2025-04-01
Ramadan ostile, con i silenzi complici faremo la fine di Francia e Inghilterra
Quella che per noi è tolleranza, per i musulmani è conquista: parola di Khomeini.Tutti svegli al canto dei muezzin nell’alba di Milano. È accaduto ai residenti vicino al parco della Martesana, trasformato in moschea abusiva a cielo aperto. Eppure c’è un grande silenzio che copre e anestetizza l’avanzata islamica nel nostro Paese. Non è dovuto al riserbo per i riti di un’altra religione (la fine del Ramadan) ma alla passività pelosa del progressismo politico-mediatico che ha archiviato il tema come scontato, ineluttabile, regolato dalle leggi dello Stato laico. Salvo scoprire in questi due giorni di fibrillazioni e di incendi che sotto la coltre grigia del velo continua a covare la brace ardente. I raduni di culto trasformati in manifestazioni Pro Pal, la sutura strumentale (fino a quando fanno comodo) con i centri sociali e i collettivi studenteschi, i consueti cori antisemiti, l’occupazione di spazi pubblici senza autorizzazione nelle grandi città - oltre Milano, Torino, Napoli, Imperia - sono segnali di una forza sotterranea e pervasiva che sembra occuparsi d’altro ma è pronta a dire la sua dentro la società italiana sempre più distratta. Lo conferma un’immagine surreale di Torino. Mentre il sindaco piddino Stefano Lo Russo faceva gli auguri in arabo «Eid Mubarak», buona festa, alle autorità musulmane per mostrare tutto il suo afflato inclusivo, davanti a lui venivano bruciate le foto di Giorgia Meloni e Ursula Von der Leyen al grido di «Allah u’ Akbar» da chi non ha mai preso le distanze dall’estremismo islamista. Buona festa, allocchi.Il passo è felpato ma il cammino è implacabile e l’inclusione continua ad essere una parola intraducibile, che riguarda solo noi. Domenica il presidente Sergio Mattarella l’ha declinata in tutte le sue forme rivolgendo un saluto istituzionale: «Sono lieto di porgere i migliori auguri a donne e uomini di fede islamica per la festa dell’Eid al fitr. Tra gli elementi fondamentali della convivenza civica in Italia risaltano il pluralismo religioso, il rifiuto di ogni forma di discriminazione basata sull’adesione a un credo, la libertà di culto. Nel rispetto di tali principi costituzionali manteniamo fermo l’impegno contro estremismo e intolleranza». L’abbraccio incondizionato dispensa tonnellate di amicizia ma tradisce grande debolezza. Per le comunità islamiche non esiste libertà di culto, non esiste pluralismo, non esiste multiculturalismo. Nei quartieri arabi, dove ormai fatica ad entrare la polizia, nessuno immagina di rinnegare la Sharia. E nessuno ha mai decisamente preso le distanze dalle violenze contro le altre religioni, poiché la regola prevede due nemici infedeli: innanzitutto gli ebrei, poi i cristiani. Per il vescovo di Prato, Giovanni Nerbini, si tratta di «proficua convivenza», quindi non ha avuto dubbi nel concedere per la prima volta nella storia l’antico complesso di San Domenico per la fine del Ramadan.Il silenzio degli ingenui e dei compiacenti rafforza le discriminazioni al contrario e avvia il nostro Paese sulla strada della Gran Bretagna e della Francia, dove l’islam non è più un fattore religioso ma politico. E dove impera un pericoloso laicismo a senso unico che favorisce forze politiche islamiche che eleggono rappresentanti pubblici e sono pronte a chiedere il conto delle alleanze. Il format si sta replicando in Italia e il laboratorio sociale è Monfalcone (30.000 abitanti, un terzo musulmani) dove è nato il primo partito islamico con l’obiettivo di incardinare la legge coranica, con niqab e poligamia. Tutto ciò è incostituzionale, ma l’allarme rimane valido e il nostro torpore è colpevole.In Occidente la democrazia ha avuto una trasformazione fisica: è passata dallo stato solido allo stato liquido, infine a quello gassoso. Lasciati evaporare i principi, resta un vuoto che i musulmani sanno riempire con silenziosa determinazione. Quella che per noi è tolleranza religiosa, per loro è agibilità politica dentro un mondo granitico che non fa sconti. «Se l’islam non è politico, non è niente». Parola dell’ayatollah Khomeini, un tipo che di rivoluzioni culturali (e non solo) qualcosa capiva.
Nel riquadro Carlotta Predosin, esperta in sicurezza del patrimonio artistico (IStock)
Polizia di fronte al Louvre (Ansa)