2024-07-12
Il Riesame lascia Toti ai domiciliari: «Non ha capito la gravità dei fatti»
I giudici hanno respinto la richiesta del legale del governatore: «Può commettere altri reati». Snobbato il parere di Sabino Cassese.Per i giudici del Tribunale delle Libertà chiamati a valutare l’ordinanza con la quale il gip di Genova aveva rigettato la richiesta di revoca dell’ordinanza di arresti domiciliari per il governatore della Liguria Giovanni Toti, pur essendo venuta meno la possibilità di inquinare le prove, i reati di corruzione dei quali è accusato potrebbero essere reiterati. E nessuna delle richieste alternative che il difensore di Toti, l’avvocato Stefano Savi, aveva proposto (il divieto di dimora a Genova, l’obbligo di dimora ad Ameglia o la cancellazione del divieto assoluto di comunicazione) sono state prese in considerazione. Toti, per il Riesame, deve restare ai domiciliari. Le valutazioni dei giudici sono contenute in 33 pagine nelle quali vengono contestati tutti i punti difensivi e non vengono risparmiate critiche al comportamento di Toti, sia rispetto alle intercettazioni sia sui contenuti dell’interrogatorio con i pm. Sottolineando che «il lungo verbale delle dichiarazioni rese da Toti nell’occasione è infarcito di «non ricordo», un inciso che non brilla di certo per chiarezza e trasparenza». Ogni azione sembra essere stata letta in chiave accusatoria. A partire dalla «mancata contestazione», da parte di Toti, delle accuse a suo carico, che «scaturiscono da puntuali intercettazioni che hanno cristallizzato i contorni delle accuse». Stando ai giudici del Riesame, le intercettazioni incastrerebbero il governatore: «C’era poco da ammettere, insomma, di fronte a captazioni che restituiscono il quadro di un pubblico amministratore che, nel sollecitare finanziamenti, conversa amabilmente con gli stessi finanziatori di pratiche amministrative di loro interesse per le quali si impegna a intervenire». Non c’è traccia invece di un importante segmento da valutare: al di là delle conversazioni con i finanziatori, quali atti da amministratore pubblico Toti avrebbe messo in campo per ricambiare? Nell’ordinanza di custodia cautelare e negli atti allegati non c’è traccia della definizione di azioni pro finanziatori. Manca, insomma, la pistola fumante. Ma i giudici del Riesame sembrano voler spingere Toti verso una confessione. E liquidano così quelle che per la difesa sono delle «ammissioni» fatte in sede di interrogatorio: «Non lo sono neanche in minima parte, per il semplice fatto che Toti ha ammesso solo ciò che gli era già stato ampiamente registrato dalle intercettazioni». Toti, in sostanza, ha valutato quei fatti come comportamenti corretti. «Una condotta quasi paradossale» per i giudici. Che con un colpo di scure affermano che la corruzione di un pubblico ufficiale «non è compatibile con ammissioni «in fatto» e non anche «in diritto». E respingono l’ipotesi avanzata dalla difesa sul tentativo di portare il governatore verso le dimissioni: «Il Tribunale non intravede nemmeno in filigrana l’indebita pressione affinché si decida a rinunciare all’incarico». Per il suo capo di gabinetto Matteo Cozzani, però, coincidenza, è andata così: è tornato in libertà dopo aver lasciato il suo posto.Per il Riesame, poi, Toti non ha agito da buon amministratore pubblico. Anzi: «Quasi come l’amministratore di una società privata che concordi con azionisti le linee dell’azione gestionale». Contraddistinte dalla «secca alternanza», è scritto nell’ordinanza, «fra solleciti di finanziamenti rivolti da Toti a Spinelli (Aldo, imprenditore attivo al porto, ndr) e le istanze di quest’ultimo intese a soddisfare i propri interessi». Non un cenno, però, su quali siano gli interessi che Toti avrebbe garantito. Né viene indicato con quali atti lo avrebbe fatto. Una questione spinosa a livello giuridico che i giudici bypassano con questa argomentazione: l’interrogatorio «non reca il minimo spunto ammissivo, anzi, ne reca molteplici di aperta contestazione dei gravi indizi, per quanto la difesa non ne abbia fatto oggetto di un formale motivo di appello, e non può, pertanto, essere valutato». Quindi, siccome la contestazione dei gravi indizi non era formale, non è stata affrontata. E la manifestata volontà da parte di Toti di astenersi in futuro dal ricevere finanziamenti da privati viene bollata come «una sterile presa d’atto della fondatezza di accuse che pure non si è voluto ammettere». A nulla è valso il parere del giurista Sabino Cassese, sul quale è stata costruita parte della difesa di Toti, che ricordava proprio l’importanza di tenere in debita considerazione la presunzione di non colpevolezza.Il Riesame ritiene che sia stato «necessario per l’indagato, come questi sembra aver ammesso, «farsi spiegare» dagli inquirenti che è vietato scambiare la promessa di utilità con «favori» elargiti». E su questo fondano il pericolo di reiterazione: «Continua a sussistere il concreto e attuale pericolo che egli commetta altri fatti di analoga indole nella convinzione di operare legittimamente (un passaggio che molti esponenti del centrodestra ieri hanno giudicato come «un processo alle intenzioni», ndr)». E aggiungono: «Né può ipotizzarsi che Toti, conformemente all’assunto «impegno», si faccia spiegare ogni volta dagli inquirenti cosa sia lecito e cosa non lo sia». Un passaggio al quale ha replicato pubblicamente in modo secco l’avvocato Stefano Savi: «Toti, direttamente e per mio tramite, ha più volte ribadito di ritenere di avere agito solo nell’esclusivo interesse pubblico attraverso gli atti e i comportamenti inerenti alla carica ricoperta. Così come legittimi e regolari sono stati tutti i finanziamenti ricevuti dal suo movimento politico, escludendo ogni utilità o arricchimento personale». Ma di tutto questo, conclude Savi, «si discuterà nel processo, ove esso si celebri». Di certo lo spazio di agibilità politica del governatore risulta particolarmente compromesso.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)