2020-01-17
Prima delle truppe Erdogan manda navi davanti alla Libia per trivellare il gas
In vista della tregua da firmare a Berlino, la Turchia piazza le sue pedine: militari e concessioni. Tutto a discapito nostro.Sembra che ormai siano tutti d'accordo. Domenica si tira una linea e si firma una tregua in Libia. Probabilmente durerà poco. Ciò che conta è che tutti gli attori in campo (tranne il nostro governo) si stanno affrettando per approfittare delle ultime ore di «libertà» militare. Il generale Khalifa Haftar sa che dovrà perder e un po' di terreno ma ha già fatto presente, confermando la sa presenza all'incontro di Berlino, che non sarà disposto a tornare alla situazione precedente ad aprile 2019, quando ha lanciato l'operazione di avvicinamento a Tripoli. D'altro canto chi ha sostenuto con denaro e armi il premier Fajez Al Serraj deve piazare le proprie pedine energetiche. Non a caso ieri Recep Erdogan non ha in alcun modo smentito la notizia dell'invio di navi per avviare i carotaggi. «Mandiamo i nostri militari per rafforzare la stabilità della Libia e mantenere in piedi un governo legittimo. Faremo di tutto per garantire la sicurezza della Turchia, anche fuori dai nostri confini», ha detto il califfo di Ankara. «Prima Cipro, ora la Libia: abbiamo distrutto la trama ordita contro di noi e abbiamo firmato un protocollo sulla giurisdizione nelle acque del Mediterraneo orientale. Nel 2020 accelereremo le operazioni di ricerca e trivellazioni. La nave Oruc Reis effettuerà ricerche in campo sismologico». Tradotto, da qui a un anno e mezzo Erdogan sarà in grado di importare gas direttamente dalle acque libiche spezzando in due il Mediterraneo. Sarà un problema per i nostri schemi di approvvigionamento e l'intero equilibrio della parte orientale del bacino. Basti pensare a tutti gli investimenti di Eni tra l'Egitto, Cipro e Israele. Aver ceduto il terreno ai libici significa proprio questo: non essere in grado di controllare i flussi energetici. Tanto più che spetterà a Berlino sotto l'egida europea decidere la linea del fronte. Tirati i nuovi confini, si riassegneranno le risorse energetiche dei rispettivi perimetri. E il capo della Cirenaica farà di tutto per boicottarci. Il governo gialloblù aveva deciso di non avviare trattative con Bengasi e aveva puntato le sue fiche sull'Egitto di Abdel Fattah al-Sisi, che ora è caduto in disgrazia. Haftar dialoga con i russi e i Paesi del Golfo, mentre Serraj quasi esclusivamente con Ankara. Un post della pagina Facebook del governo di accordo nazionale (Gan) libico conferma che il premier parteciperà alla conferenza di Berlino. «Sarraj: assisteremo a Berlino per comunicare il nostro messaggio», è scritto nel post che dà conto di un incontro avuto dal premier ieri sera con leader politici e militari». Sempre ieri il Gan ha annunciato che Serraj aveva ricevuto un «invito ufficiale» alla conferenza di Berlino da parte del ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas. Il nostro premier si è invece diretto ad Algeri dove ha ribadito il medesimo concetto fatto pervenire a Bruxelles. «L'Italia è pronta a rimodulare la sua presenza in Libia nell'ambito di una missione europea sotto l'egida dell'Onu. E intende giocare un ruolo chiave anche alla conferenza di Berlino, dopo il nulla di fatto a Mosca che ha dimostrato come sul dossier libico nessun Paese può pensare di risolvere il problema da solo». Peccato si ostina a confondere uno smacco con un successo. Il tentativo di fare incontrare i due uomini forti a Roma è miseramente fallito e, anche se a distanza di due giorni Serraj si sia ripresentato a Roma, la palla è ormai altrove. «I recenti avvenimenti in Libia», ha detto il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, «ci impongono una riflessione su una possibile rimodulazione del nostro sforzo militare. Si potrebbe ipotizzare un intervento internazionale per dare solidità alla cornice di sicurezza, nel rispetto di un'eventuale richiesta di supporto avanzata alla comunità internazionale». Dovrà chiarire invece che cosa intende quando parla di collaborazione con i francesi in Sahel. Se si tratta di fare lavoro sporco e dare supporto senza intelligence, meglio lasciare perdere. Aiuteremmo Parigi a superare il momento difficile per poi riprendersi la scena senza alcun vantaggio per il nostro tricolore.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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