2018-10-05
Renzi rischia grosso persino in Toscana per il solito egoismo
Vietata la lista di supporto dell'«epurato» Federico Gelli, la fedelissima Simona Bonafè può perdere la corsa alla segreteria pd. Lorenzo Becattini si affanna a chiedere a tutti di recuperare l'unità, dopo però aver bruciato ogni possibilità di accordo. Gli hanno fatto notare che l'unità, semmai, si costruisce e si condivide, non si impone. E Nicola Zingaretti gode. È curioso, il mantra del renzismo: dobbiamo essere uniti, ma si fa come vogliamo noi. A ben pensarci è la filosofia dell'intera stagione che si ispira al suo profeta. I soliti metodi. E mentre la zarina che voleva cambiare la Costituzione scritta da Alcide De Gasperi, Piero Calamandrei, Nilde Jotti, si fa fotografare dall'uomo dei Benetton su una rivista patinata come una Belen Rodriguez qualsiasi, il Pd toscano si avvinghia al poco potere che ancora gli resta, senza concedere nulla ai problemi veri che assillano i suoi ex elettori e ai quali da mesi giura di volersi dedicare.In Toscana va in scena la caduta ufficiale dell'impero renziano. Da Nicola Zingaretti in giù cercavano un delfino che insidiasse il successo alla renzianissima Simona Bonafè, lanciata verso la segreteria regionale alle elezioni primarie del 14 ottobre prossimo, per poterlo sostenere contro il renzismo che qui ancora comanda. L'hanno trovato in Valerio Fabiani, orlandiano, che da signor nessuno sta vedendo crescere i supporter e ora punta anche ad accaparrarsi il sostegno di un'area di renziani delusi. Ieri la cronaca di Firenze di Repubblica titolava certa: «Zingaretti si schiera con Fabiani». Le parole del governatore del Lazio sembrano inequivocabili, quando annuncia «io mi batterò per cambiare e lo farò anche in Toscana».Ma lo strappo più importante e decisivo è stato provocato dall'ennesimo atto di forza del Giglio magico che ha rifiutato al diversamente renziano Federico Gelli, la possibilità di presentare una sua lista, che avrebbe sostenuto Bonafè ma avrebbe dovuto garantire anche la presenza di membri a lui vicini nell'assemblea regionale. Sarebbe stato il riconoscimento di una minoranza renziana, la cui conta evidentemente, ha fatto paura all'establishment che resiste. Dicono che sia stato Luca Lotti a ordinare il niet. Con il risultato che il gruppo dei dissidenti si è di fatto messo in proprio: per bocca di due renziani della prima ora, Monia Monni e Francesco Gazzetti, con un simpatico video postato su Facebook, nel quale si presentano imbavagliati, prima hanno denunciato il «gesto violento» che li ha messi fuorigioco, poi hanno annunciato la nascita di «Radio Londra», una voce clandestina per reagire alla sopraffazione del renzismo. Ora il coordinatore della campagna di Bonafè, Lorenzo Becattini, si affanna a chiedere a tutti di recuperare l'unità, dopo però aver bruciato ogni possibilità di accordo. Gli hanno fatto notare che l'unità, semmai, si costruisce e si condivide, non si impone. Per esempio l'unità sarebbe stata possibile nel caso di un ticket Bonafè-Gelli, come era stato proposto. Ma il manovratore evidentemente non vuole essere disturbato da nessuno, dunque non sono ammesse presenze autonome e l'unità invocata è solo quella di plastica di chi vuol fare come gli pare, allergico a ogni pur garbato dissenso. La Toscana, proprio qui dove tutto è cominciato, poteva essere la palestra di un nuovo equilibrio che restituisse pari dignità democratica alle componenti del Pd. Invece no. Che futuro può avere un partito che si illude di poter stare in piedi da solo, ma intanto non riesce a liberarsi del badante che non ne vuol sapere di lasciarlo libero di camminare dove vuole? Non è in gioco solo la nuova segreteria regionale dem, che pure ha un valore politico decisivo, dal momento che dovrà gestire le prossime elezioni amministrative in comuni importanti come Firenze e Prato e le regionali del 2020. Qui si parla piuttosto della capacità di recuperare il linguaggio e l'interesse della gente comune. Che si fa non andando davanti a una telecamera o all'obiettivo di un fotografo vip, ma davanti a una fabbrica chiusa in mezzo agli operai senza stipendio. Fa quasi tenerezza il povero Maurizio Martina che strilla come si faceva ai comizi di una volta, dal palco di piazza del Popolo. Ma sembra un ventriloquo. Altra cosa è misurarsi con il Paese reale, invece di quello omologato e composto dai simpatizzanti a cui hanno messo in mano una bandiera. Il Paese reale è anche quello che ha ignorato il voto nei circoli del Pd, cioè la scelta che gli iscritti hanno fatto per il loro nuovo segretario. È in netto vantaggio Simona Bonafè, con il 68%. Ma hanno espresso la preferenza appena 15.000 persone, ossia il 36 per cento di chi aveva la tessera. Fra questi, il 20 per cento sono state le schede bianche. Non è un bilancio brillante per cui entusiasmarsi. Ora però si riparte da zero. Il 14 ottobre il voto si trasferisce ai gazebo, basta pagare due euro. La speranza dei non renziani si chiama Valerio Fabiani. A Roma guardano verso la Toscana. Se questo giovanotto di Piombino, abbastanza sconosciuto ma proprio per questo portatore di novità, riuscisse a scardinare la cassaforte con un buon risultato, la Toscana renziana darebbe il primo squillo di cambiamento. E anche chi oggi non ha il coraggio di mettersi contro Renzi perché «non si sa mai», troverebbe l'energia per farlo. Il trend di Fabiani è in crescita: aveva già mobilitato la minoranza del partito, lo schiaffo rifilato a Federico Gelli gli consente di puntare anche sui suoi voti. Dieci giorni, tanto gli manca al count down. Intanto si è fatto precedere dalle parole di Enrico Berlinguer, che ha preso a mo' di slogan per le primarie pd: «Venite e cambiateci». Magari non è solo nostalgia.
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