2023-09-09
Il premierato? A Prodi piace se il premier è lui
Romano Prodi (Getty Images)
Udite, udite: secondo Romano Prodi, concedere agli italiani il diritto di decidere da chi farsi governare, e impedire che la loro scelta sia poi ribaltata da qualche onorevole voltagabbana, è qualcosa che si pone al di fuori del sistema democratico parlamentare. In un’intervista concessa alla vicedirettrice della Stampa Annalisa Cuzzocrea, l’ex leader dell’Ulivo si è scagliato contro la proposta di premierato avanzata dal centrodestra, sostenendo che permettere al presidente del Consiglio di sciogliere le Camere in caso di sfiducia è roba da Stato autoritario. «Quel che ha detto Cheli (Enzo, ex presidente della Corte costituzionale, ndr) è Vangelo, perché mette in rilievo tutte le conseguenze politiche e giuridiche di un cambiamento della Costituzione che ha degli aspetti addirittura inimmaginabili. Il Parlamento che se vota contro il governo decade, ma ci rendiamo conto». Per l’ex presidente del Consiglio, il fatto che deputati e senatori debbano trarre le conseguenze di una sfiducia al governo, e cioè assumersi la responsabilità di mandarlo a casa e di restituire la parola agli elettori, è semplicemente follia, anzi un suicidio. «Un premierato del genere è roba da Stato autoritario perché significherebbe che il Parlamento di fatto non esiste più».Prodi, che di anni ne ha 84, ovviamente si è dimenticato di quando la sua maggioranza ulivista, quasi trent’anni fa, voleva il premierato. Era da poco divenuto presidente del Consiglio e durante i lavori della commissione bicamerale per le riforme presieduta da Massimo D’Alema, all’epoca segretario del Pds, fu presentata una proposta per cambiare la Costituzione e istituire proprio ciò di cui oggi si lamenta il cosiddetto padre nobile dei progressisti. A formulare la proposta di un primo ministro direttamente eletto dal popolo, al quale attribuire la possibilità di sciogliere la Camera dei deputati (la sola che avrebbe dovuto votare la fiducia) fu il senatore Cesare Salvi, che del Partito democratico della sinistra a Palazzo Madama era il capogruppo, cioè non proprio un peso piuma. L’esponente di Botteghe Oscure (sì, all’epoca i comunisti non erano ancora stati costretti a vendere la sede per ripagare i debiti) nella bozza a suo nome introdusse anche il potere di nomina e revoca dei ministri, di fatto togliendolo al capo dello Stato. Alla fine non se ne fece nulla, come di tutte le proposte della Bicamerale, perché il tavolo delle riforme fu buttato all’aria da Silvio Berlusconi, che decise di non stringere alcun accordo con Massimo D’Alema ritenendo che fosse una trappola per farlo fuori. Tuttavia, quando Salvi lanciò l’idea di premierato che oggi somiglia per molti versi a quella del centrodestra di Giorgia Meloni, non ricordo di aver letto interviste di Romano Prodi con annesso allarme contro la deriva antidemocratica del Paese. Né mi pare che alcun Enzo Cheli, oggi tanto loquace fino al punto da definire il premierato un progetto eversivo, si sia scagliato contro la riforma. Anzi, all’epoca tutti giustificavano i cambiamenti alla Costituzione con la necessità di rendere più forte l’esecutivo, in modo da consentire un’azione incisiva del governo. Ma allora, appunto, c’era Prodi a Palazzo Chigi che, come la mortadella, è democratico per definizione.Già, sono anni in cui si ruota intorno a questa faccenda. A differenza di altri Paesi europei, noi concediamo all’esecutivo meno poteri di quelli che ha un sindaco di paese. Il quale se non va più d’accordo con un suo assessore lo può rimuovere e sostituire con un altro. E allo stesso tempo, se la sua maggioranza non lo sostiene, può dimettersi e pretendere che si restituisca la parola agli elettori. Al contrario, il nostro presidente del Consiglio se intende mandare a casa un ministro, perché questi non si dimostra all’altezza, non lo può fare. Non solo è costretto a tenersi un incapace, ma pure chi gli fa la guerra allo scopo di soffiargli il posto. E se per caso perde la pazienza e decide di dimettersi, nonostante gli italiani abbiano scelto lui - o lei - mettendo la croce sul suo nome, se si trova un’altra maggioranza, diversa da quella che ha vinto le elezioni, il dimissionario può essere sostituito senza troppi complimenti. Del resto, è quanto successo negli ultimi trent’anni, ed è questa la minaccia al sistema democratico parlamentare, il vero suicidio. Altro che Stato autoritario. Un parlamentare che dopo essere stato eletto fa i comodi suoi e non rispetta il mandato ricevuto dagli elettori, ma addirittura va contro di loro, è l’anticamera di una democrazia in cui la sovranità non appartiene più al popolo (articolo 1 della Costituzione), ma ai partiti e alle correnti. No, con il premierato non c’è nessuna dittatura alle porte. Al massimo, si fa piazza pulita di un po’ di spazzatura dietro cui si nascondono i veri interessi dei mandarini della politica.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.