- Le offerte dell'avvocato: ai voltagabbana, gli scranni mollati da Iv e vari dicasteri da spacchettare o creare. A pattuglie di renziani e azzurri, ricandidatura garantita. Pd e M5s ne approfitterebbero per un rimpastino.
- Il premier chiude a Matteo Renzi, va al Quirinale, glissa sul Vietnam che l'aspetta nelle commissioni e scuce tre settimane per cercare soccorritori. Il presidente della Repubblica vuole certezze su vaccini e ristori. Gli incidenti però sono dietro l'angolo: a partire dal dossier Giustizia.
Le offerte dell'avvocato: ai voltagabbana, gli scranni mollati da Iv e vari dicasteri da spacchettare o creare. A pattuglie di renziani e azzurri, ricandidatura garantita. Pd e M5s ne approfitterebbero per un rimpastino.Il premier chiude a Matteo Renzi, va al Quirinale, glissa sul Vietnam che l'aspetta nelle commissioni e scuce tre settimane per cercare soccorritori. Il presidente della Repubblica vuole certezze su vaccini e ristori. Gli incidenti però sono dietro l'angolo: a partire dal dossier Giustizia.Lo speciale contiene due articoli.«Il movimento c'è»: il giorno dopo la minifiducia al Senato, uno dei big del governo conferma alla Verità che il lavoro per rimpolpare la maggioranza con un manipolo di senatori (soprattutto) e deputati pescati tra le file dell'opposizione va avanti. Considerato che la sessione invernale del calciomercato si conclude il prossimo primo febbraio alle 20, i tempi coincidono con quel paio di settimane che Giuseppe Conte, in accordo con Pd, M5s e Leu, si è dato per dare forma e sostanza alla famosa quarta gamba che dovrebbe sostituire Italia viva. La mercanzia in offerta, sul piano politico, per ingolosire i «responsabili» in pectore, è di tre tipi. Il primo, quello più grossolano, consiste nell'evitare che si torni alle elezioni già a giugno. Trattasi di strategia del terrore: «Se durante l'emergenza si allargherà la maggioranza», minaccia Goffredo Bettini, paraguru del Pd, a Sky Tg24, «vorrà dire che potremo fare un patto di legislatura fino alla fine. Se questo non accadrà si andrà alle elezioni». Traduzione: pensateci bene a restare all'opposizione, soprattutto voi di Forza Italia e dei piccoli gruppetti, che se qui crolla tutto non verrete mai più rieletti. Passiamo al reparto poltrone e divani: a disposizione di Conte ci sono pronti per la consegna i due ministeri e il posto da sottosegretario lasciati liberi da Italia viva. All'Agricoltura, al posto di Teresa Bellanova, è destinato il senatore socialista Riccardo Nencini, che l'altra sera ha votato nei minuti di recupero la fiducia al governo. Il ministero della Famiglia e delle pari opportunità, lasciato da Elena Bonetti, potrebbe essere spacchettato: una delle poltrone, quella della Famiglia, andrebbe a Bruno Tabacci, che alla Camera sta radunando responsabili sotto le gloriose insegne post democristiane del suo Centro democratico. Qui però c'è un problema: anche l'Udc punta a un ministero per entrare a far parte della maggioranza, e del resto tre senatori, Paola Binetti, Antonio Saccone e Antonio De Poli, valgono bene un posto in prima fila al governo.L'Udc porta in dote anche un simbolo, che ci sta sempre bene se si tratta di dare una patina di dignità politica a una operazione di sfrenato poltronismo. «Se immagino un'ipotesi di un governo che rafforza la propria posizione», dice all'Ansa la Binetti, «la immagino con un ampliamento e questo non può che avvenire, esclusivamente, da un'area di centro. Non penso solo all'Udc, ma a un soggetto politico con l'Udc come nucleo aggregatore». Quell'«esclusivamente» sembra un avvertimento a Giuseppi, che ha a disposizione anche il simbolo del Psi di Nencini. Democristiani e socialisti in competizione per un posto al governo: bentornati nei meravigliosi anni della prima Repubblica. I ministeri spacchettabili sono pure quelli di Trasporti e infratrutture, Beni culturali e turismo, Politiche giovanili e sport. Il posto da sottosegretario agli Esteri lasciato da Ivan Scalfarotto è comunque un bocconcino prelibato, al quale potrebbe essere affiancato, come contorno, qualche altro sottosegretariato. Fosse per Conte, assegnerebbe queste caselle ai nuovi arrivati e si ripresenterebbe alle Camere per la fiducia, ma Pd e M5s vorrebbero approfittare del momento per qualche cambio: in casa Pd Graziano Delrio punta ai Trasporti al posto di Paola De Micheli, nel M5s Carla Ruocco scalda i motori per sostituire Nunzia Catalfo al Lavoro. Inoltre, se la delega ai servizi segreti venisse assegnata a Luciana Lamorgese, si aprirebbe una casella di primo livello: il Viminale. La seconda fascia di offerte riguarda le ricandidature. I senatori di Iv, tranne i fedelissimi di Renzi, sperano di tornare nel Pd o di trovare ospitalità nella quarta gamba: «Se Iv va all'opposizione», dice a Un Giorno da pecora, su Rai Radio 1, il senatore renziano Eugenio Comincini, «non me la sento di andarci anche io». I 54 senatori di Forza Italia, dal canto loro, sanno bene che, tra taglio dei parlamentari e taglio dei consensi, saranno riconfermati solo in minima parte. La prospettiva di essere candidati nella ipotetica Lista ConTe, con una bella legge elettorale proporzionale, li ingolosisce non poco.Silvio Berlusconi, al di là dei messaggi rassicuranti che gli recapita Antonio Tajani, sa benissimo che i suoi sono allo sbando. Secondo Dagospia, starebbe trattando l'ingresso organico di Forza Italia in maggioranza, ma con un nuovo presidente del Consiglio e un accordo sul prossimo presidente della Repubblica. Uno scenario di questo genere appare di difficile realizzazione perché Forza Italia è alleata con Lega e Fdi in centinaia di amministrazioni, dalle Regioni ai Comuni. Il Cav però, di fronte alla prevedibile ira di Matteo Salvini, ricorderebbe all'alleato mai troppo amato la sua soffertissima «benedizione» del 9 maggio 2018 alla nascita del governo Lega-M5s, che non ebbe ripercussioni sulle alleanze territoriali. La «maggioranza Ursula», croce e delizia degli addetti ai lavori, torna a fare capolino.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pugno-voti-partita-lotteria-poltrone-2650046950.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mattarella-regala-i-supplementari-a-giuseppi" data-post-id="2650046950" data-published-at="1611187594" data-use-pagination="False"> Mattarella regala i supplementari a Giuseppi «Stia tranquillo che li porto a casa». Cos'altro può avere detto Giuseppe Conte al capo dello Stato per convincerlo a fargli giocare i tempi supplementari? Per un avvocato d'affari tutto può essere oggetto di scambio, a cominciare dai principi. «Portare a casa» sinonimo di acquisire, comprare, inglobare. Difficile volare alto con un governo di minoranza. C'è la necessità di allargarlo e il mercato del pesce è l'unico luogo per trovare forze fresche. È stato un dialogo mesto quello del Quirinale, caratterizzato dalla ferrea volontà del premier di andare avanti a qualunque costo e dal volto accigliato e perplesso di Sergio Mattarella davanti all'orizzonte buio, perfino un po' squallido prospettato dall'inquilino di Palazzo Chigi. Il presidente della Repubblica, che insieme a Matteo Renzi fortissimamente volle il Conte 2 dopo il ribaltone, ha dato a Conte gli otto giorni. Si fa per dire, perché alla fine saranno tre settimane necessarie per creare il nuovo gruppo e siglare il patto di legislatura. Mattarella non se l'è sentita di sconfessare sé stesso e di dare per persa una partita che sta giocando dall'inizio a fianco dell'esecutivo. Così il «Conte dimezzato» - come lo chiama Renzi - è tornato dal Colle dov'era salito alle 18.30, con il mandato di allargare la maggioranza. E di cementare quei cespugli che Bruno Tabacci ha il compito di trasformare in fascine. Il Pd sta provando a convincere Conte a tornare sui suoi passi, a parlare con Renzi, ma ancora ieri il premier è stato irremovibile: «Con lui non si torna, ma i numeri non bastano». È la posizione del Movimento 5 stelle, ribadita nel vertice di maggioranza del pomeriggio, prima della salita al Quirinale a relazionare e a spiegare come Conte-Silvan riuscirà a passare da 156 a 161 con uno schiocco di dita. La strategia è nota, il gruppo del fritto misto è allettato da nuovi posti di governo e di sottogoverno che compariranno nelle prossime ore. Ma c'è una novità, portata avanti da Dario Franceschini (i cattopiddini sono sempre i più furbi): i tentennanti potrebbero accedere ai ruoli della struttura destinata a gestire i miliardi del Recovery fund. Nei 40 minuti di colloquio il capo dello Stato ha chiesto a Conte di «uscire velocemente dall'incertezza» (tre settimane, velocità da lumaca). E di non perdere la concentrazione sulle priorità: gestione della pandemia e dei vaccini (ora in ritardo dopo lo scontro con Pfizer), concretezza sui ristori, attenzione massima alla crisi economica. Il premier ha abbozzato ma si è ben guardato da sottolineare il primo problema: il Vietnam annunciato nelle commissioni. Il governo è in minoranza in quella degli Affari costituzionali dove si dovrebbe discutere la nuova legge elettorale promessa nel discorso alla Camera (assieme a una quindicina di altri cotillons), e nella commissione Bilancio dove è incardinato il Recovery plan. L'incidente è dietro l'angolo e potrebbe materializzarsi quando il ministro Alfonso Bonafede riferirà in aula sulla situazione della Giustizia. Renzi ritiene, e non fa mistero di ribadirlo in pubblico, che Bonafede sia un incapace. È arrivato a un millimetro dal farlo cadere in estate dopo il pasticcio dei mafiosi liberati con il reddito di cittadinanza. Ha già annunciato: «Voteremo contro». Al Senato l'esecutivo andrebbe sotto; risulta difficile far tornare tutte le settimane Liliana Segre per salvare la baracca. A questo punto anche Mattarella si affida all'esoterismo politico. E lo fa perché sa che Renzi non può esagerare nel bullizzare l'esecutivo senza il rischio di perdere pezzi di Italia viva. Alcuni peones hanno già la valigia in mano. Ieri Eugenio Comincini ha detto a Radio Rai: «Bisogna fare di tutto per ricucire. Se Italia viva va all'opposizione non me la sento di andarci anch'io». Anche l'ex premier rischia di vedersi sciogliere il partito come il suo amato gelato di Grom. La posizione del capo dello Stato è molto delicata per due motivi. Primo: Mattarella è contrario alle traversate del deserto senza alcuna oasi, preferirebbe un Conte ter con un robusto rimpasto. Lo dimostra la sua storia politica. Quando nel 1990 cinque ministri della sinistra democristiana si dimisero contro la legge Mammì, il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, li sostituì e tirò dritto. Allora Mattarella, uno dei dimissionari, criticò aspramente il comportamento del leader che si permetteva di rimanere allegramente in carica. Come ora sta facendo Conte. Il secondo motivo è il più solido e investe in pieno l'opposizione, che sta facendo pressione sul Colle per indurlo a considerare le necessità del Paese e non solo la politica dei numeri di chi commercia in nomi e posti al sole. Prima il centrodestra vota compatto lo scostamento di bilancio, poi Matteo Salvini chiede a nome della coalizione un incontro a Mattarella per rappresentargli lo sconcerto davanti al mercimonio: «Non si può fare finta che vada tutto bene. Il governo senza maggioranza in Senato sta in piedi con chi cambia casacca». Giorgia Meloni insiste nel ricordare al presidente della Repubblica che «sta concedendo a Conte ciò che non ha concesso al centrodestra dopo le elezioni, vale a dire la possibilità di governare cercando i voti in parlamento». Così è. Anche sul Colle più alto dove si respira l'aria rarefatta dell'infallibilità, vale il motto di Giovanni Giolitti: per gli amici tutto, per i nemici la legge. O la prassi.
Mattia Furlani (Ansa)
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