2022-06-16
Putin chiude i rubinetti che doveva chiudere l’Ue
Alla fine, a chiudere il rubinetto del gas non è l’Europa, ma Vladimir Putin. Sì. Per settimane abbiamo letto bellicose dichiarazioni di politici pronti a immolare la bolletta energetica delle famiglie pur di difendere l’Ucraina. In fondo, disse il nostro presidente del Consiglio, si tratta di scegliere fra la pace e l’aria condizionata. Messa così, la questione sembrava non lasciare spazio ad alternative, perché un paio di gradi in più d’estate o due di meno in inverno non valgono certo la vita e la libertà di milioni di persone.A prescindere da ciò che aveva un po’ maldestramente detto Mario Draghi, fu da subito chiaro che non si poteva risolvere la faccenda liquidandola come una regolazione del termostato di casa nostra, in quanto rinunciare al gas russo - come era nelle intenzioni dell’Europa - avrebbe significato dover spegnere un certo numero di aziende, mandando a casa il relativo personale. Di fronte alla prospettiva di migliaia di licenziamenti, la baldanza di certuni politici ha lasciato il posto alla titubanza, e dunque l’ipotesi di staccarsi dal metano proveniente da Mosca è stata momentaneamente rinviata, per lasciare spazio a un embargo del petrolio, ma solo per quello in arrivo via nave. Così, mentre tra Bruxelles e le capitali del vecchio continente è cominciato un rimpallo delle decisioni, a prendere il toro per le corna ci ha pensato Gazprom, ovvero il braccio operativo nel settore idrocarburi del Cremlino. Martedì i tubi che riforniscono la Germania, Paese la cui economia è tenuta in piedi dall’energia russa, hanno cominciato a diminuire del 40% la portata di metano e ieri è toccato all’Italia, con una riduzione del flusso del 15%. Ufficialmente, l’equivalente moscovita della nostra Eni ha detto che la riduzione è dovuta a problemi tecnici. In pratica, a causa dell’embargo Gazprom non avrebbe la possibilità di ricevere i pezzi di ricambio necessari a mantenere efficiente il gasdotto che dagli angoli sperduti della Russia trasporta il metano fino in Europa. Tesi in linea di massima possibile, ma forse usata strumentalmente da Mosca per fare pressioni sui Paesi economicamente più fragili dal punto di vista energetico, ossia su Germania e Italia. Un distacco delle forniture, infatti, significa un crollo della produzione, oltre che naturalmente un problema termico per milioni di famiglie. Ora non fa freddo, ma se questo scherzetto venisse fatto in dicembre, con le temperature più rigide, per l’Europa - o meglio, per gli europei - sarebbero guai. Altro che due gradi in meno in casa. Come diceva Giulio Andreotti, a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca. Così viene da pensare che la chiusura, seppur ridotta, del rubinetto sia un assaggio di quello che Putin potrebbe fare nel prossimo futuro, qualora le cose peggiorassero o anche solo come semplice ritorsione nei confronti delle sanzioni. Come abbiamo visto nei giorni scorsi, se l’Europa si muove per costringere lo zar del Cremlino a ritirare le sue truppe e lo fa usando il bastone delle sanzioni finanziarie e dell’embargo, la Russia non sta ferma, ma cerca alternative. Sia per quanto riguarda i pagamenti (costringendo le aziende che acquistano gas a saldare i conti in rubli), sia per ciò che riguarda la vendita, dirottando altrove (cioè verso la Cina o l’India) gli idrocarburi. Una delle ipotesi che circolano è che, riducendo un po’ le forniture, Putin abbia inteso rispondere anche alle ipotesi di un tetto ai prezzi del gas che, come è noto, nell’ultimo anno sono volati e dopo la guerra ancora di più. Se l’Europa pensa di tarpare le ali al mercato, sarebbe l’avvertimento, noi tarperemo le ali alla produzione. Detto in parole semplici, significa che se vogliamo pagare meno, probabilmente avremo meno gas. Del resto, ci pare evidente che questa guerra cambierà gli equilibri finanziari ed economici del Vecchio continente, con una spaccatura che spingerà sempre più a Est gli interessi della Russia. A un’Europa che minaccia di trovare fonti alternative, rinunciando a comprare da Mosca, Putin replica vendendo ad altri. E chi prima riuscirà a tener fede ai bellicosi propositi, farà danni all’altro. Già abbiamo visto che l’embargo del petrolio, invece di indurre l’armata russa a indietreggiare, ha fatto schizzare i prezzi della benzina. Se tanto ci dà tanto, anche la riduzione delle forniture di metano darà un altro colpo alle economie dell’Occidente. Insomma, se non è chiaro, occorre prepararci a un altro salasso. Sarà per questo che ieri Emmanuel Macron ha detto che a un certo punto l’Ucraina dovrà negoziare? Che si dovesse negoziare per noi era chiaro già il 24 febbraio, ma fino a ieri Macron e compagni dicevano che l’Ucraina doveva vincere. Che cos’è cambiato?