
A breve sarà assegnato l'appalto da 40 milioni di Rai Way per la nuova rete di collegamento tra sedi. In lizza tre operatori, tra cui Fastweb in partnership con il colosso cinese. Che può partecipare perché l'obbligo di rispettare le tutele sociali vale solo al 50%.Al massimo due mesi e la Rai tramite la sua controllata Rai Way avvierà il cantiere per munirsi di una rete in fibra ottica nuova di zecca. La gara d'appalto da 40 milioni di euro avviata nel 2019 è infatti nella sua fase finale e prevede che la televisione pubblica si doti di una rete che si muove sul percorso di fibra in parallelo con l'infrastruttura elettrica (Iru) e utilizzi apparati in grado di sfruttare le lunghezze d'onda e non le tradizionali frequenze elettromagnetiche. Al di là degli aspetti tecnici, l'azienda guidata da Fabrizio Salini avrà a disposizione una rete all'avanguardia per far transitare da una sede all'altra tutto il materiale audio e video, il girato grezzo e tutti i documenti necessari ai giornalisti e alla struttura per stare in onda nell'arco delle 24 ore. Lo scorso ottobre sono stati selezionati per lo sprint finale tre operatori. Tim, Rti Irideos con Terna energy solutions e Fastweb con tecnologia, fibra ed apparati targati Huawei. La lista dei documenti inviati dal terzo operatore è un po' più lunga. Il colosso cinese ha aggiunto una serie di certificazioni tecniche, ma ciò che balza all'occhio è un cavillo che di tecnologico ha poco. Il calcolo del punteggio è composto da 20 unità per la componente economica e 80 per quella del capitolato tecnico. Il requisito numero 10 prevede l'indicazione dello Stato in cui gli apparati sono prodotti. Chi partecipa alla gara deve indicare se la tecnologia proviene da nazioni che riconoscono tutele di sicurezza sociale o previdenziale analoghe a quelle applicate in Italia o in Europa o in Stati che hanno stipulato accordi bilaterali in tale materia con Roma. Se la produzione avviene in più Stati, l'offerente potrà indicare in quale nazione avviene almeno il 50% della produzione. Da un lato la clausola ha un valore positivo perché impone che almeno un 50% della tecnologia debba essere assemblato in Europa e di conseguenza esclude player al di fuori dal nostro perimetro. Il fatto che per produzione si intenda anche l'assemblaggio dei pezzi si può leggere in altro modo, soprattutto collegandolo agli obblighi di natura previdenziale. Quello del 50% è un cavillo che quindi consente ad aziende cinesi come Huawei di partecipare alle gare stesse. Se Rai Way non avesse messo una soglia, ma si fosse limitata a indicare in toto l'obbligo di rispetto di criteri previdenziali o di welfare allineati a quelli italiani, nessuno marchio cinese avrebbe superato il primo step della gara. Si tratta alla fine di un criterio etico, ma non solo. Se tutta la filiera, infatti, è obbligata a rispettare norme sul modello occidentale e quindi avere un costo del lavoro nel suo complesso più alto si può anche immaginare che alcuni produttori alla fine si ritroveranno svantaggiati.E in questo caso, i temi del golden power non c'entrano nulla. Infatti una tale gara non passa certo dal comitato che agisce a Palazzo Chigi.Diversa invece la questione della cybersecurity. Il centro Cvcn è stato creato dal Mise al tempo di Luigi Di Maio e ha il compito di verificare le condizioni di sicurezza e l'assenza di vulnerabilità di prodotti, apparati e sistemi utilizzati nelle infrastrutture e nelle reti di interesse nazionale. Le informazioni e le comunicazioni della Rai rientrano tranquillamente nel perimetro di competenza del centro. Non ci risulta che il Cvcn si sia mosso, d'altronde le verifiche possono essere retroattive e inoltre va detto che il centro è chiamato a vagliare un incredibile numero di situazioni e contratti che in futuro potrebbe rischiare l'ingolfamento. Certo è un tema da non sottovalutare. Huawei dal canto suo ha avviato un percorso comunicativo per andare oltre alla battaglia del 5G. Il claim adesso è trasparenza. Martedì inaugurerà (virtualmente a Roma) il centro di trasparenza sulla cybersecurity sul modello di quello aperto tempo fa a Bruxelles. L'obiettivo è «condividere apertamente la nostra strategia di sicurezza informatica e le nostre soluzioni di sicurezza per 5G, Iot, cloud e altre tecnologie», si legge nella nota di invito. «Un luogo in cui i nostri esperti possono spiegare, in una maniera ugualmente comprensibile a esperti e non esperti, gli aspetti tecnici alla base dei nostri prodotti e soluzioni». Nel centro Huawei si occuperà di tematiche più ampie che vanno ben oltre l'appalto di Rai Way. Vedremo se il passaggio successivo sarà un nuovo modello di dialogo con il comitato del golden power e magari la condivisione dei codici sorgenti. E soprattutto il luogo della condivisione. O meglio l'ambiente in cui aprire i codici sorgenti. Il 2021 offrirà sicuramente interessanti sviluppi nei rapporti geopolitici tra Italia e Cina dentro l'influenza europea e dentro quella americana. L'arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca ha cambiato solo le sfumature dello scontro tra Washington e Pechino. Le frizioni e le rappresaglie restano sul tavolo. Ieri per esempio Pechino ha vietato ai suoi militari di utilizzare le Tesla per evitare che la tecnologia di Elon Musk spii chi sta al volante e guida verso basi militari.
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