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Putin preferisce Trump a Biden? Falso, i fatti dimostrano il contrario

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Putin preferisce Trump a Biden? Falso, i fatti dimostrano il contrario
Vladimir Putin e Donald Trump in uno scatto del 28 giugno 2019 durante il G20 a Osaka (Ansa)

Una vulgata stantia continua a ripetere che Donald Trump sarebbe un filorusso, pronto a cedere l’Ucraina a Vladimir Putin. Peccato però che tale narrazione sia stata smentita dallo stesso leader del Cremlino, nel corso di un’intervista rilasciata mercoledì. Il giornalista, Pavel Zarubin, ha chiesto allo zar quale candidato presidenziale americano, tra Joe Biden e lo stesso Trump, «sarebbe meglio» per la Russia. «Biden», ha replicato Putin. «È una persona più esperta, prevedibile, un politico della vecchia scuola», ha proseguito, per poi aggiungere: «Ma lavoreremo con qualsiasi presidente degli Stati Uniti in cui il popolo americano ha fiducia». Lo zar ha infine negato di aver notato problemi di salute in Biden, quando lo incontrò nel 2021. «Il presidente russo Putin mi ha appena fatto un grande complimento, in realtà», ha commentato Trump mercoledì stesso, durante un comizio in South Carolina. «Ho fermato il Nord Stream 2 e [Biden] l'ha approvato subito dopo che me ne sono andato, quindi Putin non è un mio fan in realtà», ha aggiunto l’ex presidente.

Sicuramente qualcuno ricorrerà alla dietrologia e dirà che, in realtà, lo zar avrebbe pronunciato quelle parole per mettere in difficoltà Biden. Tuttavia, a ben vedere, non è la prima volta che il leader russo dà un assist all’attuale presidente americano. A ottobre 2020, Putin smentì Trump, quando quest’ultimo, a pochi giorni dalle elezioni presidenziali di allora, accusò il figlio di Biden, Hunter, di aver ricevuto oltre tre milioni di dollari dalla moglie dell’ex sindaco di Mosca, la miliardaria Elena Baturina. Lo zar, irritato, disse di non avere informazioni di attività criminali da parte di Hunter in Russia o in Ucraina. Parole un po’ strane per uno che, secondo qualcuno, stava cercando di aiutare Trump a essere rieletto.

D’altronde, non è che Biden, da presidente, sia stato granché duro con Mosca. A maggio 2021, revocò le sanzioni al gasdotto Nord Stream 2: una mossa che favorì indirettamente l’invasione russa dell’Ucraina. Inoltre, appena pochi mesi dopo essersi insediato, l’attuale presidente americano ha avviato dei tentativi per ripristinare il controverso accordo sul nucleare con l’Iran: un accordo che, siglato nel 2015, è sempre stato fortemente sostenuto da Putin. Per non parlare di quando, a febbraio 2022, Biden ritirò i diplomatici statunitensi da Kiev, azzoppando così ulteriormente la capacità di deterrenza americana nei confronti di Mosca. Di contro, era stato Trump a imporre le sanzioni al Nord Stream 2 nel 2019, mentre l’anno prima era stato sempre Trump a far uscire gli Stati Uniti dall’intesa sul nucleare con Teheran. Fu inoltre nello stesso 2018 che l’allora presidente repubblicano chiuse il consolato russo di Seattle. Va poi ricordato che il rapporto del procuratore speciale Robert Mueller sul cosiddetto Russiagate non ha rinvenuto prove di alcuno sforzo coordinato tra il Cremlino e il team elettorale di Trump nel 2016.

Infine attenzione: secondo un report investigativo dei senatori repubblicani, Hunter avrebbe preso veramente 3,5 milioni di dollari dalla Baturina. Quella stessa Baturina che, almeno fino allo scorso agosto, non era stranamente ancora finita nella lista delle sanzioni americane contro gli oligarchi russi e che, nel 2014, partecipò a una cena a Washington a cui presero parte Hunter e il padre, che all’epoca era vicepresidente in carica degli Stati Uniti. Nello stesso anno, una società collegata al figlio dell’attuale presidente ricevette denaro anche da Kenes Rakishev: oligarca kazako che, secondo la testata francese Le Media, è stato in passato assai vicino al leader ceceno (nonché stretto alleato di Putin) Ramzan Kadyrov. Insomma, che Mosca si auguri una vittoria di Trump a novembre è tutto da dimostrare.

«Il cemento è la mia tela: ne ricavo gioielli»
Maria Chiara Monacelli
Maria Chiara Monacelli, fondatrice dell’azienda umbra Sensorial è riuscita a convertire un materiale tecnico in un veicolo emozionale per il design: «Il progetto intreccia neuroscienze, artigianato e luce. Vogliamo essere una nuova piattaforma creativa anche nell’arredamento».

In Umbria, terra di saperi antichi e materie autentiche, Maria Chiara Monacelli ha dato vita a una realtà capace di trasformare uno dei materiali più umili e tecnici - il cemento - in un linguaggio sensoriale e poetico. Con il suo progetto Sensorial, Monacelli ridefinisce i confini del design artigianale italiano, esplorando il cemento come materia viva, capace di catturare la luce, restituire emozioni tattili e raccontare nuove forme di bellezza. La sua azienda, nata da una visione che unisce ricerca materica, manualità e innovazione, eleva l’artigianato a esperienza, portando il cemento oltre la funzione strutturale e trasformandolo in superficie, texture e gioiello. Un percorso che testimonia quanto la creatività, quando radicata nel territorio e nel saper fare italiano, possa dare nuova vita anche alle materie più inattese.
«Oggi c’è la dittatura del sapore che va a completare quella del sapere»
Diego Fusaro (Imagoeconomica)
Il filosofo Diego Fusaro: «Il cibo nutre la pancia ma anche la testa. È in atto una vera e propria guerra contro la nostra identità culinaria».

La filosofia si nutre di pasta e fagioli, meglio se con le cotiche. La filosofia apprezza molto l’ossobuco alla milanese con il ris giald, il riso allo zafferano giallo come l’oro. E i bucatini all’amatriciana? I saltinbocca alla romana? La finocchiona toscana? La filosofia è ghiotta di questa e di quelli. È ghiotta di ogni piatto che ha un passato, una tradizione, un’identità territoriale, una cultura. Lo spiega bene Diego Fusaro, filosofo, docente di storia della filosofia all’Istituto alti studi strategici e politici di Milano, autore del libro La dittatura del sapore: «La filosofia va a nozze con i piatti che si nutrono di cultura e ci aiutano a combattere il dilagante globalismo guidato dalle multinazionali che ci vorrebbero tutti omologati nei gusti, con le stesse abitudini alimentari, con uno stesso piatto unico. Sedersi a tavola in buona compagnia e mangiare i piatti tradizionali del proprio territorio è un atto filosofico, culturale. La filosofia è pensiero e i migliori pensieri nascono a tavola dove si difende ciò che siamo, la nostra identità dalla dittatura del sapore che dopo averci imposto il politicamente corretto vorrebbe imporci il gastronomicamente corretto: larve, insetti, grilli».

La saudita Pif investe in Leonardo
Leonardo
Il fondo è pronto a entrare nella divisione aerostrutture della società della difesa. Possibile accordo già dopo l’incontro di settimana prossima tra Meloni e Bin Salman.

La data da segnare con il circoletto rosso nell’agenda finanziaria è quella del 3 dicembre. Quando il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, parteciperà al quarantaseiesimo vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), su espressa richiesta del re del Bahrein, Hamad bin Isa Al Khalifa. Una presenza assolutamente non scontata, perché nella Penisola araba sono solitamente parchi con gli inviti. Negli anni hanno fatto qualche eccezione per l’ex premier britannica Theresa May, l’ex presidente francese François Hollande e l’attuale leader cinese Xi Jinping e poco altro.

L’Ue accusa il Golden power di Roma mentre Macron nazionalizza Arcelor
Emmanuel Macron (Ansa)
Bruxelles apre una procedura sull’Italia per le banche e tace sull’acciaio transalpino.

L’Europa continua a strizzare l’occhio alla Francia, o meglio, a chiuderlo. Questa volta si tratta della nazionalizzazione di ArcelorMittal France, la controllata transalpina del colosso dell’acciaio indiano. La Camera dei deputati francese ha votato la proposta del partito di estrema sinistra La France Insoumise guidato da Jean-Luc Mélenchon. Il provvedimento è stato approvato con il supporto degli altri partiti di sinistra, mentre Rassemblement National ha ritenuto di astenersi. Manca il voto in Senato dove l’approvazione si preannuncia più difficile, visto che destra e centro sono contrari alla nazionalizzazione e possono contare su un numero maggiore di senatori. All’Assemblée Nationale hanno votato a favore 127 deputati contro 41. Il governo è contrario alla proposta di legge, mentre il leader di La France Insoumise, Mélenchon, su X ha commentato: «Una pagina di storia all’Assemblea nazionale».

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