2022-06-26
Proteste nelle grandi città. I pro aborto vanno a caccia delle abitazioni delle toghe
Gli indirizzi sono stati resi pubblici dagli attivisti. Washington è in massima allerta. A Phoenix la polizia ha disperso violenti che avevano assaltato il Senato dell’Arizona.Il nuovo fronte legale è sulla pillola. Joe Biden vuole impedire ai singoli Stati di vietare la vendita dei farmaci che interrompono una gravidanza. E può riuscirci perché approvati dalla Food and drug administration.Lo speciale comprende due articoli. La tensione è salita alle stelle negli Stati Uniti dopo il pronunciamento della Corte suprema. A lanciare l’allarme in materia di ordine pubblico è stato il Dipartimento per la sicurezza interna che, in un memorandum ottenuto da alcune testate americane, ha reso noto che sarebbe «probabile» l’esplosione di violenza estremista. In particolare, sono definiti a rischio soprattutto i giudici della stessa Corte suprema, mentre altri probabili bersagli sono le strutture sanitarie pro life e le organizzazioni religiose. Proteste sono, nel frattempo, esplose in varie città statunitensi: da Atlanta a Seattle, passando per New York, Detroit e Los Angeles. Venerdì sera, a Phoenix la polizia ha dovuto usare i lacrimogeni per disperdere una folla di facinorosi, che aveva ripetutamente colpito le porte dell’edificio che ospita il senato dell’Arizona. Dall’altra parte, un suv ha ferito un pedone a Cedar Rapids (in Iowa) durante una manifestazione. Ma la situazione resta maggiormente preoccupante a Washington. Ieri, tra la tarda mattinata e il primo pomeriggio, centinaia di manifestanti si sono radunati davanti alla Corte suprema. L’entità delle proteste dovrebbe accrescersi nel corso del fine settimana. Tra l’altro, Newsweek riferiva che venerdì vari attivisti pro aborto hanno ripreso a pubblicare sui social network gli indirizzi delle abitazioni private dei supremi togati. Ricordiamo che, nelle scorse settimane, si erano già tenute delle proteste davanti a queste case e che, di recente, uno squilibrato aveva cercato di uccidere il giudice, Brett Kavanaugh.Ad alimentare il fuoco della tensione ci sta pensando il Partito democratico americano. L’altro ieri, dopo le dure parole di Nancy Pelosi che aveva bollato la Corte suprema come «radicale», un gruppo di deputati dem ha chiesto a Joe Biden di decretare un’emergenza sanitaria nazionale. La deputata Val Demings, attualmente candidata alla poltrona senatoriale della Florida, ha detto di essere «pronta a combattere» per la libertà riproduttiva. «Non avete ancora visto niente. Le donne controlleranno i loro corpi, non importa come cercheranno di fermarci. Al diavolo la Corte suprema. Ci opporremo», ha tuonato un’altra deputata dem, Maxine Waters. Tutto questo, mentre la sua collega Alexandria Ocasio Cortez ha definito la sentenza «illegittima», esortando inoltre le persone a «scendere in strada» e aggiungendo: «In questo momento le elezioni non bastano». Insomma, le parole di molti esponenti dem si stanno rivelando particolarmente violente e prive di senso delle istituzioni. Il grande rischio è che quindi contribuiscano a gettare benzina sul fuoco. «Penso che la Corte suprema abbia preso alcune decisioni terribili», ha dichiarato dal canto suo ieri Biden, che già venerdì aveva criticato la sentenza. L’amministrazione americana ha comunque reso noto, sempre ieri, di non essere d’accordo con le richieste di riforma avanzate da quanti vorrebbero (soprattutto a sinistra) un aumento del numero dei supremi giudici, per annacquare il peso dei togati di nomina repubblicana. «Questo è qualcosa su cui il presidente non è d’accordo. Non è qualcosa che vuole fare», ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre. Si tratta di una notizia non di poco conto. Va riconosciuto che Biden non è mai stato un fautore di un allargamento della Corte. Eppure, spinto da alcuni settori del suo partito, aveva avviato una commissione che studiasse una simile eventualità. Ora, il presidente sembra aver chiuso definitivamente a tale ipotesi: il che, va detto, evita il rischio di una politicizzazione del massimo organo giudiziario statunitense. Ricordiamo sempre che la Corte suprema non ha reso l’aborto illegale. Ha semmai riassegnato ai parlamenti dei singoli Stati l’autorità di decidere su questa materia. In tale quadro, almeno 13 Stati sono pronti ad emanare divieti per quanto riguarda l’interruzione di gravidanza: si tratterebbe in particolare di Arkansas, Idaho, Kentucky, Louisiana, Mississippi, Missouri, North Dakota, Oklahoma, South Dakota, Tennessee, Texas, Utah e Wyoming. Di contro, sono 14 gli Stati che hanno codificato l’aborto a livello legislativo: parliamo di Washington, Oregon, California, Nevada, Colorado, New Mexico, Illinois, New York, New Jersey, Delaware, Maryland, Massachusetts, Maine e Vermont. Va da sé che la questione è destinata a rivelarsi dirimente in vista delle prossime elezioni di metà mandato. Resta, tuttavia, il fatto che gli attacchi violenti e il discredito gettati da molti dem sulla Corte suprema rischiano di produrre delle conseguenze istituzionali devastanti negli Stati Uniti. Segno di come una certa sinistra non sia capace di distinguere il dissenso dalla delegittimazione. E questo è un problema enorme. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/proteste-nelle-grandi-citta-i-pro-aborto-vanno-a-caccia-delle-abitazioni-delle-toghe-2657563227.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-nuovo-fronte-legale-e-sulla-pillola" data-post-id="2657563227" data-published-at="1656203337" data-use-pagination="False"> Il nuovo fronte legale è sulla pillola Dopo la sentenza della Corte suprema che ha ribaltato il giudizio del 1973, in America si preannuncia già una nuova battaglia legale sullo stesso tema. E lo scontro, che riguarda l’accesso all’aborto farmacologico, potrebbe alla fine erodere il potere del governo federale di decidere quali farmaci sono sicuri ed efficaci, oltre a trasformarsi in un altro fronte politico per l’amministrazione Biden, a ridosso delle elezioni di midterm che si terranno a novembre. Ieri il presidente Usa, commentando la sentenza della Corte, ha dichiarato che cercherà di impedire ai singoli Stati di vietare la vendita delle pillole abortive, che a seguito della sentenza, è schizzata. Solo le richieste ad Aid Access sono passate da un giorno all’altro da 1.200 a 38.000. L’aborto medico (medication abortion) negli Usa è noto come «piano C» (il «piano B» è la pillola del giorno dopo) e costa tra i 300 dollari fino a un massimo di 750. In America costituisce il 54% degli aborti su un volume di affari totale dell’«industria dell’aborto» pari a circa 831 milioni di dollari l’anno, e rappresenta la strada più comune per interrompere una gravidanza (dal 1973 a oggi negli Usa ci sono stati più di 50 milioni di aborti). È stato approvato nel 2000 dalla Food and drug administration (Fda), è consentito fino alla decima settimana di gravidanza (poco più del terzo mese) e comporta l’assunzione di due farmaci a 24-48 ore di distanza. Il primo, chiamato RU 486 o mifepristone, è un ormone che blocca il progesterone e impedisce alla gravidanza di andare avanti. In America è commercializzato con il nome di Mifeprex ed è prodotto dalla Danco Laboratories, società privata che ha sede a New York, nel cuore di Manhattan, che non ha mai voluto rivelare i nomi dei suoi investitori. Il secondo farmaco previsto per realizzare l’aborto medico è il misoprostolo, medicinale che provoca contrazioni e sanguinamento che svuotano l’utero. Secondo gli analisti giuridici che hanno commentato le dichiarazioni di Joe Biden, l’amministrazione potrebbe appellarsi alla cosiddetta «clausola di supremazia» della Costituzione degli Stati Uniti, sostenendo in tribunale che l’approvazione del mifepristone da parte della Food and drug administration, che è un’Agenzia federale (dunque nazionale), è gerarchicamente superiore a qualsiasi eventuale restrizione da parte dei singoli Stati, perché l’autorità federale è giuridicamente prevalente rispetto a qualsiasi legge statale. Se prevarranno i sostenitori pro-choice, l’accesso all’aborto farmacologico potrebbe essere protetto in tutti i 50 Stati americani. Ma attualmente non è così: già 19 Stati hanno posto restrizioni sull’aborto farmacologico, richiedendo la presenza fisica di un medico quando il farmaco viene somministrato. Non solo: diversi Stati hanno anche espressamente vietato l’invio per posta delle pillole, che era stato preventivamente (e propedeuticamente) autorizzato da Fda pochi mesi fa, nel dicembre del 2021. La decisione della Fda aveva facilitato l’accesso all’aborto medico alle donne che avevano difficoltà a procurarsi il Mifeprex di persona e preferivano interrompere la gravidanza a casa. La decisione di Fda aveva quindi consentito alle pazienti di ottenere la prescrizione della pillola attraverso una visita online (telemedicine visits), ricevendo in seguito il farmaco per posta, in genere entro due settimane. Le prossime battaglie sul mifepristone stanno entrando in un territorio legale in gran parte inesplorato. Gli Stati americani, infatti, non possono autorizzare farmaci che la Fda non abbia approvato, ma è meno chiaro se possano regolamentare i farmaci in maniera più restrittiva di quanto faccia la Fda. Si tratta, dunque, di una controversia molto scivolosa, che non riguarda «soltanto», si fa per dire, i diritti delle donne, ma anche i poteri dell’amministrazione federale rispetto ai singoli Stati americani e perfino l’autorevolezza delle decisioni di Fda, messa potenzialmente in discussione da 50 diversi standard (uno per ogni Stato) per qualsiasi farmaco. Politica, salute e diritti civili: ci sono tutti gli ingredienti per consegnare l’America a un futuro estremamente conflittuale.
Papa Leone XIV (Getty Images)
Sergio Mattarella con la mamma di Willy Monteiro Duarte (Ansa)
Duilio Poggiolini (Getty Images)
L'amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)