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2021-12-10
Tra i ricoverati crescono i vaccinati, ma i giornali dicono il contrario
Hanno abboccato, l’amo era ghiotto perché veniva data l’ennesima conta dei no Vax in pericolo di morte, quindi nessun giornale si è preso la briga di comparare i dati. L’avessero fatto, controllando quando pubblica e aggiorna l’Istituto superiore di sanità, avrebbero evitato un’altra disinformazione per i cittadini. Due giorni fa la Fiaso, federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere, ha «confermato» che è in aumento il numero dei ricoverati in gravi condizioni non vaccinati.
«In due settimane +32% no vax e -33% vax in terapia intensiva», faceva sapere, regalando a giornalisti distratti il titolo perfetto da sbattere in pasto ai lettori. Peccato che si tratti solo dei dati degli ospedali sentinella Fiaso, non della situazione delle terapie intensive in tutto il Paese dove sono in aumento i ricoveri pure dei vaccinati. E in reparto ci sono più pazienti con doppia dose che senza. I numeri arrivano dalle sedici strutture riunite in un network coordinato dall’Inmi Spallanzani di Roma, per monitorare l’andamento dei ricoveri Covid e «anticipare soluzioni organizzative per la gestione della pandemia», annunciava la Fiaso.
A diventare ospedali sentinella furono l’Asst Ospedali civili di Brescia, la Asl città di Torino, l’Irccs Ospedale policlinico San Martino di Genova, l’Azienda sanitaria Friuli Occidentale, l’Irccs Policlinico S. Orsola Malpighi di Bologna, la Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, la Ao Santa Croce e Carle di Cuneo, lo Spallanzani, la Asl Roma 6, la Fondazione Ptv Policlinico Tor Vergata di Roma, gli Ospedali riuniti di Ancona, l’Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni, il Policlinico di Bari, la Asm Matera e l’Azienda ospedaliera dei Colli Monaldi Cotugno di Napoli.
«In una settimana si consolida il trend di crescita di ospedalizzazioni di pazienti non vaccinati in terapia intensiva e di contestuale riduzione dei vaccinati in gravi condizioni», ha dichiarato il presidente della Fiaso, Giovanni Migliore. Diversi sono invece i dati della sorveglianza integrata dei casi di infezione da virus Sars-CoV-2 riportati sul territorio nazionale, e coordinata dall’Iss.
Se il 24 novembre i non vaccinati in terapia intensiva erano in tutta Italia 509, quelli vaccinati con una dose 14 e quelli con due dosi 270, la settimana successiva erano saliti rispettivamente a 546, 16 e 285. Perciò il 1 dicembre i ricoveri in intensiva erano aumentati del 6,78% tra i non vaccinati, del 12,50% tra chi aveva fatto una sola dose e del 5,26% tra quanti avevano concluso in ciclo vaccinale. Altro che calo dei vaccinati come si vorrebbe far credere.
Singolare il commento del presidente della Fiaso: «Abbiamo comunque scelto di analizzare la condizione dei pazienti vaccinati in rianimazione e abbiamo rilevato come siano tutti soggetti che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 4 mesi», scrive nel comunicato. Ma come? Allora c’è da preoccuparsi e tanto, se dopo quattro mesi dalla vaccinazione rischi di finire in intensiva. Migliore forse non si è reso conto, ma la spiegazione che dà butta alle ortiche l’efficacia del farmaco anti Covid. «Questo da una parte suggerisce la buona protezione della vaccinazione nei primi mesi, dall’altra conferma una volta di più l’importanza di una anticipazione della terza dose soprattutto per gli anziani fragili», dichiara con la massima tranquillità. Altrimenti vai in rianimazione dopo quattro mesi?
Se poi guardiamo i dati della sorveglianza integrata dell’Iss a partire dallo scorso settembre, notiamo che gli ingressi in terapia intensiva di vaccinati con due dosi sono andati crescendo, passando da 157 l’8 settembre a 174 il 29 settembre, poi sono calati fino a 128 il 27 ottobre per tornare in costante aumento il 3 novembre (140), il 10 novembre (178), il 17 novembre (224), il 24 novembre (270) e il 1 dicembre (285).
Al contrario, i ricoveri in rianimazione di non vaccinati sono andati diminuendo dal 29 settembre (717) scendendo a 604 il 6 ottobre, 414 il 20 ottobre, 319 il 3 novembre per poi risalire a 370 il 10 di quello stesso mese e arrivando ai 546 del 1 dicembre. In rianimazione ci sono dunque molti non vaccinati, ma in compagnia di pazienti con doppia dose fatta e questo dovrebbe allarmare.
Un’occhiata ai ricoveri in ospedale per Covid è altrettanto utile, per capire quanta disinformazione sanitaria circoli. Dal 24 novembre al 1 dicembre, secondo l’Iss gli ingressi in reparto dei non vaccinati sono calati da 3.737 a 3.733 (-0,11%), quelli dei vaccinati con una dose sono aumentati da 182 a 217 (+ 16,13%) e sono cresciuti pure i ricoveri di pazienti con doppia dose, passati da 3.693 a 3.845 (+ 21,56%).
Dati che si preferisce offuscare, meglio sparare i numeri di pochi ospedali e aggiungere un focus pediatria che è di una pochezza disarmante. «Il totale dei pazienti di età inferiore ai 18 anni ricoverati negli ospedali sentinella Fiaso è di 19», si legge nel comunicato. «La metà dei ricoverati ha più di 5 anni». Informazioni davvero utili per non capire se i pazienti sono under 11 (prossimi destinatari del vaccino) o sopra i 12 anni.
«Corsie in affanno: tornino i no vax»
Andrebbe rivisto l’allontanamento dagli ospedali dei sanitari non vaccinati. Nelle corsie, medici e infermieri che hanno già ricevuto due o tre dosi di anti-Covid vivono la situazione paradossale di essere in prima linea da due anni, sempre in meno, stremati e malpagati, mentre delle risorse sono a casa perché non «immunizzate» o impossibilitate a farlo, per motivi di salute. «Non capisco l’allontanamento dal lavoro di chi non è vaccinato», dice alla Verità Giampiero Avruscio, presidente per l’Ao-Università di Padova dell’Anpo, il sindacato che rappresenta i primari ospedalieri. «Quando non avevamo il vaccino eravamo tutti al lavoro e, usando i dispositivi e i tamponi, abbiamo ridotto tantissimo il contagio intraospedaliero. Perché non far rientrare e monitorare i sanitari sospesi?». La situazione è ormai insostenibile. «I medici ospedalieri sono in carenza di organico da ben prima del Covid: solo in Veneto ne mancavano 1.300», osserva il primario di Anpo. I motivi sono diversi. «Da una parte», spiega, «un’errata programmazione delle scuole di specialità e dall’altra la scarsa valorizzazione dei medici ospedalieri: non c’è Pasqua, Natale e Ferragosto» e gli stipendi sono fermi da anni. Il Covid ha peggiorato la situazione. Molti vanno all’estero - dove guadagnano anche il doppio, con turni diversi - altri si licenziano per i fare i medici di medicina generale. «In provincia di Padova», aggiunge Avruscio, «sei pediatri ospedalieri, compreso il primario, si sono licenziati per andare sul territorio a svolgere la libera professione, dove non si è dipendenti del Sistema sanitario, si ha un rischio clinico meno gravoso e una migliore qualità della vita». Nulla di nuovo: è notizia di queste settimane che nei pronto soccorso italiani mancano 4.000 medici - il 50% della carenza si è registrato negli ultimi due anni - che i concorsi per anestesisti e rianimatori vanno deserti e che interi reparti assicurano un servizio con un quarto dell’organico ritenuto necessario. In questo contesto, anche solo una persona in più, può fare la differenza. «Al momento ci sono 230 persone non vaccinate tra i sanitari del solo ospedale di Padova, ma nell’Ulss Euganea sono 500. È un numero grande per le ricadute sull’assistenza perché quelle che restano a casa sono persone di esperienza», dice Avruscio. «Uno specializzando non può risolvere molte situazioni: ci vogliono anni - e 200.000 euro - per formare un professionista sanitario». Certo, aggiunge il primario, «i sanitari devono vaccinarsi, lo capisco, ma siamo in emergenza e le prime linee sono esauste. Perché non trovare un’altra soluzione?». Del resto, «prima del Covid», ricorda, «quando non eravamo vaccinati, abbiamo lavorato, avevamo mense e bar sempre aperti, ma grazie alle protezioni e ai tamponi - fatti con frequenza diversa in base al rischio - abbiamo mantenuto basso il contagio. Invece di allontanare i non vaccinati, lasciando tutto sulle spalle di chi resta, facciamoli rientrare e prevediamo un salivare al giorno». Questa riflessione, che l’Anpo sta facendo anche a livello nazionale, nasce anche da un’altra costatazione. Anche in chi ha fatto le due o tre dosi, deve «in ogni caso indossare i dispositivi di protezione», fa notare Avruscio. «È chiaro che con il vaccino si diminuiscono i contagi, ma non si annullano. A tale proposito, è bene ricordare che non è il numero dei contagiati a preoccupare, ma delle ospedalizzazioni in contemporanea. Il vaccino», precisa, «permette di poter stare a casa e non essere ricoverati in reparto o in rianimazione, se non in casi particolari». Infine, si deve considerare che «oggi, come anche prima dei vaccini, se il sanitario ha uno stretto contatto con un positivo, a differenza degli altri cittadini, va a lavorare lo stesso, fa tamponi ravvicinati e, solo se positivo, sta a casa», aggiunge il primario Anpo. Alle prime linee, inoltre, sono state sospese anche le ferie. «C’è un certo affaticamento e i contagi stanno aumentando: non possiamo restare senza forze lavoro, conclude Avruscio. «È controproducente allontanare i soldati di esperienza».
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I dati della Fiaso sul calo degli inoculati negli ospedali, usati per spingere le punture, si riferiscono solo a 11 strutture. L’Iss rivela invece che, nei reparti ordinari, i pazienti con doppia dose superano i non immunizzati.A Padova è emergenza per la carenza di personale sanitario. Il sindacato dei primari: «I sospesi siano reinseriti e testati ogni giorno. Ingiusto allontanare chi ha esperienza».Lo speciale contiene due articoli.Hanno abboccato, l’amo era ghiotto perché veniva data l’ennesima conta dei no Vax in pericolo di morte, quindi nessun giornale si è preso la briga di comparare i dati. L’avessero fatto, controllando quando pubblica e aggiorna l’Istituto superiore di sanità, avrebbero evitato un’altra disinformazione per i cittadini. Due giorni fa la Fiaso, federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere, ha «confermato» che è in aumento il numero dei ricoverati in gravi condizioni non vaccinati. «In due settimane +32% no vax e -33% vax in terapia intensiva», faceva sapere, regalando a giornalisti distratti il titolo perfetto da sbattere in pasto ai lettori. Peccato che si tratti solo dei dati degli ospedali sentinella Fiaso, non della situazione delle terapie intensive in tutto il Paese dove sono in aumento i ricoveri pure dei vaccinati. E in reparto ci sono più pazienti con doppia dose che senza. I numeri arrivano dalle sedici strutture riunite in un network coordinato dall’Inmi Spallanzani di Roma, per monitorare l’andamento dei ricoveri Covid e «anticipare soluzioni organizzative per la gestione della pandemia», annunciava la Fiaso. A diventare ospedali sentinella furono l’Asst Ospedali civili di Brescia, la Asl città di Torino, l’Irccs Ospedale policlinico San Martino di Genova, l’Azienda sanitaria Friuli Occidentale, l’Irccs Policlinico S. Orsola Malpighi di Bologna, la Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, la Ao Santa Croce e Carle di Cuneo, lo Spallanzani, la Asl Roma 6, la Fondazione Ptv Policlinico Tor Vergata di Roma, gli Ospedali riuniti di Ancona, l’Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni, il Policlinico di Bari, la Asm Matera e l’Azienda ospedaliera dei Colli Monaldi Cotugno di Napoli. «In una settimana si consolida il trend di crescita di ospedalizzazioni di pazienti non vaccinati in terapia intensiva e di contestuale riduzione dei vaccinati in gravi condizioni», ha dichiarato il presidente della Fiaso, Giovanni Migliore. Diversi sono invece i dati della sorveglianza integrata dei casi di infezione da virus Sars-CoV-2 riportati sul territorio nazionale, e coordinata dall’Iss. Se il 24 novembre i non vaccinati in terapia intensiva erano in tutta Italia 509, quelli vaccinati con una dose 14 e quelli con due dosi 270, la settimana successiva erano saliti rispettivamente a 546, 16 e 285. Perciò il 1 dicembre i ricoveri in intensiva erano aumentati del 6,78% tra i non vaccinati, del 12,50% tra chi aveva fatto una sola dose e del 5,26% tra quanti avevano concluso in ciclo vaccinale. Altro che calo dei vaccinati come si vorrebbe far credere. Singolare il commento del presidente della Fiaso: «Abbiamo comunque scelto di analizzare la condizione dei pazienti vaccinati in rianimazione e abbiamo rilevato come siano tutti soggetti che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 4 mesi», scrive nel comunicato. Ma come? Allora c’è da preoccuparsi e tanto, se dopo quattro mesi dalla vaccinazione rischi di finire in intensiva. Migliore forse non si è reso conto, ma la spiegazione che dà butta alle ortiche l’efficacia del farmaco anti Covid. «Questo da una parte suggerisce la buona protezione della vaccinazione nei primi mesi, dall’altra conferma una volta di più l’importanza di una anticipazione della terza dose soprattutto per gli anziani fragili», dichiara con la massima tranquillità. Altrimenti vai in rianimazione dopo quattro mesi? Se poi guardiamo i dati della sorveglianza integrata dell’Iss a partire dallo scorso settembre, notiamo che gli ingressi in terapia intensiva di vaccinati con due dosi sono andati crescendo, passando da 157 l’8 settembre a 174 il 29 settembre, poi sono calati fino a 128 il 27 ottobre per tornare in costante aumento il 3 novembre (140), il 10 novembre (178), il 17 novembre (224), il 24 novembre (270) e il 1 dicembre (285). Al contrario, i ricoveri in rianimazione di non vaccinati sono andati diminuendo dal 29 settembre (717) scendendo a 604 il 6 ottobre, 414 il 20 ottobre, 319 il 3 novembre per poi risalire a 370 il 10 di quello stesso mese e arrivando ai 546 del 1 dicembre. In rianimazione ci sono dunque molti non vaccinati, ma in compagnia di pazienti con doppia dose fatta e questo dovrebbe allarmare. Un’occhiata ai ricoveri in ospedale per Covid è altrettanto utile, per capire quanta disinformazione sanitaria circoli. Dal 24 novembre al 1 dicembre, secondo l’Iss gli ingressi in reparto dei non vaccinati sono calati da 3.737 a 3.733 (-0,11%), quelli dei vaccinati con una dose sono aumentati da 182 a 217 (+ 16,13%) e sono cresciuti pure i ricoveri di pazienti con doppia dose, passati da 3.693 a 3.845 (+ 21,56%). Dati che si preferisce offuscare, meglio sparare i numeri di pochi ospedali e aggiungere un focus pediatria che è di una pochezza disarmante. «Il totale dei pazienti di età inferiore ai 18 anni ricoverati negli ospedali sentinella Fiaso è di 19», si legge nel comunicato. «La metà dei ricoverati ha più di 5 anni». Informazioni davvero utili per non capire se i pazienti sono under 11 (prossimi destinatari del vaccino) o sopra i 12 anni.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ricoverati-crescono-vaccinati-giornali-contrario-2655968841.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="corsie-in-affanno-tornino-i-no-vax" data-post-id="2655968841" data-published-at="1639102498" data-use-pagination="False"> «Corsie in affanno: tornino i no vax» Andrebbe rivisto l’allontanamento dagli ospedali dei sanitari non vaccinati. Nelle corsie, medici e infermieri che hanno già ricevuto due o tre dosi di anti-Covid vivono la situazione paradossale di essere in prima linea da due anni, sempre in meno, stremati e malpagati, mentre delle risorse sono a casa perché non «immunizzate» o impossibilitate a farlo, per motivi di salute. «Non capisco l’allontanamento dal lavoro di chi non è vaccinato», dice alla Verità Giampiero Avruscio, presidente per l’Ao-Università di Padova dell’Anpo, il sindacato che rappresenta i primari ospedalieri. «Quando non avevamo il vaccino eravamo tutti al lavoro e, usando i dispositivi e i tamponi, abbiamo ridotto tantissimo il contagio intraospedaliero. Perché non far rientrare e monitorare i sanitari sospesi?». La situazione è ormai insostenibile. «I medici ospedalieri sono in carenza di organico da ben prima del Covid: solo in Veneto ne mancavano 1.300», osserva il primario di Anpo. I motivi sono diversi. «Da una parte», spiega, «un’errata programmazione delle scuole di specialità e dall’altra la scarsa valorizzazione dei medici ospedalieri: non c’è Pasqua, Natale e Ferragosto» e gli stipendi sono fermi da anni. Il Covid ha peggiorato la situazione. Molti vanno all’estero - dove guadagnano anche il doppio, con turni diversi - altri si licenziano per i fare i medici di medicina generale. «In provincia di Padova», aggiunge Avruscio, «sei pediatri ospedalieri, compreso il primario, si sono licenziati per andare sul territorio a svolgere la libera professione, dove non si è dipendenti del Sistema sanitario, si ha un rischio clinico meno gravoso e una migliore qualità della vita». Nulla di nuovo: è notizia di queste settimane che nei pronto soccorso italiani mancano 4.000 medici - il 50% della carenza si è registrato negli ultimi due anni - che i concorsi per anestesisti e rianimatori vanno deserti e che interi reparti assicurano un servizio con un quarto dell’organico ritenuto necessario. In questo contesto, anche solo una persona in più, può fare la differenza. «Al momento ci sono 230 persone non vaccinate tra i sanitari del solo ospedale di Padova, ma nell’Ulss Euganea sono 500. È un numero grande per le ricadute sull’assistenza perché quelle che restano a casa sono persone di esperienza», dice Avruscio. «Uno specializzando non può risolvere molte situazioni: ci vogliono anni - e 200.000 euro - per formare un professionista sanitario». Certo, aggiunge il primario, «i sanitari devono vaccinarsi, lo capisco, ma siamo in emergenza e le prime linee sono esauste. Perché non trovare un’altra soluzione?». Del resto, «prima del Covid», ricorda, «quando non eravamo vaccinati, abbiamo lavorato, avevamo mense e bar sempre aperti, ma grazie alle protezioni e ai tamponi - fatti con frequenza diversa in base al rischio - abbiamo mantenuto basso il contagio. Invece di allontanare i non vaccinati, lasciando tutto sulle spalle di chi resta, facciamoli rientrare e prevediamo un salivare al giorno». Questa riflessione, che l’Anpo sta facendo anche a livello nazionale, nasce anche da un’altra costatazione. Anche in chi ha fatto le due o tre dosi, deve «in ogni caso indossare i dispositivi di protezione», fa notare Avruscio. «È chiaro che con il vaccino si diminuiscono i contagi, ma non si annullano. A tale proposito, è bene ricordare che non è il numero dei contagiati a preoccupare, ma delle ospedalizzazioni in contemporanea. Il vaccino», precisa, «permette di poter stare a casa e non essere ricoverati in reparto o in rianimazione, se non in casi particolari». Infine, si deve considerare che «oggi, come anche prima dei vaccini, se il sanitario ha uno stretto contatto con un positivo, a differenza degli altri cittadini, va a lavorare lo stesso, fa tamponi ravvicinati e, solo se positivo, sta a casa», aggiunge il primario Anpo. Alle prime linee, inoltre, sono state sospese anche le ferie. «C’è un certo affaticamento e i contagi stanno aumentando: non possiamo restare senza forze lavoro, conclude Avruscio. «È controproducente allontanare i soldati di esperienza».
Massimo Giannini (Ansa)
Se a destra la manifestazione dell’indipendenza di pensiero ha prodotto sconcerto e un filo d’irritazione, a sinistra ha causato brividi di sconcerto e profondo stupore. Particolarmente emozionato Massimo Giannini di Repubblica, il quale ha intuito di aver assistito a qualcosa di importante ma non ha capito bene di che si tratti. Il noto editorialista ieri ha pensato di parassitare il pensiero di Veneziani e di aggrapparsi ai commenti di altre voci libere come Mario Giordano, Franco Cardini e Giordano Bruno Guerri per sputare un po' di veleno sul governo. «Se rimettiamo insieme le parole e le opere della premier e della sua milizia», ha scritto Giannini, «qual è la svolta culturale che segna il cambio d’epoca? La Ducia Maior: qualche frasetta sciolta di Roger Scruton in Parlamento, qualche citazione a caso di Thomas Eliot al meeting di Rimini. I gerarchi minori: qualche intemerata su Peppa Pig da Mollicone, qualche pièce teatrale di Mellone. Per il resto, fuffa ideologica e poltronificio».
Liquidati i nemici politici, Giannini si è messo a parlare della sinistra, e lo ha fatto secondo il più classico copione della rampogna progressista. Funziona così: prima si ribadisce l’inevitabile superiorità morale, poi si finge di avanzare una critica per dimostrare d’essere fedelissimi ma pure un po' pensosi. «Nonostante le disfatte elettorali, la rive gauche è ancora popolata di scrittori e attori, registi e opinionisti», dice Giannini. «Ma con due differenze fondamentali rispetto all’altra sponda. La prima è che nessuno li alleva: non c’è più il Pci di Berlinguer, che organizzava gli stati generali della cultura convocando intellettuali di ogni ordine e grado. La seconda è che nessuno li criminalizza: se di qua sono di casa la critica distruttiva al Pd e la satira abrasiva sul campo largo, di là non capita mai nulla di simile».
A ben vedere, sono false entrambe le affermazioni. Vero che non esiste più il Pci con la sua cultura d’apparato, ma è vero pure che a intrupparsi i creativi sinistrorsi ci pensano da soli, seguendo alla lettera le indicazioni di un comitato centrale evanescente ma sempre autoritario che si è incistato nei loro cervelli: fedeli alla linea anche quando la linea non c’è. E infatti non appena qualcuno esce dal seminato, subito i rimasugli del progressismo intellettuale lo crocifiggono in sala mensa. Che si tratti di Massimo Cacciari, Giorgio Agamben, Carlo Rovelli, Lucio Caracciolo, Angelo D’Orsi, Luca Ricolfi o altri venerati maestri, poco importa: chi tradisce la paga cara, e solo dopo appropriata quarantena può tornare a dirsi presentabile.
Ed è esattamente qui che sta il punto. Giannini e gli altri del suo giro non hanno i galloni per fare la morale a chicchessia. S’attaccano alla stoffa altrui - quella di Veneziani nello specifico - perché difettano della propria. Se la destra non ha brillato per originalità, la sinistra in questi anni si è risvegliata dal coma soltanto per chiedere la censura di questo o quell’altro, per infangare e demonizzare, per appiccare roghi e costruire gogne. Infamie di cui hanno fatto le spese autori di ogni orientamento: di destra, soprattutto, ma pure di sinistra, se indipendenti e intellettualmente onesti.
Giannini resta comprensibilmente ammirato dalla tempra dei Veneziani, dei Cardini e dei Giordano perché dalle sue parti non esiste, e se esiste è avversata con ferocia (altro che le sfuriate infantili viste a destra negli ultimi giorni). E infatti l’editorialista di Repubblica che fa? Prende le parti del nemico solo nella misura in cui sono utili alla sua causa. Non celebra l’onestà e il piglio avventuroso: li perverte per metterli - per altro senza riuscirci - al servizio della sua ortodossia. Sfrutta l’indipendenza altrui per ribadire la propria servitù.
Tutto ciò sarebbe decisamente poco interessante se non donasse una lezione anche alla destra, ai patrioti e ai conservatori o sedicenti tali. Il problema, per usare un nannimorettismo oggi di moda, non è Giannini in sé, ma Giannini in noi. Tradotto: per imporre l’egemonia soffocando la libertà basta e avanza Repubblica. E se il carro dei vincitori somiglia a quello dei perdenti, tanto vale perdere, almeno ci si risparmia la spocchia.
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Giuseppe Cruciani (Ansa)
Il professor Lorenzo Castellani, ricercatore e docente di storia delle istituzioni politiche presso la Luiss di Roma, nonché autore di Eminenze grigie. Uomini all’ombra del potere (2024), su X sintetizza così: «Checco Zalone ha spianato i petulanti stand up comedian (quasi tutti «impegnati» a sinistra); Corona sfida i media tradizionali con un linguaggio da uomo qualunque e fa decine di milioni di visualizzazioni; la Zanzara riempie i teatri ed è la trasmissione più ascoltata del Paese. Si è detto per anni che la sinistra sia egemone nell’alta cultura (vero, diciamo, all’80%), ma la «non-sinistra» (non la chiamerei semplicemente destra) ha interamente in mano la cultura e il linguaggio popolare».
Professor Castellani, quindi vorrebbe dirci che la cultura non è più solo ad appannaggio della sinistra?
«Se guardiamo alle istituzioni della cultura ovvero ai luoghi ufficiali della stessa è sempre la sinistra a primeggiare. Ma se guardiamo alla cultura in senso ampio, allora cambia tutto. L’alta cultura è predominante nelle istituzioni ufficiali della sinistra ma in altri ambiti l’ideologia di sinistra viene sconfitta da altre manifestazioni culturali che incontrano di più i gusti del Paese».
Si riferisce a Zalone?
«Certo, anche. Zalone è sempre stato apolitico, non ha mai ceduto al politicamente corretto. Fa un cinema che fa riflettere e non vuole indottrinare nessuno, non fa moralismi a senso unico come capita ad altri tipi di comicità di sinistra».
Sanremo è di destra o di sinistra? A volte legare la politica a certe forme di spettacolo non fa scadere nel ridicolo?
«Anche a Sanremo non c’è più una forma di piena differenziazione tra alta cultura e cultura nazionale popolare. A me piace parlare di cultura in senso ampio, non solo di alta cultura, la “Kultur alla tedesca”, che permea nel popolo e permette riflessioni ampie».
Di che tipo?
«Sembra sempre ci sia questa contrapposizione tra il mondo dell’alta cultura, cinema, teatri, fondazioni, fiere del libro, case editrici, think tank nelle università, dove c’è oggettivamente sempre il predominio della sinistra, del mondo progressista, nelle sue varie sfaccettature, e grandi fenomeni di cultura di massa dove prevale l’esatto contrario rispetto all’etica progressista e a quell’atteggiamento pedagogico-educativo e moralistico che il mondo di sinistra tende ad avere nei confronti del popolo. L’idea di fondo della sinistra è stata sempre quella che bisogna civilizzare gli italiani e portarli con la mano come bimbi verso comportamenti più virtuosi».
Ma oggi non è più così. Ci sono vari altri casi giusto?
«Esatto, abbiamo un Fabrizio Corona che su YouTube, con un linguaggio molto politicamente scorretto, attacca il potere in tutte le sue forme e ha un successo enorme. Lo fa in maniera qualunquistica ma è questo che piace alla gente. Si occupa di questioni di cultura di massa, fenomeni che riguardano il crime, il trash, che non rientrano certamente nell’alta cultura ma che creano fenomeni di massa che hanno più visibilità e rilevanza di certi argomenti che trattano tv o giornali».
E non è il solo.
«La Zanzara, che adesso riempie anche i teatri e che offre un interessante esperimento sociale. Cruciani e Parenzo sostengono tutto il contrario del catechismo del politicamente corretto, sicuramente molto al di fuori dei perimetri della cultura ufficiale di sinistra. Ma per questo funziona ed è un fenomeno molto partecipato».
Anche dalla sinistra stessa presumo.
«Certo. Io ci sono andato ed è pieno di studenti della mia università, dirigenti d’azienda, professori, è un fenomeno trasversale che ha conquistato pezzi della classe dirigente».
Insomma, la presunta alta cultura della sinistra è in crisi perché risulta noiosa al grande pubblico?
«Sicuramente la cultura in senso ampio arriva di più alla gente».
Un po’ come in politica?
«Certi politici usano linguaggi più semplici e diretti e vengono capiti più facilmente. È quello che succedeva a Grillo e oggi alla Meloni. Ci sono fenomeni di massa che vengono seguiti da milioni persone e che rigettano l’idea che ci sia una rigida morale comportamentale linguistica da seguire che invece appartiene alla sinistra».
Anche nella musica?
«Certo, le canzoni che hanno avuto più successo negli ultimi anni sono quelle vicine al genere trap, che parlano di consumismo, esaltano il machismo, usano linguaggi volgari e una completa assenza di morale, nulla a che fare con il mondo progressista. Però quelle canzoni arrivano e funzionano. Tanto è vero che anche Sorrentino nel suo ultimo film ha dato un ruolo centrale a Gue Pequeno e alle sue canzoni che fa cantare anche a Servillo».
Quindi la cultura appartenuta da sempre alla sinistra è in caduta perché non arriva più alla gente comune?
«Non credo che la destra debba sfidare la sinistra sull’alta cultura. Però penso che siano in atto nella cultura popolare di massa delle forme di anti-progressismo e anarchismo, dei movimenti spontanei che sono in contrasto con l’alta cultura principalmente di sinistra e che vengono maggiormente capiti dalla gente e da qui il loro enorme successo. C’è questo contrasto tra cultura ufficiale e quella di massa nazional popolare; due mondi che sembrano non parlarsi.
Per la sinistra è come un boomerang?
«In effetti il tentativo di indottrinare della sinistra ha prodotto una reazione ancor più forte nella destra. Più la sinistra ha cercato di catechizzare la gente, più questi fenomeni sono cresciuti. La regola di doversi comportare in un certo modo, oggi è più fallita che mai».
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Ignazio La Russa (Ansa)
È appena il caso di ricordare che La Russa nel 1971, ovvero la bellezza di 54 anni fa, era già responsabile a Milano del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Msi. «Era il 1946, il Natale era passato da un giorno», dice La Russa nel video, «la guerra era finita da poco più di un anno e un gruppo di uomini, che erano sconfitti dalla storia, dalla guerra, nella loro militanza che era stata per l'Italia in guerra, l'Italia fascista, non si arresero, ma non chiesero neanche per un attimo di tornare indietro. E pensarono al futuro, non tentarono di sovvertire con la forza ciò che peraltro sarebbe stato impossibile sovvertire. Accettarono il sistema democratico e fondarono un partito, il Movimento sociale italiano, che guardava al futuro. I fondatori ebbero come parola d'ordine un motto che posso riassumere brevemente: dissero non rinnegare, cioè non rinnegavano il loro passato, ma anche non restaurare, cioè non tornare indietro. Non volevano ripetere quello che era stato, volevano un'Italia che marciasse verso il futuro».
«Quello che è importante ricordare oggi», aggiunge ancora La Russa, «è che allora, 26 dicembre 1946, scelsero come simbolo la fiamma. La fiamma tricolore, la fiamma con il verde, il bianco e il rosso. Sono passati molti anni, sono mutate moltissime cose, è maturata, migliorata, cambiata la visione degli uomini che si sono succeduti, che hanno raccolto il loro testimone, anche con fratture importanti nel modo di pensare, ma quel simbolo è rimasto, un simbolo di continuità e anche un simbolo di amore, di resilienza si direbbe oggi, un simbolo che guarda all’Italia del domani e non a quella di ieri, senza dimenticare la nostra storia».
Un modo come un altro per far felici gli elettori di Fdi che sono rimasti fedeli al partito da sempre, e che magari non si ritrovano pienamente nel nuovo corso della destra italiana, soprattutto in politica estera, ma anche su alcuni aspetti della strategia economica e sociale del governo. Per garantire una buona presenza sui media del messaggio nostalgico di La Russa, occorreva però qualche attacco da sinistra, che è subito caduta nella trappola: «Assurdo. Il presidente del Senato e seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa», attacca il deputato del Pd Stefano Vaccari, «rivendica la nascita, nel 1946, del Movimento sociale italiano. Addirittura il senatore La Russa parla di continuità di quella storia evocando la fiamma tricolore, simbolo ben evidente nel logo di Fratelli d'Italia, il suo partito. Sapevamo delle difficoltà del presidente La Russa a fare i conti con il suo passato, visti i busti di Mussolini ben visibili nella sua casa, ma che arrivasse ad una sfrontatezza simile non era immaginabile». Sulla stessa lunghezza d’onda altri parlamentari dem come Federico Fornaro, Irene Manzi e Andrea De Maria, il deputato di Avs Filiberto Zaratti. Missione compiuta: La Russa è riuscito nel suo intento di riscaldare (con la fiamma) il cuore dei vecchi militanti missini, e di trascinare la sinistra nell’ennesima polemica completamente a vuoto.
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Uno scatto della famiglia anglo-australiana, che viveva nel bosco di Palmoli, in provincia di Chieti, pubblicato sul sito web della mamma, Caterine Louise Birmingham (Ansa)
Non hanno alternative Catherine Birmingham e Nathan Trevallion, se non quella di passare al contrattacco visto che, giorno dopo giorno, sembrano scivolare sempre di più nella morsa dei giudici, dei periti e degli operatori della salute mentale. Oltre alle valutazioni sui minori da parte del servizio di neuropsichiatria infantile per individuare eventuali carenze, sono sotto esame le «capacità genitoriali» dei coniugi ma anche le loro propensioni «negoziali», troppo limitate secondo i servizi, e persino la loro personalità ritenuta «troppo rigida».
Non solo. Sebbene la famiglia abbia detto sì alle richieste del tribunale per spostarsi in una casa più adeguata, completare i cicli vaccinali, ricevere una maestra a domicilio per il percorso di home schooling, cercando dunque una mediazione tra la propria filosofia educativa e le richieste dello Stato, gli sforzi non sono bastati. E l’asticella è salita sempre più in alto. Quindi non rimane che provare a smontare le accuse. E così, dopo che lo scorso 19 dicembre, la Corte d’Appello ha rigettato il ricorso contro l’ordinanza, il giorno prima di Natale, i legali della famiglia, Marco Femminella e Danila Solinas, hanno deciso di controbattere ad alcuni dei punti dirimenti per i giudici.
Uno su tutti il rifiuto del sondino naso-gastrico nel trattamento dell’intossicazione da funghi dei figli in occasione del ricovero in ospedale nel settembre 2024, verosimilmente per via del materiale plastico. Un episodio significativo per i giudici in quanto «denoterebbe l’assoluta indisponibilità dei genitori a derogare anche solo temporaneamente e in via emergenziale ai principi ispiratori delle proprie scelte esistenziali». Per tutta risposta, gli avvocati hanno allegato alcune foto dei bambini mentre mangiano un gelato utilizzando cucchiaini di plastica, dunque smentendo l’iniziale resistenza da parte della madre nei confronti di certi oggetti. In altre immagini i piccoli giocano nel centro commerciale e sono al parco in compagnia di alcuni coetanei. Anche qui scene di «normalità» per smontare il ritratto apposto dai giudici alla famiglia, descritta come un gruppo di eremiti avulsi dai contesti sociali.
In un altro scatto si lavano le mani nel bagno di un locale pubblico. L’ennesima immagine che sconfesserebbe il teorema dei servizi secondo cui i piccoli Trevallion avrebbero paura della doccia e rifiuterebbero di lavarsi.
Nell’istanza i legali rispondono anche alle accuse rivolte contro la madre australiana, descritta come incline allo scontro con gli operatori. Secondo i legali, alla base del giudizio negativo dei servizi sociali vi sarebbe frizioni con l’assistente sociale che avrebbe interpretato come oppositivi alcuni suoi comportamenti. In particolare l’abitudine di svegliare i bambini la mattina prima dell’orario prestabilito. Un’accusa respinta con forza dalla madre che dice di passare solo a controllarli. Qualora dormano, spiega, si reca in cucina per preparare il porridge, per restituire ai figli un’atmosfera di casa. A quanto pare, peraltro, il più delle volte i fratellini sono già svegli perché non dormono bene.
Come rivelato da Il Centro, in alcuni messaggi inviati agli amici, la madre si dice preoccupata perché hanno delle ferite alle mani, in particolare la più grande. «Si mordono di continuo, è segno di un’ansia profonda», scrive.
Nel frattempo, in vista dei test psicologici, i legali hanno nominato come consulenti di parte la psicologa Martina Aiello e lo psichiatra Tonino Cantelmi, cattolico militante e professore associato all’Università Gregoriana che nel 2020 era stato individuato da papa Francesco come «membro del dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale». Per il suo curriculum, oltre a sostenere la coppia nelle valutazioni psicologiche disposte dal tribunale, potrebbe accompagnarla nell’assunzione di una posizione meno radicale. Per i test, però, ci vorranno almeno 120 giorni. Altri quattro mesi in cui i piccoli dovranno stare nella casa famiglia.
Uno scenario di fronte al quale uno dei commenti più duri arriva dal vicepremier Matteo Salvini: «Non avrò pace fino a che non troveremo il modo legale di riportare a casa quei bimbi. Oggi 16.000 famiglie italiane hanno scelto l’home-schooling, che facciamo, li portiamo via tutti perché qualcuno ritiene che i bambini siano dello Stato? È orribile e sovietico. Non socializzavano o potevano diventare dei bulli? Chi dice queste cose vada sulle metro o in certe periferie e faccia due chiacchiere con i tredicenni armati di coltello che fanno stupri di gruppo: magari hanno avuto tanta socialità, però non hanno mai incontrato un assistente sociale».
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