2023-10-19
Il Qatar «compra» le università Usa e nei campus dilaga l’odio anti Israele
Da Harvard a Stanford, nei templi accademici statunitensi si moltiplicano manifestazioni dai toni violenti. I finanziamenti degli emiri cominciano a fare effetto, mentre imprenditori liberali ed ebrei tagliano i fondi.Tutto è partito da Harvard, la più antica università degli Stati Uniti e la più influente in America, che ha sfornato premi Nobel, otto presidenti, quattro degli attuali nove giudici della Corte Suprema e pesi massimi come Franklin Delano Roosevelt, John Fitzgerald Kennedy, Barak Obama, Bill Gates e Mark Zuckerberg. È qui che il 10 ottobre, tre giorni dopo l’attacco di Hamas, 34 organizzazioni studentesche hanno pubblicato una lettera in cui Israele è stato definito «interamente responsabile di tutte le violenze in corso». Alla lettera ha fatto seguito la manifestazione «Kill the Jews», con slogan inneggianti ad Hamas. Il rettore dell’ateneo, Claudine Gay, ha fermamente condannato Hamas senza fare alcun riferimento alle manifestazioni antisemite. Poi è stato il turno di Stanford, università californiana, dove la Sjp (Stanford Students for Justice in Palestine) ha pubblicato, con l’autorizzazione delle autorità universitarie, un documento in cui gli attacchi sono stati definiti «legali» e «legittima resistenza». Le reazioni dei giovani universitari non stupiscono più di tanto, considerando le parole incendiarie che pronunciano i loro docenti: giovedì scorso un professore ha diviso i suoi studenti in due gruppi, ebrei e non ebrei. Quindi, ha detto agli studenti ebrei di raccogliere le proprie cose e mettersi in un angolo, spiegando loro: «Questo è ciò che Israele fa ai palestinesi». Non è casuale che poi gli studenti di Stanford abbiano appeso le loro lenzuola fuori dai dormitori con scritte antisemite a caratteri rosso sangue. Alla New York University gli studenti hanno strappato i manifesti con i volti delle donne e dei bambini prelevati in ostaggio dai terroristi di Hamas, mentre alla Columbia University (New York) uno studente ebraico del campus è stato preso a bastonate. Il giorno dopo, il gruppo studentesco filo-palestinese dell’ateneo ha rilasciato una dichiarazione definendo l’attacco di Hamas «momento storico per i palestinesi di Gaza», per poi riunirsi fuori dalla statua dell’Alma Mater per celebrare l’attacco. Anche in questo caso, le proteste facevano eco alle dichiarazioni di Joseph Massad, il loro professore che aveva definito l’azione dei combattenti palestinesi di Gaza «straordinaria». Spesso dietro ai ragazzi ci sono proprio gli insegnanti: la docente di Yale Zareena Grewal ha dichiarato che «i coloni non sono civili», per poi aggiungere di non provare compassione per Noa Argamani (la ragazza portata via in moto dai guerriglieri di Hamas mentre partecipava al rave) dato che «aveva prestato servizio nell’esercito israeliano». Il suo collega Russell Rickford, docente alla Cornell University, è intervenuto alle manifestazioni pro Palestina definendo gli attacchi «exhilarating» e «energizing». Alla Drexel University di Filadelfia, la stanza di una studentessa ebrea è stata incendiata. Sempre giovedì, gli studenti della Mason University in Virginia hanno sventolato bandiere palestinesi cantando «gloria ai combattenti della resistenza», mentre a Ucla (Università della California di Los Angeles) centinaia di alunni del campus si sono riuniti per cantare: «Intifada, intifada», evocando la rivolta violenta contro Israele.Il sostegno al terrorismo dilaga a macchia d’olio negli atenei statunitensi da prima che Israele annunciasse la sua intenzione di attaccare Gaza. Fingiamo stupore? No. Sono ormai decenni che le università americane coccolano i «compagni che sbagliano» e non è successo da un giorno all’altro. La soluzione non è la censura. «Occorre però porsi alcune domande», osserva Daniel Horowitz, commentatore politico sui principali canali tv Usa, rilevando che, su un milione di studenti stranieri ammessi ai campus statunitensi ogni anno, almeno 100.000 arrivano da Paesi prevalentemente musulmani. Le università Usa dipendono anche economicamente dal mondo islamico: tra il 1986 e il 2018, i Paesi mediorientali hanno donato più di 6,6 miliardi di dollari. Il Qatar è il più grande finanziatore attraverso la Qatar Foundation, che ha stretti legami con i Fratelli Musulmani. «I nostri college stanno importando i loro valori anziché esportare i nostri», sostiene Horowitz. Ora gli atenei dovranno affrontare il crollo dei finanziamenti dei filantropi americani. Le scuole della Ivy League -a cominciare da Harvard e UPenn, l’università della Pennsylvania dove gli studenti hanno sfilato urlando «We want Jewish genocide» - sono state duramente criticate. Lawrence H. Summers, segretario al Tesoro con Bill Clinton, capo degli economisti di Barack Obama ed ex rettore di Harvard, si è dichiarato «deluso e avvilito». L’ex proprietario di Victoria’s Secret Leslie Wexner ha annullato tutte le sue donazioni ad Harvard, sostenendo che l’università è stata «troppo delicata» contro Hamas e anche il figlio dell’uomo più ricco d’Israele, Idan Ofer, ha lasciato il comitato esecutivo dell’ateneo. Bill Ackman, miliardario degli hedge fund, ha chiesto l’elenco dei firmatari della lettera degli studenti di Harvard, «così che nessuno di noi ne assuma inavvertitamente uno». Il miliardario di private equity Marc Rowan ha revocato la sua donazione di 50 milioni di dollari alla UPenn - seguito a ruota dall’ex ambasciatore Jon Huntsman e dall’imprenditore David Magerman - invitando gli altri finanziatori a fare altrettanto. L’imprenditore Ken Griffin, che quest’anno aveva promesso 300 milioni di dollari ad Harvard, ha minacciato di sospendere i finanziamenti. Al momento, gli atenei hanno già perso circa 487 milioni di dollari a causa delle loro posizioni blande contro il terrore. La cambiale della cultura woke sembra essere scaduta.