2022-07-18
Pur di scampare alle elezioni Di Maio profetizza catastrofi: «Senza Draghi più siccità»
Mario Draghi e Luigi Di Maio (Getty Images)
Giggino surreale: se il presidente del Consiglio si dimette, non si potrà far fronte alla mancanza d’acqua. E spara sui 5 stelle, dopo averne creato i peggiori disastri.Conosco Mario Draghi all’incirca da un quarto di secolo e so che è stato un eccellente direttore del ministero del Tesoro e un abile banchiere. Tuttavia, non ero a conoscenza che fosse anche uno straordinario esperto in flussi d’acqua. Che il presidente del Consiglio abbia poteri taumaturgici che gli consentono di combattere la siccità l’ho appreso ieri, leggendo l’intervista rilasciata alla Stampa dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Alla collega Annalisa Cuzzocrea, l’ex capo politico dei 5 stelle ha confidato che se dopodomani il premier dovesse confermare le proprie dimissioni dall’incarico affidatogli un anno e mezzo fa da Sergio Mattarella, «la siccità sarà un problema per le imprese e gli agricoltori». Sì, ha detto proprio così. Confesso: ho riletto un paio di volte il passaggio fra virgolette, ma mi è sfuggito il nesso tra l’addio di Draghi e la mancanza di precipitazioni. È vero che all’ex governatore della Bce sono attribuiti vari prodigi e che, soprattutto in queste ore, è descritto come un Messia in grado di farci risorgere, però si fatica a comprendere come egli possa ripetere al contrario il miracolo delle nozze di Cana, trasformando in acqua ciò che incontra. L’Italia di risorse idriche ne ha più di altri Paesi, ma purtroppo ha anche una rete di distribuzione che è un colabrodo. Dunque, gran parte dell’acqua che potrebbe essere utilizzata in periodi di siccità, non finisce in invasi di raccolta e nemmeno scende dal rubinetto, ma è semplicemente persa per strada, ossia sprecata. Ora, siccome non credo che Draghi sia l’uomo della pioggia, e, sebbene presentato come una specie di supereroe, nemmeno me lo immagino come super Mario, cioè come idraulico capace di tappare le falle degli acquedotti, mi sono chiesto che cosa cambierebbe per gli italiani a rubinetto asciutto se Draghi restasse a Palazzo Chigi. La risposta è: niente. Non succederebbe assolutamente nulla, a meno di non pensare che le sue preghiere da fervente cattolico possano essere più efficaci di quelle dell’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini.Ma il passaggio dell’intervista di Di Maio sulle capacità soprannaturali del premier non è stato il solo a colpirmi. Al ministro degli Esteri è stato anche chiesto di commentare il voto popolare per decidere la linea dei 5 stelle nei confronti del governo e Di Maio, che della democrazia digitale fino all’altro ieri era il patrono (anche perché spesso ne ha beneficiato), ha risposto dicendo che le consultazioni online mostrano «una forza politica che non ha più il controllo di sé stessa». Cioè, prima consultare il popolo dei Meet up era democrazia dal basso, anche se a votare era l’equivalente dei partecipanti a una riunione di condominio, adesso è una bassa manovra punto e basta. Per fare che cosa? «Per rieleggere dieci persone nella prossima legislatura». Ora, non vorrei apparire come l’avvocato d’ufficio di Giuseppe Conte, anche perché delle idee dell’ex premier non condivido praticamente nulla, ma se c’è uno che non essendo mai stato eletto in Parlamento non ha problemi di rielezione, questo è proprio il professore di Volturara Appula. A causa della regola dei due mandati, a essere impossibilitato a ricandidarsi sarebbe stato invece Di Maio, ma solo se fosse rimasto nei 5 stelle. Dunque, con il dovuto rispetto nei confronti dell’istituzione che rappresenta, il ministro degli Esteri sembra il bue che dà del cornuto all’asino. Non solo. Per attaccare l’attuale presidente del Movimento, Di Maio tira in ballo Fausto Bertinotti, che nel 1998 fece cadere Romano Prodi, mettendolo a confronto con Conte, aggiungendo tuttavia con perfidia che i due non sono paragonabili, perché l’ex segretario di Rifondazione era un «vero politico». Concordo sulle differenze fra i due, però Di Maio dimentica di dire che a inventare il Conte presidente del Consiglio nel giugno di quattro anni fa fu proprio lui. Nel bel mezzo della formazione del governo giallo verde, l’allora capo politico grillino si precipitò a Milano e gli offrì di guidare il governo, per scongiurare che la scelta ricadesse su Giulio Sapelli, candidato della Lega. Insomma, sarà anche vero che Draghi è il solo in grado di far piovere e magari anche l’unico capace di far calare il prezzo di benzina e metano. Aggiungiamo pure che solo con lui continueranno i bonus e i super bonus e senza San Mario avremmo guai seri su pensioni, patto di stabilità e Pnrr, come dice il ministro degli Esteri. Ma una parola di scusa per averci regalato Conte, il reddito di cittadinanza e altre boiate grilline forse era opportuna. Invece no, la sola parola che il ministro riesce a dire è che «è importante per un leader di governo mantenere la parola data». Sì, proprio così. E allora lui, che di parole ne ha date tante senza rispettarne alcuna, cosa ci fa al governo?
Jose Mourinho (Getty Images)