2024-05-28
Il raid a Rafah agita Gerusalemme che ora indaga su 70 azioni militari
L’Idf: «Colpiti i capi di Hamas, poi è partito l’incendio». I morti sarebbero 45. Benjamin Netanyahu: «Incidente di cui rammaricarsi». Usa e Onu chiedono chiarimenti. Soldato egiziano muore in uno scontro a fuoco.Il ministro della Difesa Guido Crosetto critica l’alleato: «Doveva fermarsi, non ci ha ascoltato». Antonio Tajani: «Scongiurare l’escalation». Condanne dall’Ue, Madrid richiama la sua ambasciatrice.Lo speciale contiene due articoli.Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno confermato di aver attaccato domenica sera nella zona di Tal as Sultan, che si trova a Nordovest di Rafah, precisando di aver mirato una sede di Hamas mentre era in corso una riunione di alto livello. «L’attacco è stato effettuato contro terroristi, che sono un bersaglio in conformità con il diritto internazionale, utilizzando munizioni di precisione e sulla base di informazioni d’intelligence», dice l’Idf, secondo cui l’attacco successivamente avrebbe causato un incendio che si è diffuso in un campo per sfollati palestinesi, causando vittime tra i civili. Quanto accaduto «è ora oggetto di indagini». Avi Hyman, portavoce del governo, ha affermato che «i primi risultati dell’indagine mostrano che l’attacco aereo contro Hamas ha provocato un incendio che ha ucciso civili palestinesi», mentre per il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, che ieri ha avuto un incontro con le famiglie degli ostaggi che lo hanno contestato, quanto accaduto «è un tragico incidente di cui rammaricarsi». L’Onu ha chiesto a Israele «un’inchiesta completa e trasparente sull’attacco».Il ministero della Sanità di Gaza, controllato dai jihadisti di Hamas, ha dichiarato che 50-60 persone sarebbero morte e decine sono rimaste ferite a seguito degli attacchi aerei su Rafah. Ma quali erano gli obiettivi del raid? In una nota l’Idf ha affermato che «sono stati eliminati il terrorista Yassin Rabia, comandante della leadership di Hamas in Giudea e Samaria, nonché Khaled Nagar, alto funzionario dell’ala di Hamas in Giudea e Samaria». Le vittime al momento sarebbero 45. Contrariamente a quanto sostengono i nemici di Israele, lo Stato ebraico prende molto sul serio le accuse che gli vengono rivolte e lo dimostrano le parole del procuratore generale militare, Yifat Tomer Yerushalmi: «I dettagli del grave incidente sono oggetto d’inchiesta, che ci impegniamo a portare avanti al massimo». Poi la Yerushalmi ha reso noto che «sono aperte 70 inchieste per sospetti incidenti criminali durante la guerra», vedi presunte torture a prigionieri, uccisioni indiscriminate e altri reati. Tra queste c’è anche quella sul centro di detenzione militare di Sde Teiman dove sono rinchiusi i miliziani di Hamas catturati dal 7 ottobre in poi e molte altre vicende. Dettaglio da non trascurare è che la maggior parte delle denunce sono state inoltrate da gruppi israeliani per i diritti umani, poi da Reporter senza frontiere, Amnesty international e altri. Sempre a proposito di quanto accaduto a Tal as Sultan, domenica sera la Casa Bianca ha fatto sapere di essere a conoscenza dell’attacco israeliano al campo profughi di Rafah e di volere dei chiarimenti: «Stiamo raccogliendo maggiori informazioni». Nessuna inchiesta è invece in corso da parte dell’Autorità nazionale palestinese o dagli Stati arabi in merito agli efferati crimini di Hamas che continua a lanciare missili su Israele anche da Rafah; così come nessuno di questi attori si è mai attivato per chiedere la liberazione degli ostaggi. Sempre nella notte tra domenica e lunedì, l’Idf ha preso di mira ed eliminato un terrorista che è stato avvistato ad Ainat, nel Sud del Libano, da cui sono state effettuate operazioni di bombardamento verso l’area di Malkiyah. Inoltre, aerei da guerra hanno attaccato un edificio militare appartenente all’organizzazione terroristica Hezbollah nella zona di Aitaroun, nel Sud del Libano. L’esercito israeliano ha annunciato di aver distrutto un tunnel di Hamas nel quartiere Sabra, a Gaza City. Il tunnel, lungo 800 metri e scavato a una profondità di 18 metri, era situato vicino al corridoio Netzarim, che attraversa orizzontalmente la Striscia di Gaza, dove si trovavano truppe israeliane. Questa informazione è stata fornita dal portavoce militare. Sempre nella notte tra domenica e lunedì, gli uomini dell’unità 869 dell’Idf hanno identificato una cellula terroristica che operava in una struttura militare di Hezbollah nella Regione di Yaroun, nel Sud del Libano, che è stata distrutta dai caccia da combattimento israeliani. Inoltre, un aereo dell’Aeronautica militare ha attaccato una cellula terroristica dell’organizzazione, che è stata identificata dalla Brigata Sayeret Golani, operante nella Regione di Hula. Contemporaneamente, caccia da combattimento e aerei dell’Aeronautica militare hanno attaccato altri obiettivi di Hezbollah nel Sud del Libano e tra gli obiettivi attaccati, ci sono un deposito di armi e una struttura militare di Hezbollah nella zona di Mays al-Jabal, insieme a infrastrutture terroristiche nella zona di al-Khiam e altri edifici militari nella zona di Hula. Infine, le Forze di difesa israeliane hanno confermato «che c’è stata una sparatoria con l’esercito egiziano al valico di Rafah», che ha causato la morte di almeno un soldato egiziano. Secondo il Times of Israel, l’Idf ha spiegato che «c’è stata una sparatoria al confine egiziano, l’incidente è sotto indagine ed è in corso un dialogo con la parte egiziana». Fonti dell’Idf, citate da Ynet, hanno fatto anche sapere che «sono stati i soldati egiziani a iniziare a sparare contro una forza dell’Idf che passava attraverso l’area del valico di Rafah, provocando lo scontro a fuoco». Si tratta di un incidente pericolosissimo che potrebbe infiammare gli animi dei soldati egiziani in un’area come quella di Rafah dove la tensione è da mesi alle stelle.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/raid-rafah-agita-gerusalemme-2668386574.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="crosetto-cosi-israele-semina-odio" data-post-id="2668386574" data-published-at="1716854718" data-use-pagination="False"> Crosetto: «Così Israele semina odio» Su Rafah la maggior parte dei Paesi sembra d’accordo: Israele doveva fermarsi. Da qui parte il ragionamento del ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, che pur confermando il sostegno a Israele decide di esternare un pensiero comune a molti alleati. «Siamo convinti che Israele dovesse risolvere il problema con Hamas, ma fin dal primo giorno abbiamo detto che questa cosa andava affrontata in modo diverso. Tutti gli Stati sono concordi che su Rafah Israele doveva fermarsi. Non siamo stati ascoltati e ora guardiamo con disperazione la situazione». Crosetto dice di avere l’impressione che Israele in questo modo «stia seminando un odio tra la popolazione palestinese che coinvolgerà figli e nipoti»: «Hamas è un conto, il popolo palestinese è un altro. Dovevano discernere tra le due cose e fare una scelta più coraggiosa dal punto di vista democratico». Le sue riflessioni, ha confermato poi il ministro, erano già state condivise con il suo omologo israeliano. Non si tratta di una condanna di Israele quindi, come sottolinea Crosetto, ma anzi del «primo dovere di qualsiasi collega di un Paese amico come sono io ed è l’Italia verso Israele». Una linea confermata anche dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani: «Bisogna scongiurare l’escalation. Basta guerra. Ora è il momento del dialogo». Poi ha aggiunto: «Siamo contro l’attacco a Rafah e siamo per un cessate il fuoco immediato e ovviamente siamo per la liberazione degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, come siamo contro gli attacchi di missili di Hamas contro Israele». Una posizione quindi che non vuole tradursi in una rottura con Gerusalemme, ma in un chiarimento, per assumere un atteggiamento più dialogante tra le parti. Ed è in questo quadro che rientra anche la visita di sabato scorso del premier palestinese, Mohammed Mustafa, a Roma. Va evidenziato che nella sua trasferta estera, quello con Meloni è stato l’unico incontro con un leader europeo. Elemento che porrebbe l’Italia come possibile intermediario per una tregua tra i due Stati. Strategia chiarita dallo stesso premier in un’intervista su Radio 1, quando ha spiegato che «l’Italia ha già dimostrato di poter fare da capofila su molte politiche e fare da apripista su molti dossier». Meloni si riferiva all’Europa, certo, ma questo non esclude che la stessa strategia si possa applicare anche al di fuori dei confini europei. Soprattutto quando bisognerà pensare al dopo guerra a Gaza, l’Italia potrebbe essere presente sul territorio dopo essersi posta come attore super partes. La condanna dell’operazione a Rafah d’altronde è arrivata da più parti. Gli stessi Stati Uniti più volte hanno avvertito il governo Netanyahu di non andare avanti con il piano. Esiste anche una sentenza della corte internazionale di Giustizia che dice a Israele di fermare immediatamente l’offensiva. Proprio ieri il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha detto: «Esorto a rispettare il diritto internazionale umanitario. Ricordo al governo israeliano che l’accordo di associazione Ue-Israele deve continuare a basarsi sul rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale, in linea con i nostri valori». Mentre l’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, si è detto «inorridito per gli attacchi israeliani». E Madrid è arrivata a richiamare l’ambasciatrice spagnola in Israele, Ana María Salomon, dopo «l’atroce crimine di guerra» commessi con i raid a Rafah. Le frizioni esterne si ripercuotono inevitabilmente anche all’interno di Israele. Il premier, Benjamin Netanyahu, non gode di consenso e anzi, sono in molti a volerlo fuori dall’esecutivo. Ieri l’ennesimo attacco del leader di opposizione, Yair Lapid, che alla Knesset ha detto: «Perché sei ancora primo ministro? Perché non sali su questo podio, chiedi perdono al popolo d’Israele e non vai a casa? Non hai adempiuto al tuo ruolo, hai fallito e fallito. Un primo ministro illegittimo e questo governo», ha aggiunto, «è illegittimo».