2020-08-31
«Pure in Campania e Toscana sarà una lotta all’ultimo voto»
Il sondaggista Nicola Piepoli: «Solo in Veneto e in Liguria il risultato sembra scontato. In tutte le altre regioni l'esito delle elezioni è incerto. Il partito che ha più da perdere? Direi che è il Pd».Nicola Piepoli è in pieno lavoro. L'istituto di ricerche che porta il suo nome, e di cui è presidente, è uno dei tre che la Rai ha chiamato per il monitoraggio dell'opinione pubblica in vista della tornata elettorale del 20 e 21 settembre: le elezioni di 7 governatori regionali e relativi Consigli, e del referendum costituzionale che deve confermare (o bocciare) il taglio al numero dei parlamentari fortemente voluto dal Movimento 5 stelle e appoggiato, in extremis, anche dal Partito democratico se accompagnato da una nuova legge elettorale proporzionale.Che Paese è questo che si prepara a tornare alle urne?«Malato. Molto malato. Il coronavirus ha cambiato la visione della vita e del mondo degli italiani. È stato preso più sul serio di quanto meritasse. Una malattia che produce il 3-4% di morti in più non è la peste bubbonica, che falcidiava metà della popolazione. Purtroppo la gente non riesce a capirlo».È stato dato troppo peso al coronavirus?«Certamente. E si continua a dargli troppo peso, e a fare ammalare la mente delle persone».Si ammala più la mente che il fisico?«Assolutamente! Non si può dare un'importanza simile a un evento che provoca un aumento della mortalità del 5% al più, e solo per quest'anno».Non le sembra di sottovalutare la pandemia?«Nel 2020 avremo 40.000 morti in più a causa del coronavirus, ma avremo qualche migliaio di morti in meno per altre cause, per esempio le polmoniti legate all'influenza stagionale. La somma dei morti sarà pari a circa 700.000 invece dei 665.000 attesi. Stime Istat. E il presidente Istat, Giancarlo Blangiardo, è un demografo che conosce bene i dati fondamentali dell'evoluzione della popolazione».Se non è malata di Covid, di che cosa soffre l'Italia?«Di paura. Paura di Covid: questo è il vero problema. Una paura tremenda. E i telegiornali oggi aizzano alla paura. Passerà, come tutte le malattie: uno psicologo americano dice che la tendenza alla salute è immanente al malato. Quindi noi tendiamo alla salute, ma temo che guariremo nel 2022».E nelle urne fra 20 giorni che cosa finirà di questa paura?«L'incognito. Prendiamo il caso del referendum. Fino a un mese fa il rapporto era di 90 per il Sì e 10 per il No. Ora siamo a 70-30». Uno spostamento notevole in 4 settimane estive.«Sì, è tanto. In linea di principio, potrebbe anche rovesciarsi la sorte: se ci fosse più tempo, non sarebbe da escludere una vittoria del No».Perciò il Sì continuerà a perdere terreno ma vincerà.«La tendenza è questa. Il No è più attivo nell'inconscio collettivo. Il Sì è un atto dovuto, è quello che i partiti hanno deciso; il No è un atto di ribellione». Lei che cosa voterà?«Croce sul No. Ero favorevole al Sì, ma ho cambiato idea dopo avere letto un articolo di Maurizio Molinari, direttore di Repubblica». Il quale diceva…«Mi ha comunicato, o meglio meta-comunicato, che votare No è più vicino alla Costituzione del Sì». L'arretramento del Sì non è legato anche al calo di fiducia verso i 5 stelle, che sono i promotori di questa riforma?«È un fatto di consapevolezza. Rileviamo che i sostenitori del Sì hanno avuto una battuta d'arresto e una regressione che però si è fermata. Le rilevazioni della scorsa settimana ci dicono che il rapporto si è attestato sul 2 a 1 a sfavore del No. Il desiderio di saperne di più si è placato. E molti annaspano».Che intende?«Alcuni partiti, tra cui la Lega, non si sono ancora pronunciati formalmente. Altri, come il Pd, sono molto combattuti. Se voti Sì, porti acqua al mulino dei 5 stelle. Se voti No, ti condanni alla sconfitta. È un bel trappolone».Quindi i grillini possono già mettere lo champagne in frigo.«L'esperienza mi dice che è molto improbabile che le convinzioni dell'opinione pubblica si capovolgano in un paio di mesi. Non mi è mai capitato».Nemmeno nel 2016 con il referendum voluto da Matteo Renzi?«Lì l'opinione pubblica aveva meditato per 6 mesi ed è avvenuto un cambiamento».Tutti contro il Rottamatore.«Se Renzi avesse conosciuto la storia, mai avrebbe promosso un referendum mettendo di mezzo sé stesso. Lo insegna l'uscita di scena di De Gaulle».Cioè?«Nel 1969 De Gaulle aveva 79 anni, voleva andare in pensione ma la Costituzione francese glielo impediva. Così indisse un referendum dicendo che se l'avesse perduto ne avrebbe tratto le conseguenze. E così andò: il giorno dopo la sconfitta si ritirò a Colombey-les-Deux-Églises».Come poteva essere certo che i francesi l'avrebbero rimandato a casa?«Due istituti di ricerca, che conosco bene perché esistono tuttora, gli avevano tolto ogni dubbio». Un modo strano per andarsene.«Ma rispettoso della volontà popolare. E che sancisce il principio in base al quale ogni presidente che promuove un referendum è destinato a perderlo».Allora Giuseppe Conte sfaterà la tradizione.«È un uomo fortunato». Lo sarà anche alle regionali?«Qui la faccenda si complica».Ora siamo 4-2 per il centrosinistra: quale sarà il punteggio la sera del 21 settembre?«Intanto le regioni al voto sono 7: non dobbiamo dimenticare la Val d'Aosta, che è immutabilmente democristiana autonomista. C'è poco da discutere anche in Liguria, dove Giovanni Toti ha spiazzato tutti, e non c'è niente da discutere in Veneto dove Luca Zaia avrà più del 70%. Sarà il supervincitore».Nemmeno una piccola probabilità che vada sotto?«Se perdesse Zaia, tutti noi ricercatori dovremmo andare a chiedere il reddito di cittadinanza».La lista personale del governatore supererà quella della Lega di Salvini?«Sulle singole liste i sondaggi sono molto più difficili che sui candidati presidenti».Restano Toscana, Marche, Puglia e Campania.«E qui c'è incertezza assoluta». Da mago delle probabilità che cosa prevede?«Fare previsioni oggi non è da ricercatori ma da suicidi. Qualsiasi dato, compresi i miei, va preso con le molle».In base alla sua esperienza ritiene che l'incertezza resterà fino al giorno del voto?«Prendiamo la Puglia, che conosco molto bene perché la mia famiglia è pugliese, come testimoniano il mio cognome e anche il nome. Eppure conoscerò il vincitore soltanto dagli exit poll che mi arriveranno mentre si vota. Si dice che l'attuale presidente non sia amato, ma la Puglia è sempre stata “governativa". Ha preceduto o seguito il governo di un soffio. In un certo senso è l'Ohio italiano. Negli ultimi anni ha oscillato tra la sinistra, la destra e i 5 stelle, che qui nel 2018 hanno stravinto sfiorando il 50%».Quindi non azzarda previsioni.«È un'impresa da pazzi. La differenza tra destra e sinistra è millimetrica».E in Campania?«Qui le probabilità sono più a favore di De Luca, ma non c'è niente di certo».Toscana?«È più vicina al dubbio. In termini storicistici la regione è favorevole alla sinistra. Però le zone costiere sono andate a destra».Intende Massa, Lucca, Pisa, Grosseto?«Sì, e a destra sono rimaste, il che significa che sono città amministrate bene. Ma le coste contano poco in termini di popolazione in Toscana».Anche i sindaci di Siena, Pistoia e Arezzo sono di centrodestra. E la sinistra toscana, con Matteo Renzi e il governatore Enrico Rossi che hanno fatto dentro e fuori dal Pd, non è più granitica come un tempo. «Sì, non è più la sinistra d'antan che in Toscana era radicata in profondità, come testimoniano certe lapidi su cui è scolpita la falce e martello. Però un filo di meraviglia se la Toscana passasse a destra mi rimarrebbe. Certo, mi stupirei di più se perdesse De Luca in Campania».E che dice delle Marche?«Ecco, questa è la zona più in bilico. Se fossi nel Pd, punterei tutte le mie energie proprio sulle Marche perché è il discriminante tra il dire “ho mantenuto" e “ho perso"».Ma perdere ad Ancona è ben diverso che a Napoli, Firenze o Bari.«Perdere in un posto è perdere. Oggi la sinistra governa quattro regioni e ovunque rischia grosso. Per poter dire di avere vinto, deve replicare il risultato e riconquistarle tutte e quattro. Basta che ne perda una e questo significherà una sconfitta».In definitiva, se lei fosse uno scommettitore, a parte Toti e Zaia non punterebbe su nessun altro.«Neanche un po'».