2021-11-07
Rischio Dad pure con un solo positivo. Alla faccia delle promesse di Bianchi
La nota sulla gestione dei casi di Covid conferma che, per un singolo infetto, la classe sta a casa fino al test, che però può richiedere giorni. Distinguere tra vaccinati e non spetta alla Asl, ma la privacy salterà lo stesso.«Mai più Dad», assicurò Patrizio Bianchi a settembre. Per correggersi subito dopo: «Ho innanzitutto detto che si torna in presenza». Ma anche la roboante promessa del ministro, quella di non costringere alla tortura delle lezioni a distanza l'intera classe, in caso di un singolo alunno risultato positivo al coronavirus, rischia di infrangersi sullo scoglio della realtà.Ci spieghiamo. Ieri, in seguito all'emanazione delle linee guida sulle quarantene a scuola, agli istituti è arrivata una nota tecnica con le Indicazioni per l'individuazione e la gestione dei contatti di casi di infezione da Sars-Cov-2 in ambito scolastico. Un documento, redatto in collaborazione da Iss, ministero della Salute, Regioni e ministero dell'Istruzione, che tuttavia ribadisce quel che doveva essere già chiaro sin dal via libera al nuovo protocollo: e cioè, che il rientro in aula di una classe, posta in isolamento in seguito all'accertamento di un contagio, dipende esclusivamente dalla velocità con cui si eseguono i tamponi di verifica. Un'interpretazione che, alla Verità, conferma anche Antonello Giannelli, numero uno dell'Associazione nazionale presidi. Il quale, dunque, precisa: «Se i tempi tecnici con cui le Asl svolgono queste operazioni si allungano», allora il ritorno all'attività didattica in presenza viene ritardato. E finora, questi «tempi tecnici» sono stati rapidi? «Nooo», constata Giannelli, cui scappa un sorriso amaro. «C'è però da dire una cosa», precisa il dirigente: «Essendo quest'anno il numero di casi molto inferiore rispetto all'anno scorso, si può sperare che la situazione alla fine risulti più gestibile». Speriamo, appunto. Il punto è che il sistema di testing, in Italia, è già sotto stress per via del green pass esteso: si esegue circa mezzo milione di tamponi al giorno e, in più, per quanto riguarda le scuole, sono i Dipartimenti di prevenzione locali a doversi occupare delle «azioni di sanità pubblica». Il «rientro a scuola dei soggetti sottoposti a sorveglianza», si legge pertanto nella nota, «può avvenire solo se questi sono in possesso di attestazione rilasciata dai Servizi di igiene e sanità pubblica in merito all'effettuazione del tampone e all'avvenuto rilascio del relativo risultato, ovvero in seguito a una comunicazione da parte del Ddp». Ai presidi spetta il compito di informare il Ddp dell'emergenza e di individuare i «contatti scolastici» del positivo, ovvero compagni di sezione e gruppo nel caso delle scuole dell'infanzia, compagni di classe alle primarie e alle secondarie, e tutto il personale. Si considerano i contatti intervenuti nelle 48 ore prima dell'insorgenza dei sintomi nella prima persona risultata infetta, o nelle 48 ore precedenti all'esecuzione del tampone positivo. Da quell'istante, il dirigente «sospende temporaneamente le attività didattiche in presenza» per i soggetti coinvolti. La logica conseguenza è che, se il responso arriva il giorno stesso, si può davvero tornare immediatamente in aula. Altrimenti, toccherà aspettare i famigerati «tempi tecnici». Ergo, la prospettiva di conservare le lezioni in presenza, nell'eventualità di un singolo caso di Sars-Cov-2, sbandierata da Bianchi, potrebbe trasformarsi in un miraggio.Le regole, poi, cambiano per le circostanze in cui dovessero affiorare non uno, bensì due casi di Covid: allora, vaccinati e guariti saranno sottoposti a sorveglianza ma potranno andare a scuola, mentre gli altri finiranno in quarantena. Un approccio che, come aveva già sottolineato La Verità, solleva un dilemma giuridico: gli istituti d'istruzione non possono sapere quale studente si sia sottoposto all'iniezione. La nota di ieri ribadisce che «tali dati non sono nella disponibilità della scuola e quindi non vanno trattati». Soluzione? Sono le Asl, con il Ddp (che dovrebbe «individuare figure istituzionali che possano, in qualità di referenti, intervenire tempestivamente e in ogni fase della procedura a supporto del dirigente»), a stabilire, essendo a conoscenza del loro status vaccinale, quali alunni possono stare in classe e quali no. Così, però, la privacy va a farsi benedire: se vedo che il mio compagno di scuola è costretto all'isolamento, automaticamente capirò che non si è vaccinato. Da un certo punto di vista, è più equa la procedura prevista nell'ipotesi in cui emergano almeno tre positività: quarantena per tutti. Viene solo da domandarsi in base a quale principio scientifico: se gli infetti sono due, al vaccinato basta dimostrare di non essere stato contagiato; se gli infetti sono tre, all'improvviso, chi si è inoculato le sue belle dosi deve chiudersi in casa. All'improvviso, gli anticorpi non gli bastano più? Contraddizione simile si registra nel trattamento dei docenti: se sono vaccinati, rientrano al lavoro con il tampone; se sono guariti entro gli ultimi sei mesi, però, devono farsi la quarantena come i colleghi non vaccinati. Intanto, il monitoraggio pare una chimera. Le scuole sentinella, ad esempio, sono esperimenti rari. Di test salivari non si parla quasi più. E non risulta neppure un database pubblico e costantemente aggiornato sul numero di contagi scuola per scuola. Lo chiamavano «governo dei migliori».