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2023-12-19
Riecco il tamponificio negli ospedali: test coatto anche per un raffreddore
Orazio Schillaci (Ansa)
Riaprono i tamponifici. «Si ritiene indispensabile che le strutture sanitarie attivino e potenzino percorsi sempre più ampi di sorveglianza epidemiologica con la ricerca di tutti i microorganismi», stabilisce la nuova circolare del ministero della Salute. Vanno fatti test diagnostici ai pazienti con sintomi respiratori, che devono entrare nelle strutture sanitarie per una visita o un ricovero. Tradotto in operatività, significa mandare gli ospedali in tilt.
Il Covid non sta creando problemi nei reparti che sono «senza particolari criticità», come ha dichiarato ieri Giovanni Migliore, presidente della Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso), però si tornano ad imporre tamponi. Presentarsi al pronto soccorso con il naso chiuso, o farsi sorprendere da un colpo di tosse perché dopo aver parcheggiato a chilometri di distanza si passa da freddo gelido al caldo fastidioso degli ambulatori, renderà tutti potenziali positivi? Scatteranno i blocchi? Ritorneranno anche i percorsi Covid-19?
Meno male che le Regioni dovevano essere libere di decidere in autonomia sull’intensificare o meno i controlli. A fine novembre, Francesco Vaia, direttore della prevenzione sanitaria presso il ministero della Salute, prometteva: «Con gli indicatori nuovi non faremo tamponi inutili», il monitoraggio del Covid sarebbe stato affidato alle segnalazioni dei medici di famiglia.
Venti giorni dopo, ha firmato la circolare che impone il test per Sars-CoV-2, virus influenzali, virus respiratorio sinciziale (Vrs), Rhinovirus, virus parainfluenzali, Adenovirus, Metapneumovirus, Bocavirus e altri coronavirus umani. Medici e infermieri non sapranno più dove sbattere la testa, con l’aggravio enorme di lavoro che richiede l’osservanza delle nuove disposizioni.
Quanto alle mascherine, ha detto che «è facoltà dei direttori delle aziende sanitarie reintrodurre l’obbligo di indossarle in base alla situazione di rischio che dovessero intravvedere, legata a una più intensa circolazione virale». È scontato che gli ospedali torneranno a imporle per «non correre rischi» nei reparti ma anche negli ambulatori, come già molti stanno facendo da mesi.
Il predecessore di Vaia, l’epidemiologo Gianni Rezza, fa sapere che il tampone se lo deve fare «chi non sta bene, magari ha il raffreddore», e capirai cosa sarà mai. Però sul Messaggero spiega che i test «in particolare i fai da te possono sbagliare». Quindi, quelli acquistati in farmacia o al supermercato sarebbero soldi buttati via, in ogni caso Rezza raccomanda di «sottoporsi al test all’ultimo momento, il più a ridotto possibile del raduno familiare».
Da qui all’Epifania, le autorità sanitarie vogliono che torniamo a pensare più a mascherine, tamponi e richiamo vaccinale, che a santificare il Natale. Invece di dare serenità ai nostri vecchi, dovremmo lasciarli soli se avvertiamo qualche malanno di stagione, con il quale generazioni sono sempre convissute e non solo durante le festività.
C’è bisogno di ricreare un simile allarme? Secondo la Fiaso, il 77% dei pazienti è ricoverato con Covid, quindi sono in ospedale per altre cause e senza sintomi rilevanti da riferire all’infezione da Sars-CoV2. L’età media è 76 anni, la crescita di pazienti Covid nell’ultima settimana è rallentata (+15,4%), nelle terapie intensive è ferma al 4% delle ospedalizzazioni.
Eppure, i toni sono esagerati. I casi «stanno dilagando, io ho invitato 100 volte il ministro della Salute, che ritiene di non dover partecipare a questo programma, ed è un peccato perché avremmo bisogno di avere delle indicazioni», piagnucola Fabio Fazio, affidando timori neopandemici e frustrazioni a un messaggio su X.
Non gli basta avere Roberto Burioni ospite fisso a Che tempo che fa per parlare sempre di Covid, vuole che sia Orazio Schillaci ad alzare l’asticella delle preoccupazioni sotto le feste. «È sbagliato banalizzare il contagio, che può essere rischioso in particolare per gli anziani e i fragili», mette in guardia il professore di Igiene Fabrizio Pregliasco. Non è solo l’appello a mettersi mascherine ovunque e il tampone nel naso, l’obiettivo rimane sempre quello: spingere a porgere il braccio per l’anti Covid e l’anti influenzale. Poco interessa, a chi alimenta la campagna, informare i cittadini che Pfizer ammette di non avere compiuti studi sulla somministrazione concomitante di vaccini.
Agli open day bisognerebbe andare fiduciosi che serva il richiamo e non faccia male, fingendo di ignorare quanto documentano sempre più studi scientifici. «Se uno non si vaccina, poi il terminale finale di questi problemi diventa il pronto soccorso, dove tutti si recano e, nella maggior parte dei casi, non si sono vaccinati», ha dichiarato ieri l’assessore regionale al Welfare della Lombardia, Guido Bertolaso. Sembra che lo stato di emergenza non sia mai finito.
In Ue buttati vaccini per 4 miliardi
Almeno 215 milioni di dosi di vaccini contro il Covid-19 sono finiti in discarica, per un valore pari a circa 4 miliardi di euro dei contribuenti dell’Unione europea, ma la cifra è quasi certamente sottostimata, secondo l’analisi di Politico.eu.
Per arrivare a questi numeri, la testata online ha considerato la quantità complessiva di dosi acquistate dalla fine del 2020 dall’Ue: complessivamente 1,5 miliardi (più di tre per ogni persona in Europa). Il numero dello spreco tende a corrispondere alle dimensioni dei Paesi, con la Germania che conta 83 milioni di dosi scartate e, il Lussemburgo, poco meno di mezzo milione. Al secondo posto c’è l’Italia, con 49,1 milioni di vaccini in discarica; seguono Olanda (16,28 milioni), Spagna (13,87 milioni), Romania (9,77 milioni). I dati sono stati raccolti tra giugno e dicembre.
Il quadro cambia quando si misurano le dosi gettate per persona che, mediamente, in Ue vale 0,7. Se in questo caso a guidare la classifica è l’Estonia, con più di una dose per abitante sprecata, la Germania, con 0,98 dosi, segue a ruota. L’Italia (0,83) si posiziona al quinto posto. Non è facile scoprire quanti vaccini sono stati buttati. I governi, tra cui la Francia, il secondo Paese più popoloso dell’Ue, sono riluttanti a rivelare l’entità degli sprechi. In ogni caso, anche solo proiettando nel resto dell’Ue il dato medio di 0,7 dosi sprecate si arriverebbe a 312 milioni di vaccini distrutti. I calcoli del report si basano sui numeri provenienti da 19 Paesi europei: 15, tra cui l’Italia, hanno fornito i dati diretti, gli altri quattro non l’hanno fatto.
Alcuni dati risalgono a questo mese; i più vecchi al dicembre 2022. Data la complessità del quadro, la testata ha eseguito un calcolo prudenziale sulla base dei prezzi dei vaccini riportati dalle testate giornalistiche, visto che, nonostante le numerose richieste e inchieste in corso, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, non ha mai reso noto l’importo pagato per il loro acquisto.
Così, anche in questo i caso, Politico.eu ha utilizzato un prezzo medio ponderato di 19,39 euro a dose. Si arriva così ai 4 miliardi di euro, che è la spesa sanitaria annuale della Croazia. Molti dei vaccini in questione sono stati acquistati al culmine della pandemia, nel 2021. Durante quel periodo frenetico l’Ue ha stipulato il suo più grande contratto per l’acquisto di 1,1 miliardi di dosi da Pfizer e BioNTech. Ma sia la portata che la tempistica dell’accordo si sono rivelate problematiche, non solo dal punto di vista economico-giudiziario. I Paesi sono stati costretti ad acquistare dosi anche quando la pandemia si è attenuata. Inoltre, i vaccini continueranno ad arrivare: il contratto rivisto con Pfizer obbliga all’acquisto fino ad almeno al 2027. Per capire quanto i dati riportati da Politico.eu siano sottostimati basta guardare all’Italia.
Nel 2021 sono tate gettate 60 milioni di dosi, 42 milioni nel 2022, tra scadute e non somministrate. In tutto fanno 102 milioni. L’Europa, grazie alla trattativa portata avanti dalla Von der Leyen, si è impegnata ad acquistare altri 450 milioni di fiale quest’anno, di cui 61 milioni per il nostro Paese. Dei 20 milioni di italiani in cui la vaccinazione anti Covid è raccomandata, si è attualmente immunizzato circa il 4%. In tre anni, lo spreco potrebbe valere ben più di 3 miliardi.
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Il ministero reintroduce l’obbligo di screening per l’ingresso nelle strutture sanitarie, per chiunque abbia sintomi respiratori, malgrado la crescita dei ricoveri stia rallentando. Così le corsie si intaseranno di nuovo.Secondo stime al ribasso, i Paesi europei hanno sprecato 215 milioni di dosi, quasi una per cittadino. Ma i contratti firmati da Bruxelles prevedono acquisti fino al 2027.Lo speciale contiene due articoli.Riaprono i tamponifici. «Si ritiene indispensabile che le strutture sanitarie attivino e potenzino percorsi sempre più ampi di sorveglianza epidemiologica con la ricerca di tutti i microorganismi», stabilisce la nuova circolare del ministero della Salute. Vanno fatti test diagnostici ai pazienti con sintomi respiratori, che devono entrare nelle strutture sanitarie per una visita o un ricovero. Tradotto in operatività, significa mandare gli ospedali in tilt. Il Covid non sta creando problemi nei reparti che sono «senza particolari criticità», come ha dichiarato ieri Giovanni Migliore, presidente della Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso), però si tornano ad imporre tamponi. Presentarsi al pronto soccorso con il naso chiuso, o farsi sorprendere da un colpo di tosse perché dopo aver parcheggiato a chilometri di distanza si passa da freddo gelido al caldo fastidioso degli ambulatori, renderà tutti potenziali positivi? Scatteranno i blocchi? Ritorneranno anche i percorsi Covid-19? Meno male che le Regioni dovevano essere libere di decidere in autonomia sull’intensificare o meno i controlli. A fine novembre, Francesco Vaia, direttore della prevenzione sanitaria presso il ministero della Salute, prometteva: «Con gli indicatori nuovi non faremo tamponi inutili», il monitoraggio del Covid sarebbe stato affidato alle segnalazioni dei medici di famiglia. Venti giorni dopo, ha firmato la circolare che impone il test per Sars-CoV-2, virus influenzali, virus respiratorio sinciziale (Vrs), Rhinovirus, virus parainfluenzali, Adenovirus, Metapneumovirus, Bocavirus e altri coronavirus umani. Medici e infermieri non sapranno più dove sbattere la testa, con l’aggravio enorme di lavoro che richiede l’osservanza delle nuove disposizioni. Quanto alle mascherine, ha detto che «è facoltà dei direttori delle aziende sanitarie reintrodurre l’obbligo di indossarle in base alla situazione di rischio che dovessero intravvedere, legata a una più intensa circolazione virale». È scontato che gli ospedali torneranno a imporle per «non correre rischi» nei reparti ma anche negli ambulatori, come già molti stanno facendo da mesi.Il predecessore di Vaia, l’epidemiologo Gianni Rezza, fa sapere che il tampone se lo deve fare «chi non sta bene, magari ha il raffreddore», e capirai cosa sarà mai. Però sul Messaggero spiega che i test «in particolare i fai da te possono sbagliare». Quindi, quelli acquistati in farmacia o al supermercato sarebbero soldi buttati via, in ogni caso Rezza raccomanda di «sottoporsi al test all’ultimo momento, il più a ridotto possibile del raduno familiare». Da qui all’Epifania, le autorità sanitarie vogliono che torniamo a pensare più a mascherine, tamponi e richiamo vaccinale, che a santificare il Natale. Invece di dare serenità ai nostri vecchi, dovremmo lasciarli soli se avvertiamo qualche malanno di stagione, con il quale generazioni sono sempre convissute e non solo durante le festività.C’è bisogno di ricreare un simile allarme? Secondo la Fiaso, il 77% dei pazienti è ricoverato con Covid, quindi sono in ospedale per altre cause e senza sintomi rilevanti da riferire all’infezione da Sars-CoV2. L’età media è 76 anni, la crescita di pazienti Covid nell’ultima settimana è rallentata (+15,4%), nelle terapie intensive è ferma al 4% delle ospedalizzazioni. Eppure, i toni sono esagerati. I casi «stanno dilagando, io ho invitato 100 volte il ministro della Salute, che ritiene di non dover partecipare a questo programma, ed è un peccato perché avremmo bisogno di avere delle indicazioni», piagnucola Fabio Fazio, affidando timori neopandemici e frustrazioni a un messaggio su X. Non gli basta avere Roberto Burioni ospite fisso a Che tempo che fa per parlare sempre di Covid, vuole che sia Orazio Schillaci ad alzare l’asticella delle preoccupazioni sotto le feste. «È sbagliato banalizzare il contagio, che può essere rischioso in particolare per gli anziani e i fragili», mette in guardia il professore di Igiene Fabrizio Pregliasco. Non è solo l’appello a mettersi mascherine ovunque e il tampone nel naso, l’obiettivo rimane sempre quello: spingere a porgere il braccio per l’anti Covid e l’anti influenzale. Poco interessa, a chi alimenta la campagna, informare i cittadini che Pfizer ammette di non avere compiuti studi sulla somministrazione concomitante di vaccini.Agli open day bisognerebbe andare fiduciosi che serva il richiamo e non faccia male, fingendo di ignorare quanto documentano sempre più studi scientifici. «Se uno non si vaccina, poi il terminale finale di questi problemi diventa il pronto soccorso, dove tutti si recano e, nella maggior parte dei casi, non si sono vaccinati», ha dichiarato ieri l’assessore regionale al Welfare della Lombardia, Guido Bertolaso. Sembra che lo stato di emergenza non sia mai finito.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/riecco-tamponificio-negli-ospedali-2666647118.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-ue-buttati-vaccini-per-4-miliardi" data-post-id="2666647118" data-published-at="1702964296" data-use-pagination="False"> In Ue buttati vaccini per 4 miliardi Almeno 215 milioni di dosi di vaccini contro il Covid-19 sono finiti in discarica, per un valore pari a circa 4 miliardi di euro dei contribuenti dell’Unione europea, ma la cifra è quasi certamente sottostimata, secondo l’analisi di Politico.eu. Per arrivare a questi numeri, la testata online ha considerato la quantità complessiva di dosi acquistate dalla fine del 2020 dall’Ue: complessivamente 1,5 miliardi (più di tre per ogni persona in Europa). Il numero dello spreco tende a corrispondere alle dimensioni dei Paesi, con la Germania che conta 83 milioni di dosi scartate e, il Lussemburgo, poco meno di mezzo milione. Al secondo posto c’è l’Italia, con 49,1 milioni di vaccini in discarica; seguono Olanda (16,28 milioni), Spagna (13,87 milioni), Romania (9,77 milioni). I dati sono stati raccolti tra giugno e dicembre. Il quadro cambia quando si misurano le dosi gettate per persona che, mediamente, in Ue vale 0,7. Se in questo caso a guidare la classifica è l’Estonia, con più di una dose per abitante sprecata, la Germania, con 0,98 dosi, segue a ruota. L’Italia (0,83) si posiziona al quinto posto. Non è facile scoprire quanti vaccini sono stati buttati. I governi, tra cui la Francia, il secondo Paese più popoloso dell’Ue, sono riluttanti a rivelare l’entità degli sprechi. In ogni caso, anche solo proiettando nel resto dell’Ue il dato medio di 0,7 dosi sprecate si arriverebbe a 312 milioni di vaccini distrutti. I calcoli del report si basano sui numeri provenienti da 19 Paesi europei: 15, tra cui l’Italia, hanno fornito i dati diretti, gli altri quattro non l’hanno fatto. Alcuni dati risalgono a questo mese; i più vecchi al dicembre 2022. Data la complessità del quadro, la testata ha eseguito un calcolo prudenziale sulla base dei prezzi dei vaccini riportati dalle testate giornalistiche, visto che, nonostante le numerose richieste e inchieste in corso, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, non ha mai reso noto l’importo pagato per il loro acquisto. Così, anche in questo i caso, Politico.eu ha utilizzato un prezzo medio ponderato di 19,39 euro a dose. Si arriva così ai 4 miliardi di euro, che è la spesa sanitaria annuale della Croazia. Molti dei vaccini in questione sono stati acquistati al culmine della pandemia, nel 2021. Durante quel periodo frenetico l’Ue ha stipulato il suo più grande contratto per l’acquisto di 1,1 miliardi di dosi da Pfizer e BioNTech. Ma sia la portata che la tempistica dell’accordo si sono rivelate problematiche, non solo dal punto di vista economico-giudiziario. I Paesi sono stati costretti ad acquistare dosi anche quando la pandemia si è attenuata. Inoltre, i vaccini continueranno ad arrivare: il contratto rivisto con Pfizer obbliga all’acquisto fino ad almeno al 2027. Per capire quanto i dati riportati da Politico.eu siano sottostimati basta guardare all’Italia. Nel 2021 sono tate gettate 60 milioni di dosi, 42 milioni nel 2022, tra scadute e non somministrate. In tutto fanno 102 milioni. L’Europa, grazie alla trattativa portata avanti dalla Von der Leyen, si è impegnata ad acquistare altri 450 milioni di fiale quest’anno, di cui 61 milioni per il nostro Paese. Dei 20 milioni di italiani in cui la vaccinazione anti Covid è raccomandata, si è attualmente immunizzato circa il 4%. In tre anni, lo spreco potrebbe valere ben più di 3 miliardi.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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