2025-03-08
Pro e anti Ue, pacifisti e guerrafondai. Tutti in piazza appassionatamente
Carlo Calenda ed Elly Schlein (Imagoeconomica)
L’adunata del 15 marzo, proposta da Serra, è da ridere. Il Pd sfila contro i missili di Ursula. L’Arci la pensa uguale e darà buca. L’Anpi idem, ma parteciperà. In compagnia dei progressisti con l’elmetto alla Calenda.Ci sia dato atto che noi lo avevamo detto fin da subito: la manifestazione pro Europa ideata da Michele Serra e subito convocata dalla sinistra per il 15 marzo non poteva essere altro che una iniziativa satirica. Ora è evidente a tutti: basta leggere le dichiarazioni che arrivano dal fronte progressista in queste ore. In buona sostanza i dem vanno in piazza a favore dell’Unione europea ma contro il riarmo voluto dall’Unione europea. Vanno in piazza contro Donald Trump che umilia l’Europa e a favore dell’Europa che compra armi come Trump desidera. In pratica manifestano pro e contro la stessa cosa. Anche un po’ contro sé stessi, come da tradizione. La prima ad avere difficoltà a spiegare al popolo perché scenderà in piazza è Elly Schlein. Al Manifesto dice che sfilerà «non per difendere l’esistente, ma l’esigenza di maggiore unità in linea con il manifesto di Ventotene: un’Europa federale. Andiamo in piazza per difendere i valori, non gli errori che pure l’Ue ha fatto e oggi la Commissione propone sul riarmo nazionale. Del resto, quando la squadra del cuore sbaglia una partita, non si cambia squadra, ce la si prende con l’allenatore finché non cambia schema di gioco». Ah, interessante: quindi vanno a prendersela con Ursula von der Leyen che ci vuole armati fino ai denti. Peccato che le motivazioni dell’adunata fossero ben diverse: supporto totale all’Ue scavalcata dagli Usa e tagliata fuori dalle trattative sull’Ucraina. Il problema è che la cara Ursula all’improvviso si è inventata la storia delle armi e prima il Pd è corso a battere le mani (come ancora sta facendo Paolo Gentiloni) per riflesso condizionato, poi si è accorto che in questo modo passava da guerrafondaio e ora tira il freno a mano. Scelta legittima, per carità, anche perché il riarmo è in effetti assurdo. Ma la svolta progressista appare ridicola: sono tre anni e passa che i dem si sgolano a ripetere che bisogna dare armi all’Ucraina e che bisogna sconfiggere Vladimir Putin, però adesso vogliono recitare la parte dei pacifisti. Anzi no, scusate, non è esatto nemmeno questo: la faccenda è ben più complicata di così. Proviamo allora a riassumere per capirci qualcosa. Il Pd è a favore della guerra a Putin e a favore dell’Ue a guida Von der Leyen (che ha votato). Ed è contro Trump che vuole far cessare il conflitto senza «una pace giusta» e maltratta l’Europa escludendola dalle trattative. Però il Pd è anche contro l’acquisto di armi, ma a favore della creazione di un nuovo esercito europeo. Cioè critica Ursula perché vorrebbe più Ursula. «Riteniamo che la strada proposta da Von der Leyen non sia quella che serve all’Ue: noi vogliamo una difesa comune, non il riarmo dei 27 Paesi», precisa (più o meno) Schlein. «Quel piano non prevede investimenti comuni e propone flessibilità per incentivare la spesa nazionale. Ma se non condizioni gli investimenti a progetti comuni non c’è nessun passo avanti». Par di capire che se a comprare le armi fosse direttamente la Commissione Ue, allora andrebbe bene. Ma allora perché vanno in piazza? Per chiedere che si comprino missili ma li usi la Von der Leyen? Per chiedere che non si comprino? Per cosa? Giustamente si raccapezza poco anche il mondo dell’associazionismo di sinistra. Per esempio Walter Massa, presidente nazionale dell’Arci, dichiara che la sua organizzazione non andrà in piazza perché quel corteo «rischia di trasformare un giusto sentimento in un sostegno incondizionato alle politiche di guerra che l’attuale Commissione, d’intesa con gli Stati membri, sta portando avanti». Bene. Ma se secondo l’Arci la piazza è guerrafondaia, perché invece il Pd dice di essere in piazza contro l’acquisto di armi? Forse è l’Arci a dover cambiare idea all’ultimo e partecipare? Boh. La più assurda - guarda un po’ - è la posizione dell’Anpi. «L’idea di Europa nata dalle macerie della seconda guerra mondiale, dalla sconfitta del nazifascismo, dal manifesto di Ventotene, era quella dell’unità europea fondata sulla democrazia, sulla pace, sul lavoro», scrivono i partigiani in un comunicato. «Questa idea è oggi clamorosamente tradita dal piano ReArm Europe proposto da Ursula von der Leyen. Il riarmo degli Stati fomenta e rafforza i nazionalismi, che sono la negazione dell’idea stessa di Unione europea. La riconversione dell’industria automobilistica in industria di guerra, una banca di guerra, un’economia di guerra, vuol dire prepararsi alla terza guerra mondiale. Destinare 800 miliardi agli armamenti vuol dire dare un colpo mortale all’Europa sociale, cioè al diritto all’istruzione e alla sanità pubblica, alla tutela dei salari e delle pensioni, ai servizi, al sostegno alle famiglie». Ecco, fin qui si capisce che l’Anpi - che all’inizio della guerra fu accusata di essere putiniana - sia decisamente contraria alla Von Der Leyen e ai suoi piani. Sarebbe logico pensare, quindi, che come l’Arci si astenga dal manifestare. E invece no: dichiara che sarà in piazza per la «manifestazione del 15 marzo promossa da Michele Serra». Motivo? «Si sostiene un’Europa libera e unita, cosa giusta e condivisibile. Ma specialmente davanti al piano ReArm Europe, va dichiarata senza ambiguità la natura pacifica e solidale dell’Europa che vogliamo, e che così è stata disegnata dai padri fondatori; di conseguenza va respinto nettamente il piano ReArm». Qualcuno dovrebbe dire all’Anpi che è proprio per fare felici gli europeisti come Serra che Ursula ha proposto di riarmarsi... Non solo: i partigiani dovrebbero essere informati che Serra e gli altri entusiasti tipo Carlo Calenda ed Ernesto Maria Ruffini hanno voluto la sfilata del 15 proprio perché non accettavano che la guerra in Ucraina si concludesse rapidamente secondo la volontà di Trump. Insomma, l’Anpi va a manifestare contro le guerre assieme a gente che invece di guerra ne vorrebbe ancora. A dirla tutta, ancora oggi la posizione di Repubblica è proprio quella: vogliono protestare perché non apprezzano come si sta risolvendo la partita ucraina. Lo sostiene, intervistato, Erri De Luca. Lo ha ribadito lo stesso Michele Serra giovedì sera da Corrado Formigli (però ha anche detto di essere contro il riarmo). Lo ha ripetuto ieri Gustavo Zagrebelsky sulla prima pagina del giornale: «II problema non è l’Europa sì o no, ma è la pace; o, meglio, è l’Europa come via della pace. Ma quale pace?», ha scritto. «La forza non conosce legge e chi ne dispone maggiormente vuole ridisegnare il mondo facendosi beffe dei diritti dei popoli. Se siamo disposti ad accettare che “così vanno le cose” e che “non c’è alternativa” alle potenze della terra, ai loro disegni, alle loro follie, stiamo a guardare. Se no, dimostriamo che il cuore batte ancora e l’intelligenza lavora ancora, usciamo all’aperto, stiamo insieme e contiamoci: siamo vivi. Il 15 di questo mese è l’occasione». Capito? Scendono in strada contro lo strapotere di Trump. Ma, almeno sulla carta, è proprio per fare fronte al disimpegno americano voluto da Donald che la Von der Leyen ha proposto di riarmarsi (cosa che in realtà agli Usa fa comodo, ma passi). Solo che gli amici di Repubblica altre armi per l’Ue non le vogliono. Altre armi all’Ucraina invece le manderebbero volentieri, ma a patto che le usino gli altri e crepino loro. Appuntamento in piazza, allora: tutti insieme, uniti, anche se non si sa bene per chiedere cosa. Alla fine, tuttavia, ha ragione Zagrebelsky quando, per cavarsi dagli impicci, scrive: «Ben venga una manifestazione pre-politica che, per ora, lasci in secondo piano la divisione e serva come valvola di sfogo delle nostre frustrazioni. Le frustrazioni, quando fanno massa, possono perfino trasformarsi in qualcosa di positivo, di tonico». Ecco, su questo tutti sono d’accordo: senza dubbio sono frustrati.
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro (Getty Images)
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro ha ordinato alle forze armate di essere pronte ad un’eventuale invasione ed ha dispiegato oltre 200mila militari in tutti i luoghi chiave del suo paese. il ministro della Difesa Vladimir Padrino Lopez sta guidando personalmente questa mobilitazione generale orchestrata dalla Milizia Nazionale Bolivariana, i fedelissimi che stanno rastrellando Caracas e le principali città per arruolare nuove forze.
L’opposizione denuncia arruolamenti forzati anche fra i giovanissimi, soprattutto nelle baraccopoli intorno alla capitale, nel disperato tentativo di far credere che la cosiddetta «rivoluzione bolivariana», inventata dal predecessore di Maduro, Hugo Chavez, sia ancora in piedi. Proprio Maduro si è rivolto alla nazione dichiarando che il popolo venezuelano è pronto a combattere fino alla morte, ma allo stesso tempo ha lanciato un messaggio di pace nel continente proprio a Donald Trump.
Il presidente del Parlamento ha parlato di effetti devastanti ed ha accusato Washington di perseguire la forma massima di aggressione nella «vana speranza di un cambio di governo, scelto e voluto di cittadini». Caracas tramite il suo ambasciatore alle Nazioni Unite ha inviato una lettera al Segretario Generale António Guterres per chiedere una condanna esplicita delle azioni provocatorie statunitensi e il ritiro immediato delle forze Usa dai Caraibi.
Diversi media statunitensi hanno rivelato che il Tycoon americano sta pensando ad un’escalation con una vera operazione militare in Venezuela e nei primi incontri con i vertici militari sarebbe stata stilata anche una lista dei principali target da colpire come porti e aeroporti, ma soprattutto le sedi delle forze militari più fedeli a Maduro. Dal Pentagono non è arrivata nessuna conferma ufficiale e sembra che questo attacco non sia imminente, ma intanto in Venezuela sono arrivati da Mosca alcuni cargo con materiale strategico per rafforzare i sistemi di difesa anti-aerea Pantsir-S1 e batterie missilistiche Buk-M2E.
Dalle immagini satellitari si vede che l’area della capitale e le regioni di Apure e Cojedes, sedi delle forze maduriste, sono state fortemente rinforzate dopo che il presidente ha promulgato la legge sul Comando per la difesa integrale della nazione per la salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale. In uno dei tanti discorsi alla televisione nazionale il leader venezuelano ha spiegato che vuole che le forze armate proteggano tutte le infrastrutture essenziali.
Nel piano presentato dal suo fedelissimo ministro della Difesa l’esercito, la polizia ed anche i paramilitari dovranno essere pronti ad una resistenza prolungata, trasformando la guerra in guerriglia. Una forza di resistenza che dovrebbe rendere impossibile governare il paese colpendo tutti i suoi punti nevralgici e generando il caos.
Una prospettiva evidentemente propagandistica perché come racconta la leader dell’opposizione Delsa Solorzano «nessuno è disposto a combattere per Maduro, tranne i suoi complici nel crimine. Noi siamo pronti ad una transizione ordinata, pacifica e che riporti il Venezuela nel posto che merita, dopo anni di buio e terrore.»
Una resistenza in cui non sembra davvero credere nessuno perché Nicolas Maduro, la sua famiglia e diversi membri del suo governo, avrebbero un piano di fuga nella vicina Cuba per poi probabilmente raggiungere Mosca come ha già fatto l’ex presidente siriano Assad.
Intanto il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso preoccupazione per i cittadini italiani detenuti nelle carceri del Paese, sottolineando l’impegno della Farnesina per scarcerarli al più presto, compreso Alberto Trentini, arrestato oltre un anno fa.
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«Il cuculo di cristallo» (Netflix)
Federica Picchi (Imagoeconomica)