2024-10-07
Renzi mette i voti alla Meloni ma sbaglia i conti
Le bugie hanno le gambe corte, ma se ci sono di mezzo Matteo Renzi e il suo partito le hanno cortissime. Abbiamo già documentato da dove nasca il rischio che le accise sul gasolio vengano aumentate: a pretendere di togliere i sussidi considerati ambientalmente dannosi, cioè a favore dei carburanti, è la sinistra, che da tempo ha sposato le posizioni estremiste di Ultima generazione, senza rendersi conto che le misure sollecitate vanno a danno dei redditi bassi, che pagherebbero di più non soltanto il pieno per le automobili, ma anche i generi alimentari, per effetto dei rincari nell’autotrasporto. Ma il meglio a proposito di mistificazione lo ha dato Italia viva, che scopiazzando la campagna elettorale di Trump, ha pubblicato via social network alcune tabelle per dimostrare che con Giorgia Meloni al governo, i prezzi di generi di prima necessità sono schizzati alle stelle. Secondo il partito di Renzi, sarebbe colpa della presidente del Consiglio se la carne, l’olio e il pane sono rincarati rispetto a quando a Palazzo Chigi c’era Mario Draghi. «Giorgia, quanto ci costi?» è stata la domanda retorica del partitino del senatore semplice di Rignano. Però i dati pubblicati da Renzi e compagni sono stati confutati dagli stessi utenti e, soprattutto, da un noto sito di fact checking come Pagella politica, che ha fatto le pulci alla propaganda di Italia viva non soltanto sulla grafica scopiazzata dalla campagna elettorale di The Donald, ma anche sui contenuti.Nella grafica pubblicata dal partito di Renzi balzavano all’occhio gli aumenti del costo della carne (passato da 20,18 euro al chilo a 21,18), dell’olio (da 5,32 a 9,74 euro al litro), del latte (da 1,50 a 2,04 euro) e così via per tutti gli altri generi alimentari, partendo dal pane per finire al tonno in scatola, passando per la farina, il caffè, la passata di pomodoro eccetera. La fonte a cui Italia viva ha attinto le informazioni è l’Osservatorio prezzi e tariffe del ministero per le Imprese e il made in Italy. E fin qui nulla da dire. Il problema si presenta secondo Pagella politica quando si confrontano i dati con quelli del passato e si fa la media a livello nazionale. I prezzi mensili dei beni e dei servizi di largo consumo sono divisi per province e la media non è calcolata. Può darsi che il partito di Renzi abbia fatto la sintesi di tutte le informazioni ma, come nota il sito di fact checking, i dati relativi al mese di luglio, quello preso in esame, riguardano solo la provincia di Roma e non tutta Italia. Dunque, forse si sono mischiati numeri non compatibili.Tuttavia, è sui periodi che i conti non tornano. «Se si prendono i dati relativi a febbraio 2021, il mese in cui si è insediato il governo Draghi, i prezzi dei prodotti scelti da Italia viva erano più bassi rispetto a quando Draghi ha ceduto il posto a Meloni». Ma se si guardano i prezzi di ottobre 2022, le cose cambiano, perché a seguito dell’invasione in Ucraina i prezzi sono saliti. «Non è finita qui. Il confronto fatto da Italia viva tra governo Draghi e governo Meloni», scrive il sito, «sta poco in piedi per un altro motivo». La ragione è presto detta: i prezzi cambiano da provincia a provincia, a seconda del periodo. Per questo, lo stesso Osservatorio mette in guardia da raffronti spericolati. Ciò detto, Pagella Politica spiega che «in realtà i prezzi dei beni alimentari sono cresciuti soprattutto durante il governo Draghi, quando in generale c’è stato un forte aumento dell’inflazione, causati in particolare dall’aumento dei costi dell’energia». Durante il governo Meloni, i prezzi hanno continuato a crescere, sostiene il sito di fact checking, ma a un ritmo più lento, prova ne sia che a luglio l’Italia aveva l’inflazione più bassa tra i Paesi del G7 e, secondo Eurostat, tra tutti i Paesi della Ue. Conclusione di Pagella Politica, sito che non è sempre tenero con il centrodestra: «Seguendo il ragionamento fuorviante di Italia viva, il partito di Renzi dovrebbe attribuire al governo Meloni i meriti di questi risultati».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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