2024-02-14
Una culla, due papà e nessuna madre. Su RaiPlay lo spot alla «famiglia» Lgbt
Altro che TeleMeloni: sulla piattaforma streaming della tv di Stato passa la pubblicità che strizza l’occhio all’utero in affitto. Pro Vita lancia una petizione per rimuoverla. Maurizio Gasparri: «I consumatori comprino altro».Si fa presto a dire «TeleMeloni», senza avere un quadro d’insieme della programmazione, dei contenuti e dei volti che animano la Rai. Perché se lo si avesse, magari qualche volta, prima di sparare a palle incatenate sul governo e sui nuovi vertici del servizio pubblico, si potrebbe provare a contare fino a dieci. Le pagine dei giornali sono ancora piene delle polemiche seguite ad alcune prese di posizione di artisti dal palco di Sanremo contro Israele, con Mara Venier innalzata dalla sinistra a nemica del popolo, in quanto ritenuta troppo morbida nella condanna allo Stato ebraico e, soprattutto, prona ai voleri di Viale Mazzini. L’accusa, ovviamente, non valeva nei periodi in cui ha condotto Domenica In col centrosinistra a Palazzo Chigi (più di una stagione). Detto questo, per avere un panorama esaustivo di quello che offre la tv di Stato, sarebbe superficiale limitarsi solo ad analizzare i programmi «blockbuster» come Sanremo o Domenica In, ma bisognerebbe esaminare film, fiction, documentari e, in alcuni casi, anche la pubblicità. E soprattutto, non fermarsi ai contenuti trasmessi via etere o in diretta. È ormai di pubblico dominio il fatto che una buona fetta di spettatori (talvolta la maggioranza) fruisce dei contenuti trasmessi dalla tv attraverso le piattaforme streaming, organizzando da sé il proprio palinsesto, a seconda delle proprie preferenze e del tempo libero a disposizione. In questo senso, la piattaforma della Rai (RaiPlay) è considerata una delle migliori e più ricche dei servizi di streaming a disposizione nel nostro paese. Trattandosi di un servizio gratuito, è inevitabile sorbirsi un po’ di pubblicità, prima o dopo quello che si vuole vedere. Ebbene, visto che, come dicevamo, anche la pubblicità fornisce informazioni importanti sugli orientamenti dei vertici di un’azienda culturale, molti dei Savonarola intenti a gridare alla tv di regime potrebbero ricredersi se incappassero, ad esempio, nella pubblicità che sta circolando in questi giorni su RaiPlay. Lo spot è quello di una famosa marca di prodotti sanitari per bambini (Libenar): si vedono, dal punto di vista del bebé in culla, due padri amorevoli che, preso atto del raffreddore del loro piccolo figlio, corrono ai ripari col prodotto in questione. Si può certamente dire che se ai piani alti di viale Mazzini avessero voluto compiacere il centrodestra al governo, di certo questo spot (che fa parte di una serie di spot del prodotto con varie versioni e vari «assetti» familiari) non avrebbe passato il vaglio della severissima censura di TeleMeloni. Tanto più per un tema molto delicato, per il quale l’esecutivo si è impegnato a fondo anche dal punto di vista legislativo, visto che è in discussione in commissione al Senato una legge, approvata alla Camera lo scorso luglio, che fa della pratica dell’utero in affitto (molto verosimile nel caso dei due papà della pubblicità in questione) un reato universale. Ed è questo l’elemento che ha già suscitato g le proteste di associazioni e politici impegnati nel sostenere la lotta alla pratica dell’utero in affitto, come Provita & Famiglia, che ha lanciato una petizione online per chiedere la rimozione da RaiPlay di uno spot che «sponsorizza implicitamente una pratica barbara come l’utero in affitto, che è un reato in Italia e non a caso, perché comporta abomini quali traffico di donne e di gameti, sfruttamento del corpo della donna e, soprattutto, il mercato dei bambini». «È intollerabile», prosegue il testo della petizione, «che il servizio pubblico, pagato da tutti i cittadini italiani attraverso il canone, diffonda attraverso i suoi canali streaming una réclame ideologizzata e di parte, che cancella la figura materna con l’intento di normalizzare la nuova schiavitù del XXI secolo». Sul fronte politico, il primo a protestare è stato già lunedì l’eurodeputato leghista Danilo Oscar Lancini, ma è verosimile attendersi delle iniziative dai parlamentari di centrodestra che siedono nella commissione di Vigilanza Rai. Interpellato dal nostro giornale, il presidente dei senatori di Fi, Maurizio Gasparri, dopo aver visionato lo spot si chiede ironicamente «ma la mamma era uscita?». «Probabilmente», ha aggiunto, «andando in onda questa pubblicità sul servizio pubblico, quello accanto al papà era lo zio. Non posso che sconsigliare l’acquisto di un prodotto che ricorre a una pubblicità di questo tipo. Loro sono liberi di comunicare come voglio, anche contro la realtà della natura», conclude, «i consumatori sono liberi di comprare un prodotto diverso da questo, ingannevole come la sua pubblicità». E gli stessi vertici della Rai, probabilmente, non leggono il sito di gossip e retroscena Dagospia, spesso critico (per usare un eufemismo) nei confronti del premier, fondato e diretto da Roberto D’Agostino se è vero che venerdì Rai 2 (nella vulgata della sinistra eletta a rete più a destra della tv di destra) trasmetterà in prima tv il documentario di D’Ago, intitolato Roma santa e dannata. Altro che TeleMeloni.
Gabriele D'Annunzio (Getty Images)
Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)