2023-07-09
Si ripete il copione: toghe contro il governo
Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia (Imagoeconomica)
Dopo i casi Delmastro e Santanchè Anm all’attacco per fermare riforme costituzionali e separazione delle carriere: «Misure di punizione». La risposta di Palazzo Chigi: «Non rinunciamo a intervenire in caso di interferenze nelle dinamiche democratiche».L’eterno ritorno dell’identico, commenterebbe Friedrich Nietzsche. Tra il governo di centrodestra e la magistratura si va allo scontro frontale, ed eccoci ritornati ai tempi di Silvio Berlusconi, delle «toghe rosse», dei comunicati roventi e delle repliche incandescenti. Scontro aperto, apertissimo: ieri l’Associazione nazionale magistrati ha pesantemente criticato il governo guidato da Giorgia Meloni, prendendo di mira direttamente Palazzo Chigi e il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Il casus belli? Giovedì scorso la Meloni è scesa in campo in maniera estremamente sferzante in difesa di Daniela Santanchè e Andrea Delmastro, due esponenti del governo e di Fratelli d’Italia protagonisti di due inchieste giudiziarie, affidando il suo pensiero a un comunicato firmato «fonti di Palazzo Chigi»: «In un processo di parti», recita il comunicato, «non è consueto che la parte pubblica chieda l’archiviazione e il giudice per le indagini preliminari imponga che si avvii il giudizio. In un procedimento in cui gli atti di indagine sono secretati è fuori legge che si apprenda di essere indagati dai giornali, curiosamente nel giorno in cui si è chiamati a riferire in Parlamento, dopo aver chiesto informazioni all’autorità giudiziaria. Quando questo interessa due esponenti del governo in carica», aggiunge la nota, «è lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee». Il giorno dopo è toccato a Nordio, sempre utilizzando la formula delle «fonti del ministero della Giustizia», attaccare i magistrati protagonisti delle due inchieste, facendo cenno alla necessità di riformare il sistema giudiziario: «È urgente la riforma dell’iscrizione nel registro degli indagati e delle informazioni di garanzia», hanno detto queste fonti a proposito della Santanchè, manifestando «ancora una volta, lo sconcerto e il disagio per l’ennesima comunicazione a mezzo stampa di un atto che dovrebbe rimanere riservato». «L’imputazione coatta nei confronti di Delmastro Delle Vedove, come nei confronti di qualsiasi altro indagato, dimostra l’irrazionalità del nostro sistema. Per questo», hanno aggiunto le fonti, «è necessaria una riforma radicale». La differenza, rispetto ai bei tempi di Berlusconi, è che il Cav i suoi attacchi alle toghe li firmava e li sbandierava nei comizi. E proprio da qui parte la replica del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, che ieri, in apertura dei lavori del comitato direttivo centrale, ha pronunciato parole durissime, definendo la nota di Palazzo Chigi «un attacco pesantissimo, ancora più insidioso perché riferito a fonti anonime, al quale sono seguiti due attacchi dal ministero della Giustizia. Critiche pesantissime, che colpiscono al cuore la magistratura, e ne nega l’esistenza stessa. L’accusa», sottolinea Santalucia, «è quella di schierarsi in maniera faziosa nello scontro politico. Questo non riguarda l’Anm ma l’intera magistratura, poiché un magistrato fazioso che si schiera politicamente non è un cattivo magistrato, semplicemente non è un magistrato. La magistratura non ha alcuna voglia di alimentare lo scontro, ma quando il livello dello scontro si alza il silenzio sarebbe l’impacciato mutismo di chi non sa reagire a una politica che mostra i muscoli verso una istituzione di garanzia». Santalucia passa alle accuse di Nordio sul caso Santanchè: «Il ministero della Giustizia dovrebbe fare il contrario», argomenta Santalucia, «non manifestare sconcerto ma avendo poteri ispettivi chiedere una relazione su quello che è successo». E su Delmastro: «Un giudice, che non conosco, ha fatto il suo mestiere: ha emesso un provvedimento con cui ha chiesto al pubblico ministero di esercitare l’azione penale perché in quel caso vuole vederci meglio». Infine: «Il sospetto», attacca Santalucia, «è che le riforme costituzionali siano sbandierate non perché si crede servano a migliorare il sistema, ma come risposta di punizione nei confronti della magistratura. Se questo è, io chiedo con rispetto e umiltà di cambiare passo». Il ministro Nordio, ricorda Santalucia, aveva garantito che queste riforme «non sono in un orizzonte immediato» ma ora «ha detto che occorre accelerare sulla separazione delle carriere perché un giudice non è stato d’accordo con un pm». L’opposizione, manco a dirlo, coglie la palla al balzo. Per i capigruppo dem al Senato e alla Camera, Francesco Boccia e Chiara Braga, «questo scontro, l’ennesimo, con la magistratura indebolisce la nostra Repubblica. Per questo invitiamo la presidente del Consiglio», aggiungono Boccia e la Braga, «a maggior prudenza e a non incendiare il clima politico. Una nuova guerra tra poteri distruggerebbe le nostre istituzioni». «Mi preoccupa», sottolinea il leader del M5s, Giuseppe Conte, «un presidente del Consiglio che, nascondendosi dietro lo schermo delle fonti Chigi, conduce un gravissimo attacco ai magistrati che svolgono il proprio dovere, accusandoli di avere addirittura aperto la campagna elettorale per le elezioni europee». In serata, sono ancora le «fonti di Palazzo Chigi», stavolta «qualificate», a riferire all’Ansa la «sorpresa» per la dura presa di posizione dell’Anm, e a confermare la linea dura: «Il governo, questo governo», fanno sapere le fonti, «non rinuncerà mai a intervenire ogni volta che siano messe in gioco l’applicazione delle leggi e si interferisca nelle dinamiche democratiche. Nel caso specifico, quando si fa un uso politico della giustizia. Per questo motivo, la Santanchè non può dimettersi e nessuno nel governo, a cominciare dalla premier, le chiederà di dimettersi».
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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