
Dietro all’ennesima mossa strategica dell’ex premier si nasconde il rischio di non tornare in Parlamento senza un accordo con Pd, M5s e Avs. Pesa anche il rancore verso la Meloni.Osservando le ultime mosse di Matteo Renzi, verrebbero da dire due cose: la prima è che l’ex-enfant prodige di Rignano sull’Arno non si smentisce mai, e la seconda è la conferma che la sindrome autolesionista della sinistra italiana è sempre viva.Dopo un po’ di batoste elettorali e di infiniti ondeggiamenti tra destra e sinistra, Renzi ha deciso di intrupparsi nel cosiddetto campo largo con l’intento di aiutare la costruzione della «tenda riformista», ipotizzata da Goffredo Bettini. Quale sia la dimensione di tale tenda, se si tratti di un tendone da circo o di una tenda da campeggio, ancora nessuno lo sa. In compenso ha già molti potenziali leader in competizione tra loro: dall’ex direttore dell’agenzia delle entrate Ernesto Maria Ruffini, al trio dei sindaci (il milanese Beppe Sala, il napoletano Gaetano Manfredi e ultima ma non ultima, la genovese Silvia Salis). Ne arriveranno probabilmente altri e tutti con l’ambizione di diventare candidati leader del campo largo. Ne vedremo delle belle.Tornando a Renzi, tutto è iniziato con la famosa fotografia che lo ritraeva abbracciato a Elly Schlein alla partita del cuore, lui «fantasista» e lei centravanti . Ne è seguito un ritorno mediatico molto utile al leader di Italia viva, che ha immaginato di potersi presentare alle prossime elezioni come alleato del campo largo Pd-M5s -Avs, considerata la poca affezione degli elettori per il suo piccolo partito.Dopo aver pugnalato alle spalle quasi tutti, da Pierluigi Bersani a Enrico Letta, da Giuseppe Conte a Carlo Calenda, non gli è rimasto che recitare questa nuova parte in commedia: il figliol prodigo che ritorna «per sconfiggere la Meloni e la destra». Ma come quasi sempre nel suo caso, la scelta è dettata esclusivamente da calcoli personali e non da programmi di governo concreti e condivisi. Per essere più chiari le ragioni che stanno alla base della sua scelta sono tre.Innanzitutto ha capito che nel centrodestra non avrebbe alcuno spazio, visto che Forza Italia e i centristi sono ben strutturati e con molti più voti del suo partitino, mentre le posizioni di centro sono poco presidiate nel centrosinistra, con Pd, Avs e grillini schiacciati a sinistra. Perciò immagina di essere determinante per bilanciare e riequilibrare al centro il campo largo, dando vita a una sorta di riedizione in piccolo della Margherita.In secondo luogo capisce benissimo che da solo non andrebbe da nessuna parte, mentre lui ha un assoluto bisogno di essere rieletto. Infine, in cauda venenum, la terza inconfessabile ragione è il rancore personale maturato verso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la sua maggioranza a causa della messa sotto osservazione politico-legislativa della sua attività di consulente del «Rinascimento Saudita «.Renzi che nel mondo politico reale non esiste più dal 2018, è tenuto in vita dall’accanimento terapeutico dei talk televisivi e delle redazioni di alcuni giornali che lo intervistano una settimana si e una pure, sfruttando la sua indiscutibile verve comunicativa ma alimentando il suo ego già di proporzioni gigantesche. Dal suo punto di vista, tenta di giocare la partita in questo quadro con l’idea ( o forse l’illusione) di essere lui a dare le carte.Può contare, come molti in passato, sull’indefesso autolesionismo della sinistra, vero connotato antropologico sul quale si potrebbero scrivere trattati, che in questo frangente si manifesta con lo stupefacente abbraccio della segretaria del Pd. La quale, dopo aver più volte affermato che nella costruzione del cosiddetto campo largo contano i progetti ed i programmi, é passata ad una riflessione più profonda: «non servono veti ma servono voti». Teoria ineccepibile: solo che Renzi i voti non li ha. Il partitino dell’ex presidente del Consiglio ha percentuali inferiori all’ albumina e quindi parlare di un suo eventuale contributo è di per se un errore aritmetico, che diventa errore politico quando si consideri che la sua presenza è respingente per tanti elettori di centro sinistra: in pratica toglierebbe sicuramente di piu di quanto aggiungerebbe probabilmente.Nel tentativo di rendere digeribile ai militanti questa operazione di avvicinamento, Il Pd apre le Feste dell’Unità a Renzi ed ai suoi «one man show». Questa situazione irrita e preoccupa non poco i riformisti interni al Pd, i quali temono che le posizione moderate vengano appaltate alla erigenda «tenda riformista» alleata con il campo largo. Ciò produrrebbe un ulteriore marcato spostamento del Pd a sinistra, rendendo difficile se non superflua la loro convivenza interna.Infine sul cammino di Renzi ci sarà un ulteriore ostacolo non da poco, rappresentato da due personalità non proprio a lui amiche, per usare un eufemismo. Il leader del M5s e Romano Prodi, poco inclini a dargli ascolto e con una memoria da elefante per le disinvolte operazioni politiche alle quali hanno assistito in questi anni e che per buona parte hanno subito, lo aspettano al varco.L’impressione è che la sinistra stia compiendo un errore politico nel fare rientrare nel proprio recinto Matteo Renzi. Timorosi che le elezioni politiche previste nel 2027 riconsegnino di nuovo alla maggioranza di centro destra il governo del paese e terrorizzati dal fatto che le diano i numeri per eleggere il nuovo presidente della Repubblica, Schlein e soci pensano che occorra raccattare tutto ciò che è contro la Meloni per tentare di vincere la corsa elettorale. Così facendo non solo si perde la propria identità ma si rischia in realtà di favorire ciò che si pensa invece di combattere. Che dire ? Contenti loro.
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