Rischio Dad pure con un solo positivo. Alla faccia delle promesse di Bianchi

«Mai più Dad», assicurò Patrizio Bianchi a settembre. Per correggersi subito dopo: «Ho innanzitutto detto che si torna in presenza». Ma anche la roboante promessa del ministro, quella di non costringere alla tortura delle lezioni a distanza l'intera classe, in caso di un singolo alunno risultato positivo al coronavirus, rischia di infrangersi sullo scoglio della realtà.
Ci spieghiamo. Ieri, in seguito all'emanazione delle linee guida sulle quarantene a scuola, agli istituti è arrivata una nota tecnica con le Indicazioni per l'individuazione e la gestione dei contatti di casi di infezione da Sars-Cov-2 in ambito scolastico. Un documento, redatto in collaborazione da Iss, ministero della Salute, Regioni e ministero dell'Istruzione, che tuttavia ribadisce quel che doveva essere già chiaro sin dal via libera al nuovo protocollo: e cioè, che il rientro in aula di una classe, posta in isolamento in seguito all'accertamento di un contagio, dipende esclusivamente dalla velocità con cui si eseguono i tamponi di verifica. Un'interpretazione che, alla Verità, conferma anche Antonello Giannelli, numero uno dell'Associazione nazionale presidi. Il quale, dunque, precisa: «Se i tempi tecnici con cui le Asl svolgono queste operazioni si allungano», allora il ritorno all'attività didattica in presenza viene ritardato. E finora, questi «tempi tecnici» sono stati rapidi? «Nooo», constata Giannelli, cui scappa un sorriso amaro. «C'è però da dire una cosa», precisa il dirigente: «Essendo quest'anno il numero di casi molto inferiore rispetto all'anno scorso, si può sperare che la situazione alla fine risulti più gestibile».
Speriamo, appunto. Il punto è che il sistema di testing, in Italia, è già sotto stress per via del green pass esteso: si esegue circa mezzo milione di tamponi al giorno e, in più, per quanto riguarda le scuole, sono i Dipartimenti di prevenzione locali a doversi occupare delle «azioni di sanità pubblica».
Il «rientro a scuola dei soggetti sottoposti a sorveglianza», si legge pertanto nella nota, «può avvenire solo se questi sono in possesso di attestazione rilasciata dai Servizi di igiene e sanità pubblica in merito all'effettuazione del tampone e all'avvenuto rilascio del relativo risultato, ovvero in seguito a una comunicazione da parte del Ddp». Ai presidi spetta il compito di informare il Ddp dell'emergenza e di individuare i «contatti scolastici» del positivo, ovvero compagni di sezione e gruppo nel caso delle scuole dell'infanzia, compagni di classe alle primarie e alle secondarie, e tutto il personale. Si considerano i contatti intervenuti nelle 48 ore prima dell'insorgenza dei sintomi nella prima persona risultata infetta, o nelle 48 ore precedenti all'esecuzione del tampone positivo. Da quell'istante, il dirigente «sospende temporaneamente le attività didattiche in presenza» per i soggetti coinvolti. La logica conseguenza è che, se il responso arriva il giorno stesso, si può davvero tornare immediatamente in aula. Altrimenti, toccherà aspettare i famigerati «tempi tecnici». Ergo, la prospettiva di conservare le lezioni in presenza, nell'eventualità di un singolo caso di Sars-Cov-2, sbandierata da Bianchi, potrebbe trasformarsi in un miraggio.
Le regole, poi, cambiano per le circostanze in cui dovessero affiorare non uno, bensì due casi di Covid: allora, vaccinati e guariti saranno sottoposti a sorveglianza ma potranno andare a scuola, mentre gli altri finiranno in quarantena. Un approccio che, come aveva già sottolineato La Verità, solleva un dilemma giuridico: gli istituti d'istruzione non possono sapere quale studente si sia sottoposto all'iniezione. La nota di ieri ribadisce che «tali dati non sono nella disponibilità della scuola e quindi non vanno trattati».
Soluzione? Sono le Asl, con il Ddp (che dovrebbe «individuare figure istituzionali che possano, in qualità di referenti, intervenire tempestivamente e in ogni fase della procedura a supporto del dirigente»), a stabilire, essendo a conoscenza del loro status vaccinale, quali alunni possono stare in classe e quali no. Così, però, la privacy va a farsi benedire: se vedo che il mio compagno di scuola è costretto all'isolamento, automaticamente capirò che non si è vaccinato.
Da un certo punto di vista, è più equa la procedura prevista nell'ipotesi in cui emergano almeno tre positività: quarantena per tutti. Viene solo da domandarsi in base a quale principio scientifico: se gli infetti sono due, al vaccinato basta dimostrare di non essere stato contagiato; se gli infetti sono tre, all'improvviso, chi si è inoculato le sue belle dosi deve chiudersi in casa. All'improvviso, gli anticorpi non gli bastano più? Contraddizione simile si registra nel trattamento dei docenti: se sono vaccinati, rientrano al lavoro con il tampone; se sono guariti entro gli ultimi sei mesi, però, devono farsi la quarantena come i colleghi non vaccinati.
Intanto, il monitoraggio pare una chimera. Le scuole sentinella, ad esempio, sono esperimenti rari. Di test salivari non si parla quasi più. E non risulta neppure un database pubblico e costantemente aggiornato sul numero di contagi scuola per scuola. Lo chiamavano «governo dei migliori».






