2023-04-03
La Rai sbugiarda gli amici di Battisti
La docufiction di Conversano racconta la storia del terrorista dei Pac e squarcia il velo sul tifo degli intellettuali francesi e nostrani che per anni lo hanno difeso e aiutato.La vicenda ha dell’incredibile, in effetti, ma suscita un certo entusiasmo, poiché dimostra che una televisione diversa è possibile. Sabato, in prima serata su Rai3, è andata in onda Caccia all’uomo. Cesare Battisti, una vita in fuga, una docufiction diretta da Graziano Conversano e coprodotta da Rai fiction e Indigo stories. L’operazione non era delle più semplici, e gli ingredienti per ricavarne un fallimento clamoroso c’erano tutti. E invece, evento più unico che raro, la Rai ci ha fornito un bel momento di televisione. E, soprattutto, ha regalato agli spettatori un’opera con un profumo nuovo, un racconto dei fatti onesto e per niente timoroso, capace di andare a fondo ad alcune delle questioni politiche e sociali più complesse della storia italiana. L’autore del docufilm ha compiuto un gesto semplice eppure rivoluzionario: ha chiamato le cose con il loro nome. Ad esempio ha ricostruito con dovizia di particolari il percorso umano e politico di Battisti. Il quale iniziò la nefasta carriera come criminale comune, ma sempre con una impostazione di sinistra, dovuta alla fede comunista dei genitori e alla sua frequentazione degli ambienti del Pci prima e dei gruppi extraparlamentari poi. Comunista, dunque, e non genericamente terrorista, come talvolta si usa per evitare di aprire il famigerato album di famiglia. Giova ricordare che, giusto qualche mese fa, sulla tv pubblica è andato in onda una documentario su Lotta continua quasi celebrativo, in cui la gran parte degli intervistati (praticamente tutti ex militanti) mostrava lo stesso atteggiamento esibito in passato: una presunzione di superiorità morale e intellettuale insopportabile. Nel lavoro di Conversano, invece, non c’è nemmeno l’ombra del giustificazionismo. E, allo stesso tempo, il film non cede alla tentazione -eguale e contraria - della mostrificazione acritica. Le motivazioni politiche dei Proletari armati per il comunismo, a cui Battisti si unì in carcere, sono illustrate senza eufemismi. Non ci sono pelosi tentativi di autodifesa neppure nella testimonianza di Arrigo Cavallina, fondatore dei Pac, 12 anni dietro le sbarre per banda armata e concorso nell’omicidio del maresciallo Antonio Santoro (agente di custodia, fu accusato dalla sinistra radicale di essere una specie di torturatore, Lotta continua condusse una furente campagna contro di lui e alla fine fu proprio Battisti a compiere l’esecuzione). Sono delicate e toccanti anche le testimonianze dei famigliari delle vittime di Battisti, nonostante il dolore e il senso opprimente di ingiustizia che Alberto Torregiani (figlio di Pierluigi, il gioielliere ucciso in un agguato dei Pac perché si era difeso durante una rapina) e Maurizio Campagna (fratello di Andrea, agente della Digos ammazzato da Battisti con cinque colpi alla schiena mentre si trovava sotto casa della sua ragazza) hanno patito per anni. I famigliari sono stati coinvolti nella realizzazione del documentario, ed è un bel passo avanti. Così come è quasi del tutto inedito il modo con cui viene raccontato l’operato della polizia italiana - una volta tanto mostrata nella sua piena efficienza - che ha avuto il merito di catturare il latitante Battisti in Bolivia, nel 2019, in una situazione non particolarmente agevole. L’aspetto più sorprendente di tutto il film, in ogni caso, sta nel modo in cui descrive il milieu intellettuale che ha circondato e sostenuto Battisti per anni, a partire dalla giallista francese Fred Vargas, con cui il latitante ebbe una relazione. Emerge con chiarezza la spudoratezza con cui il terrorista si è imbarcato nella carriera di romanziere e i benefici che ne ha tratto quando era in Francia e si presentava come rivoluzionario vittima di uno Stato crudele. Furono in tanti, in quegli anni, gli intellettuali gauchisti pronti a tifare per l’assassino, a trattarlo come un perseguitato politico solo perché ubriacati dalla propria arroganza. Vero, il film non insiste troppo sugli impegnati italiani sponsor di Battisti, attivisti da salotto che anni fa furono mirabilmente svergognati da Giuseppe Cruciani in un libro. Da Massimo Carlotto a Roberto Saviano (che poi ritirò rocambolescamente l’appoggio) furono in molti a firmare petizioni e sostenere campagne a favore del criminale travestito da eroe romantico. Ma pure se il regista non snocciola nomi, con qualche pennellata demolisce le congreghe ipocrite dei maestrini progressisti che, ancora oggi, purtroppo dominano la scena. Vero: opere come questa - cioè prive di eccessi ideologici ma determinate - dovrebbe costituire la norma. Ma sappiamo quale sia la situazione italiana, e ci tocca salutare il più minuto lampo di onestà intellettuale come una commovente rarità.