2022-09-21
Sinistra e stampa vogliono i guinzagli stranieri
Nicolas Sarkozy, Angela Merkel e Silvio Berlusconi (Ansa)
La sinistra gongola per gli attacchi preventivi dalla Germania nei confronti di un ipotetico esecutivo meloniano. Dai sorrisi di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, sempre la stessa storia: «democratici» e stampa genuflessi agli stranieri.Che cosa accadrebbe domani se un autorevole esponente del partito di governo in Italia dicesse che la vittoria di Olaf Scholz, leader della Spd, è un pericolo per la democrazia e una fonte di preoccupazione per la stabilità dell’Europa? Ho provato a chiedermelo e mi sono dato una risposta. Qualora l’allarme dell’autorevole esponente venisse preso sul serio, probabilmente riceverebbe (una risposta secca da parte del presidente della Repubblica federale, mentre se l’appello fosse considerato la nota stonata di un singolo, credo che otterrebbe in cambio una pernacchia. Né l’una né l’altra cosa sono invece accadute quando Lars Klingbell, presidente della Spd, cioè del partito che governa la Germania, ha preso la parola al fianco di Enrico Letta per esprimere la sua inquietudine di fronte all’ipotesi di una vittoria del centrodestra alle prossime elezioni di domenica. «Meloni porterebbe l’Italia su una strada sbagliata», ha detto il presidente dei socialdemocratici tedeschi, criticando la leader di Fratelli d’Italia per essersi schierata al fianco di figure «antidemocratiche» come il premier ungherese Viktor Orbán. Invece di invitare l’ospite a misurare le parole, e soprattutto a non interferire con il voto nel nostro Paese, il segretario del Pd ha gongolato felice per il discorsetto anti italiano del collega tedesco, lieto di incassare il sostegno della Spd e, di conseguenza, del governo tedesco. Anzi, Letta ne ha approfittato per ribadire il concetto, definendo «gravissima la scelta di Meloni e Salvini di aiutare e salvare Viktor Orbán». Ovviamente, ai giornaloni non è parso vero di poter suonare la grancassa contro il centrodestra. E infatti ieri i più importanti quotidiani italiani parevano in festa, lieti di poter gettare nella mischia della campagna elettorale le paure europee, azzannando Meloni e alleati con l’accusa di essere i nipotini di Mussolini. «Caso Berlino sulle elezioni» era la sobria apertura del Corriere della Sera, dove però non si criticavano le dichiarazioni del presidente della Spd, ma si dava conto del «no» ai postfascisti espresso dai socialdemocratici tedeschi. Titolo quasi fotocopia su Repubblica: «Berlino: no ai postfascisti», con l’aggiunta però di un catenaccio nero: «La paura di Wall Street: con la destra debito e spread alle stelle». Anche il giornale gemello di quello di Largo Fochetti, ossia La Stampa, stessa proprietà, la famiglia Agnelli-Elkann, non ha voluto negare ai lettori un calcio negli stinchi al duplex Meloni-Salvini: «Debito e tasse, la destra agita i mercati». Già, proprio così. Non è il governo tedesco che, tramite un suo esponente politico, agita i mercati, proprio come accadde nel 2011, quando Merkel e Sarkozy con le loro risatine e l’azione di alcuni grandi banche internazionali fecero fuori un governo liberamente eletto. No, a sconvolgere un tranquillo tran-tran verso la recessione dell’intera area euro sono, come scrive il giornale sabaudo, «i programmi dei patrioti», che impensieriscono fondi d’investimento e banche d’affari, per i quali «Roma rischia di deragliare». Ma di che cosa sono preoccupati i politici socialdemocratici, i mercati e i giornali? A spiegarlo è Repubblica, che in un commento chiarisce che «non si tratta di evocare il pericolo di un ritorno alla dittatura come l’hanno conosciuta i nostri padri e i nostri nonni. Ma di una postura, di un atteggiamento. E forse banalmente di un’educazione». Ecco, ora tutto è chiaro: Meloni e i suoi alleati sono maleducati, non hanno imparato il bon ton richiesto nei consessi internazionali, non si chinano a baciare la pantofola come auspicano i giornaloni che lanciano l’allarme democratico. Sì, in un Paese normale, con una sinistra che sia orgogliosamente italiana e non se ne vergogni, con una stampa che sia così scioccamente provinciale tanto da genuflettersi a qualsiasi osservazione che venga dall’estero, le critiche che piovono sugli esponenti di centrodestra verrebbero rispedite immediatamente al mittente, con una presa di posizione secca o, come dicevo, una pernacchia. Al contrario, da noi non solo tutto tace, ma si enfatizzano le scomuniche, titolando a tutta pagina e rilanciando le accuse nel dibattito politico. Tace il presidente della Repubblica di solito assai loquace, forse perché impegnato con i funerali della regina Elisabetta. Parla la grande stampa, che di grande ormai conserva solo la presunzione. E a proposito di informazione (si fa per dire), ieri mi è pure capitato di ascoltare un’intervista andata in onda sul servizio pubblico a Bernard-Henri Levy, in cui il filosofo francese attaccava pesantemente Giorgia Meloni, sollecitato dalle untuose domande di Marco Damilano, ex direttore premiato dalla Rai dopo il disastro dell’Espresso con una ben remunerata collaborazione. Il che mi ha riportato alla memoria quando, nel 2001, la tv di Stato e i giornali si mobilitarono contro l’attesa vittoria della Casa delle libertà. Comici, attori, grandi giornali: tutti contro Silvio Berlusconi e i suoi alleati. Ovviamente, il 13 maggio di 21 anni fa non fu instaurato un regime fascista, come qualcuno temeva, ma un normale governo. Tuttavia, fu chiara una cosa, ovvero che un gruppo di potere, composto da politici e giornalisti, e spalleggiato anche dall’estero, fino all’ultimo e anche dopo provò a sabotare la democrazia. Sì, questo è il solo fatto certo. Quanto al resto, cioè agli appelli di chi lamenta le interferenze internazionali (in passato ce l’avevano con la Cia, ora con Putin, ma gli unici che approfittano dell’aiutino estero sono loro), meritano solo la mia pernacchia.