2024-01-05
Su RaiDue il documentario sulla storia dei Nomadi
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«Nomade che non sono altro» (Rai)
Sarà RaiDue, la Rai dei giovani, di reality e nuove fiction, a ospitare - alle 23.15 di venerdì 5 gennaio - Nomade che non sono altro. Il documentario, cronistoria del gruppo e del suo fondatore, Beppe Carletti, tornerà indietro: indietro fino ai primi anni Sessanta, indietro fino a un’Italia di provincia, a Modena e Reggio Emilia, indietro fino a Carletti, tastierista, e ad Augusto Daolio, cantante, alla loro decisione di formare una band.La grande festa per i sessant’anni dei Nomadi sarebbe dovuta andare in onda su RaiTre, il canale «mignon», destinatario dei prodotti più raffinati. Ma qualcuno, nel sistema spesso confuso della tv pubblica, ha deciso altrimenti. Sarà RaiDue, la Rai dei giovani, di reality e nuove fiction, a ospitare - alle 23.15 di venerdì 5 gennaio - Nomade che non sono altro. Il documentario, cronistoria del gruppo e del suo fondatore, Beppe Carletti, tornerà indietro: indietro fino ai primi anni Sessanta, indietro fino ad un’Italia di provincia, a Modena e Reggio Emilia, indietro fino a Carletti, tastierista, e ad Augusto Daolio, cantante, alla loro decisione di formare una band. Allora, scelsero di chiamarsi «Nomadi». Lo fecero senza un perché, trascinati da un’idea piuttosto che da un reale proposito. Erano nomadi per caso, ma quel caso si trasformò presto in qualcosa di più concreto. Qualcosa che sarebbe durato oltre ogni più rosea aspettativa.I Nomadi, il cui esordio avvenne nel 1963, sarebbero arrivati al 2023 come una fra le band più longeva al mondo, davanti a loro solo i Rolling Stones. Avrebbero pubblicato ottandue album e venduto quindici miloni di dischi, una cifra eguagliata (e superata) in Italia solo dai Pooh e dai Ricchi e Poveri. Ma dai Pooh e dei Ricchi e Poveri avrebbero preso le distanze, distanze artistiche, di pubblico, di «caratura». Tornerà indietro, allora, il documentario, per raccontare la genesi di una e di più carriere. Era il 1966, Francesco Guccini uno sconosciuto. I Nomadi decisero di dargli una chance e stringere un sodalizio. Belle speranze, sogni, gioventù. Un terreno fertile, dal quale sarebbero nate canzoni capaci di segnare una tappa fondamentale nel panorama musicale italiano. Dio è morto, contenuta nel Lp che la band pubblicò nel 1967, è la più celebre fra questa canzoni. Fu uno scandalo, all’epoca. La Rai la censurò, per essere poi sbefeggiata da Radio Vaticana, che ne capì invece il significato più profondo. Di lì, fu un’escalation: i Nomadi rifiutarono di lavorare con Mogol e Lucio Battisti, scrissero il proprio inno,Io Vagabondo, conobbero Sanremo e l’affetto del grande pubblico. Trionfarono, in un modo che, a sessant’anni di distanza, sarà ricordato e ripercorso attraverso il documentario, attraverso la testimonianza di Beppe Carletti e la performance di due attori, Andrea Avanzi e Marco Santachiara. Sono questi ad interpretare la band com’era allora, a ricrearne gli esordi, i concerti, a portare lo spettatore nei luoghi del gruppo, Novellara, le valli e la bassa. E sono le immagini di archivio raccolte dalla Rai a completare il puzzle, integrate dai ricordi vividi di chi con i Nomadi ha lavorato. Nel documentario, sul sottofondo delle riflessioni fatte da Augusto Daolio in un’intervista radiofonica nel 1989, parteciperanno Francesco Guccini, Luciano Ligabue e Caterina Caselli, Rosario Fiorello. Poi, il paroliere Alberto Salerno, il cantautore Stefano Cisco Bellotti, i musicisti Cico Falzone e Daniele Campani, i figli Elena Carletti e Davide Carletti, Don Giordano Goccini, parroco di Novellara, il giornalista Pino Strabioli. Infine, l’ex parlamentare e fan Renzo Lusetti, in un coro di voci atto a ricostruire la storia dei Nomadi e, parimenti, ad accompagnare lo spettatore fino al concerto evento di giugno 2023, a Novellara, dove la band ha festeggiato i sessant’anni di storia insieme al suo «popolo nomade».
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