euro, poi la chiusura del locale per dieci giorni. C'è chi va per le vie legali - come i ristoratori veneti che espongono da settimane il cartello «siamo ristoratori non controllori» e hanno fatto ricorso al Tar- e chi per le vie di fatto come il movimento «Io apro». Uno dei suoi leader, il fiorentino Momi El Hawy, annuncia disobbedienza civile: «Noi accetteremo chiunque nei nostri ristoranti, anche chi non è vaccinato.» Peraltro chi controlla il ristoratore? Le forze dell'ordine che dovrebbero egualmente vigilare sul green pass. A Napoli Massimo Di Porzio, presidente Fipe, spiega: «Ci sentiamo delle cavie, è l'ennesimo provvedimento che penalizza la ristorazione e distorce il mercato». In Brianza Giovanni Taino (Cna) sottolinea: «Non ho l'autorità per poter verificare i documenti privati dei clienti né di verificare se hanno fatto il tampone o hanno il green pass». Da Roma Paolo Bianchi del Mio dice: «Nessuna nostra impresa è disposta a fare i controlli: sono un aggravio di costo e allontano i clienti. ».Luigi Scordamaglia di Filiera Italia rincara: «Non si ha il coraggio d' intervenire là dove si dovrebbe sui trasporti, sui mezzi pubblici e si interviene là dove è meno utile, nei ristoranti al chiuso. Si parla di 1000 euro di multa: ci auguriamo siano a carico degli avventori non degli esercizi, i ristoratori non sono agenti di polizia». I provvedimenti sono contraddittori (un cameriere non ha l'obbligo del green quando serve ma deve averlo se cena) e la Coldiretti stima che «si perderanno 11 milioni di clienti: è un ulteriore danno per chi ha già perso 41 miliardi di fatturato». Gli anti pass peraltro hanno inondato i siti di recensioni negative dei ristoranti: è un danno d'immagine fortissimo. Non benedice il salvacondotto vaccinale don Diego Pallavicini parroco di Solarolo Raniero, nel cremonese, che ha annullato la sagra del paese. «Ci saranno solo le messe», annuncia, «è saltato tutto perché ci è stato imposto di richiedere il green pass, mi rifiuto di farlo. Ritengo che sia ingiusto e illecito, addirittura pericoloso: fa credere di non potersi contagiare e di non poter contagiare, cosa assolutamente falsa.» Nel borgo sale la protesta, ma tutta Italia è paese.
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