2020-05-18
Re Giuseppi tratta i giornalisti come servi
I giornalisti dovrebbero disertare le conferenze stampa di Giuseppe Conte. Perché non sono conferenze stampa, dove un cronista pone una domanda, anche polemica, e per conto dell'opinione pubblica pretende una risposta chiara e non evasiva. Quelle del presidente del Consiglio sono passerelle senza contraddittorio. Monologhi dove il premier fa mostra del proprio linguaggio involuto, pieno di iperboli e di citazioni, in giuridichese e politichese. Per il capo del governo la conferenza non è un'occasione per informare, ma per celebrare il proprio ego, per dispensare promesse e cercare consenso. Ogni volta gli aggettivi si sprecano e i superlativi anche. L'iniezione di liquidità a favore delle aziende è poderosa, ma nessuno si azzardi a dire che in realtà è minima (...)(...) perché i soldi sono a prestito (che è come rivendicare un proprio merito se Banca Intesa istituisce una linea di credito per piccole e medie imprese). Il lavoro fatto dal governo e dai suoi collaboratori è incredibile, sebbene i decreti tardino a finire in Gazzetta ufficiale e la loro applicazione subisca rinvii di settimane o di mesi. Le misure messe a punto sono portentose come mai è avvenuto nella storia della Repubblica, facendo così sparire in un attimo un passato patrio che si porta dietro il piano Marshall, la ricostruzione, il boom economico e così via. Quella della maggioranza giallorossa non è una manovra, ma sono addirittura due. Anzi, già che ci siamo diciamo tre. Sì, una volta preso il microfono e salito sul palchetto che si fa allestire dal fido Rocco Casalino, Giuseppe Conte non si tiene più e ogni volta si loda e si imbroda raccontando a reti unificate le sue gesta. I conduttori dei talk e dei programmi di approfondimento rimangono in religioso silenzio di fronte al torrente di parole, ascoltando muti senza nemmeno accennare un commento. Interrompere lo sproloquio condito da locuzioni tipo «la soluzione è condivisa sul punto di convergenza», «mi sento più confortevole con questo esecutivo» e «le ragioni sono ritenute non sempre rispondenti», è consentito solo alla pubblicità, che l'altra sera è entrata prepotentemente in scena silenziando il premier, perché gli spot politici dell'inquilino di Palazzo Chigi sono d'obbligo, ma quelli a pagamento delle poche aziende che ancora investono lo sono di più.Pochi cronisti si permettono di interrompere la narrazione rosea di Giuseppe Conte e quei pochi vengono trattati dal presidente del Consiglio con inusitata arroganza, a dimostrazione che dietro l'immagine cortese, dietro ai baciamani e alle cerimonie zuccherose con cui accoglie gli ospiti, c'è un'aggressività nascosta che Dagospia ha ben sintetizzato definendo il premier «la pochette con le unghie». L'avvocato di Volturara Appula, divenuto premier per caso, ma determinato a rimanerlo con ogni mezzo fosse anche il prolungamento dell'emergenza, ha sfoderato le grinfie una prima volta a Bergamo, con una collega rea di aver precisato che la Lombardia all'inizio di marzo non fu dichiarata zona rossa, ma arancione, cioè non ci fu subito il lockdown, come richiesto dalla stessa Regione, ma una fase di controllo, perché il tentennante Conte non se la sentiva di assumersi la responsabilità e palleggiò la scelta per giorni con il comitato di esperti. Piccato per essere stato colto in castagna mentre ricostruiva i fatti a suo uso e consumo, il capo del governo ha replicato al giornalista di Tpi con un secco «Quando sarà al governo scriverà lei i decreti», evitando dunque di dare una risposta, ma semplicemente tappando la bocca a ogni obiezione. Stessa scena a Taranto, quando un giornalista si è permesso di dire al presidente del Consiglio che la sua visita pugliese aveva l'aria di una passerella politica. Risposta stizzita con leggero scompiglio del ciuffo presidenziale: «Andate a casa e non sarà una passerella politica». Anche l'altra sera Giuseppe Conte ha avuto modo di evidenziare tutto il disprezzo nei confronti di chi gli fa le domande. A un giornalista di Rtl, la radio della vera normal people, che gli chiedeva un giudizio sull'operato del commissario Domenico Arcuri, il presidente del Consiglio ha replicato con fastidio, dicendo al collega che quando dimostrerà di avere capacità migliori sarà lieto di prendere in considerazione la sua nomina. Una non risposta, anzi un insulto alla professionalità del collega, ma soprattutto agli italiani. I casi che ho elencato, che si sono svolti sotto l'occhio delle telecamere senza che l'Ordine dei giornalisti abbia fatto un plissé (immaginate se le risposte fossero uscite dalla bocca di Salvini, della Meloni o di Berlusconi), dimostrano una sola cosa, ossia che dietro la formale cortesia del premier, c'è la volontà di sottrarsi al controllo della stampa. Avere chi gli chiede conto di ciò che ha fatto il governo a nome dell'opinione pubblica, cioè degli italiani, lo infastidisce. Conte non vuole domande, preferisce i soffietti, ossia i quesiti che contengono già l'elogio. Chi gli sollecita un giudizio su una questione spinosa o addirittura si permette di contestarlo, lo irrita e dalla pochette spuntano gli artigli. I giornalisti sono per lui comparse che devono stare nella casella assegnata: la poltroncina distanziata dal potere vero, il suo. Ecco perché partecipare a una finta conferenza stampa non ha senso. Meglio andare a fare un giro per vedere l'Italia reale, quella che rispetta le regole anche quando sono assurde e quella che tira giù la saracinesca perché nonostante le poderose chiacchiere del capo del governo non ce la fa più.P.s. Oggi l'Italia tenta il rilancio. Lo fa da sola, senza norme chiare e senza aiuti del governo. Conte l'altra sera ha scaricato le responsabilità sulle Regioni dicendo che il controllo nazionale resta una clausola di salvaguardia, quando al contrario la Costituzione assegna al governo centrale la responsabilità della salute degli italiani in caso di epidemia. Il presidente del Consiglio ha fatto anche cenno al risparmio degli italiani, senza smentire il progetto di una tassa patrimoniale. Insomma, l'Italia riparte, ma con un esecutivo come quello giallorosso ha molti motivi per non essere tranquilla.
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
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