2021-12-15
Rai in crisi: per 8 milioni rischia di perdere i diritti di due Olimpiadi
Offerti 72 milioni di euro contro gli 80 pretesi da Discovery per l’esclusiva dei Giochi invernali di Pechino a febbraio e di quelli parigini (2024). La tv di Stato targata Draghi-Fuortes affonda nei debiti. E nella tirchieria.Quando i diritti diventano rovesci. Non capita solo a Matteo Berrettini fuori forma ma anche alla Rai, sempre più spesso. La tv di Stato rischia di perdere l’esclusiva dei Giochi olimpici invernali di Pechino (fra meno di due mesi) e soprattutto di quelli estivi del 2024 a Parigi. Appuntamento lontano, frapposto da un certo numero di stati d’emergenza che lo rendono un obiettivo lunare per l’italiano medio alle prese con un altro inverno di dittatura sanitaria. Ma il problema esiste e nella redazione sportiva di Saxa Rubra si vivono giorni di incertezza.Per le Olimpiadi cinesi l’offerta Rai è di 72 milioni di euro mentre la richiesta di Discovery (broadcasting titolare del doppio evento per l’Europa) non si schioda da 80 milioni. Domani il consiglio d’amministrazione sarà costretto a formulare una nuova proposta, passando a 75 milioni nella speranza che gli americani si mettano una mano sul cuore e non decidano di uscire dalla trattativa per trasmettere in autonomia sul loro Canale 9 tutte le gare in chiaro, peraltro piangendo per il prevedibile flop economico. Otto milioni sembrano una differenza minima e già si comincia a parlare di «micragna» della gestione dell’ad Carlo Fuortes, soprannominato nei corridoi «il fantasma dell’opera» perché arriva dal teatro e poco conosce della complicata macchina televisiva.Relativamente all’asta i problemi sono due. Il primo deriva dal consueto bagno di sangue al quale va incontro chi paga i diritti per giochi invernali con fuso orario sfavorevole come quello cinese; gli investitori pubblicitari sono restii a gettare denaro sul tavolo per il curling e lo short track. Potrebbero cambiare idea davanti a una Valanga rosa scatenata (Sofia Goggia, Federica Brignone, Elena Curtoni, Marta Bassino sono quasi imbattibili) ma va riconosciuto che da Nagano in poi l’Asia della neve è sempre stata avara di ricavi da investimento. Mondiali e coppe di calcio viaggiano su un altro pianeta. Il secondo problema è l’obbligo della trasmissione in chiaro di un evento che per Agcom rientra fra quelli «di particolare rilevanza per la società», con la necessità di far sì che almeno l’80% degli italiani possa seguirlo su un palinsesto gratuito. Mettendo insieme queste curve da slalom, il cda ritiene di avere già offerto il massimo.La faccenda si complica perché i diritti dei giochi invernali che partono l’8 febbraio vengono proposti da Discovery in un unico pacchetto con quelli delle Olimpiadi di Parigi 2024, per le quali l’interesse è ovviamente più alto e riguarda altri network concorrenti, pronti a inserirsi nella trattativa e a fare il colpo. Qui la paura di uno scivolone diventa palpabile, anche perché non sarebbe il primo. Nel 2017 l’allora direttore generale Mario Orfeo dovette sudare sette camicie per ottenere i diritti tv dei giochi invernali in Corea ed estivi a Tokyo. Ma passò alla storia per avere perso quelli dei mondiali di calcio in Russia; nonostante l’assenza della Nazionale azzurra furono un successo televisivo e fecero guadagnare 100 milioni in tre settimane ai concorrenti di Mediaset. Anche il suo successore Fabrizio Salini incappò in un infortunio sportivo: per risparmiare 23 milioni (più i 42 delle dirette Tv) rinunciò ai diritti digitali delle Olimpiadi di Gimbo Tamberi, Marcell Jacobs e dei dieci ori azzurri. Risultato: proteste degli sportivi e pomodori in faccia.«Cosa sono 8 milioni?», si chiedono inviati e tecnici già con gli accrediti in tasca per Pechino e con mille storie da raccontare, non solo sportive. Il boicottaggio dei Giochi da parte dei dirigenti degli Stati Uniti (andranno solo tecnici e atleti, quelli che servono) ha innescato un’escalation politica giornalisticamente interessante. Dunque cosa rappresenta una resistenza attorno a 8 milioni? Rappresenta un cambio di strategia economica, potrebbe rispondere Fuortes che ha da poco inaugurato la stagione dell’austerità per ridimensionare la voragine dei conti aziendali. La Rai è in profondo rosso non solo per il colore politico del 90% dei suoi giornalisti; la posizione finanziaria netta è negativa per 523 milioni, il costo del personale raggiunge il folle dato di 900 milioni (il doppio di ciò che spende Mediaset). E gli 800 milioni di risparmio degli ultimi dieci anni non hanno dato alcun risultato apprezzabile. Le pretese dei partiti sulle nomine - qui storicamente domina il Pd - continuano a gonfiare i conti della pagina sbagliata, quella dei passivi. Fuortes sperava di fare cassa attingendo al fondo per l’editoria o tassando i video su computer e smartphone, ma è stato rimbalzato dal governo.Lo scenario è questo. «Otto milioni oggi più 8 domani e il tracollo è servito», sussurra un vecchio frequentatore della Commissione di vigilanza, che sui conti vigila con un occhio chiuso. Nel 2020, anno di risparmi forzati dal Covid, a fronte di ricavi per 2,36 miliardi grazie al canone in bolletta, la perdita è stata di 20 milioni. Così il cda ha deciso di tirare la corda e di rischiare un’altra figuraccia. «Discovery deve rientrare dall’investimento fatto nel 2015? Problemi suoi, non possiamo coprire i loro debiti aumentando i nostri», è l’amara filosofia che trapela dal settimo piano di viale Mazzini. Ma la paura di una caduta a pelle di leone sulla neve potrebbe fare il miracolo.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)