2024-09-14
Il processo Ilva è tutto da rifare
Lo stabilimento Ilva di Taranto (Imagoeconomica)
L’Appello annulla la sentenza di primo grado di «Ambiente svenduto» in cui erano stati condannati Vendola e i Riva. Accolta la richiesta della difesa di spostare tutto a Potenza.Con un colpo di spugna ora il processo per il presunto disastro ambientale di Taranto causato dall’ex Ilva ai tempi della gestione Riva si dovrà rifare da zero. La sezione distaccata di Taranto della corte d’appello di Lecce ha annullato la sentenza di primo grado per 37 imputati e tre società spostando il processo a Potenza poiché i giudici tarantini sarebbero a loro volta parte lesa nel procedimento. Insomma, poiché operano nella città di Taranto avrebbero comunque subito il disastro ambientale per l’accusa causato dalla più grande acciaieria d’Europa. Per questo motivo, la Corte ha disposto che gli atti del processo Ambiente svenduto passino alla Procura di Potenza. A ogni modo, le motivazioni dettagliate verranno depositate entro 15 giorni. La Corte presieduta dal giudice Antonio Del Coco (affiancato dal giudice Ugo Bassi e dalla giuria popolare) ha letto solo il dispositivo dell’ordinanza.La decisione, di natura esclusivamente procedurale e che non entra nel merito del processo, ha in realtà una grande importanza perché ora alcuni dei reati potrebbero andare in prescrizione. Inoltre, va ricordato che in primo grado la stessa sentenza di trasferimento fu respinta dalla Corte d’Assise e vennero dunque confiscati gli impianti dell’area a caldo e i profitti ottenuti delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva forni elettrici, per una somma di 2,1 miliardi. Da lì scaturì anche l’esigenza di commissariare il siderurgico. Nel maggio 2021 vennero condannate 26 persone tra cui gli ex proprietari e amministratori dell’acciaieria Fabio e Nicola Riva (rispettivamente a 22 e 20 anni di carcere); l’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola (a tre anni e mezzo), e l’ex numero uno della Provincia di Taranto, Gianni Florido (a tre anni).«Siamo molto soddisfatti, la Corte ha accolto una questione pacifica che attiene alla imparzialità del giudice e che i difensori degli imputati hanno sollevato fin dall’udienza preliminare», hanno detto in una nota Francesco Centonze e Lodovica Beduschi, tra i difensori degli ex capi area dell’Ilva. «C’è, tuttavia, grandissimo rammarico, per tutte le parti coinvolte nel procedimento, per il tempo che è stato irragionevolmente perso negando in tutti questi anni le ragioni delle difese». «È una decisione sconvolgente: ingiustizia è fatta», hanno detto Stefano Ciafani, Daniela Salzedo e Lunetta Franco rispettivamente presidenti nazionale, regionale e tarantino di Legambiente. «Ovviamente leggeremo tra 15 giorni le motivazioni della sentenza, ma la sostanza è che si ricomincerà tutto da capo, che una buona parte dei reati è già prescritta, che altri reati andranno in prescrizione nel corso del nuovo processo e che chissà quando vedremo una sentenza definitiva», spiegano. «Ma la gravità di ciò che è avvenuto a Taranto non è messa in discussione dalla sentenza di oggi che riguarda solo aspetti procedurali. Legambiente si costituirà con i legali, Eligio Curci e Fulvio Saracino, come parte civile anche nel nuovo processo a Potenza, in nome del popolo inquinato di Taranto».Dello stesso avviso il Codacons, da cui viene espressa «grande delusione» per la decisione della corte tarantina. «In Italia sembra esserci licenza di uccidere in nome del profitto», fa sapere l’associazione dei consumatori, parte civile del processo, in una nota. «Centinaia di parenti delle vittime dell’inquinamento di Taranto e malati di tumore saranno ora costretti a iniziare un nuovo iter giudiziario a Potenza, a tutto vantaggio degli imputati, dell’acciaierai e della famiglia Riva». Per questo l’associazione presenterà ora «un esposto per incompetenza contro i giudici che hanno emesso la sentenza annullata dalla Corte, affinché siano accertate le relative responsabilità nella vicenda giudiziaria».
Pier Luigi Lopalco (Imagoeconomica)
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo