2022-03-21
Prima colazione. Ecco come fare il pasto più importante della giornata
L’abitudine peggiore è mangiare poco appena svegli, un cappuccino al bar non basta. Va assunto almeno il 20% delle calorie quotidiane. Nessun timore verso carboidrati e proteine: al mattino il metabolismo smaltisce meglio.«Ma il cornetto vuoto alla margarina proprio non va giù». Il boulanger milanese Alain Locatelli: «Come fa a essere croccante se non vede nemmeno il burro? E troppo spesso si usano additivi».Lo speciale comprende due articoliColazione da re, pranzo da principe e cena da povero consiglia un vecchio adagio la cui saggezza testeremo dopo. In realtà, ci sono anche italiani che invertono le cose e mangiano una colazione da povero o non la fanno proprio. Secondo una ricerca Yougov, l’11% degli intervistati fa colazione ogni tanto, il 4%, che diventa l’8% nel Nordest dello Stivale, non la fa mai e l’85% la fa ogni mattina. L’84%, poi, fa colazione in casa, l’11 al bar, e, soprattutto, si conferma la predilezione italiana per la colazione dolce: il 44% preferisce la colazione completamente dolce, il 7% la predilige salata, prevalentemente o totalmente. E, tra i dolci, si fanno strada anche dolci che non sarebbero italiani. Il 1° marzo si è festeggiato il Pancake Day, molto sentito nella cultura anglosassone. Una ricerca Bva Doxa ha mostrato come il pancake a colazione sia l’opzione per 1 italiano intervistato su 3 e per il 50% dei 18-35enni intervistati: non festeggeremo il Pancake Day ma certamente facciamo la festa ai pancake nel senso che… ce li mangiamo. Questa ricerca è stata commissionata dall’azienda Mulino Bianco che dal 2021 produce pancake pronti da consumare, confezionati come le crostatine, le camille, le nastrine e i flauti che sono e sono stati la colazione di tanti prima dell’avvento dei pancake nella produzione dell’azienda nata a Parma. La contaminazione non è nuova nel mondo della colazione. In passato, in Italia per colazione si mangiava latte e pane, latte e polenta nel Nord nel quale il mais era più diffuso che altrove, oppure ciò che era avanzato dal giorno precedente. Con il benessere è arrivata la virata della colazione verso il sapore più dolce di quello neutro del pane e verso un prodotto ad hoc anziché il consumo degli avanzi. La nostra colazione più consumata al bar è composta da cornetto e caffè o cappuccino. Il cornetto è una sorta di versione italiana del croissant però preparata con pasta brioche e, diversamente dall’originale francese, contiene una farcitura. Ma non tutti gli italiani vanno a cornetti. Si diffondono sempre più nuove concezioni del primo pasto della giornata, sia nei locali che propongono, per esempio, viennoiserie originali (croissant, pain au chocolat, pain aux raisins), colazioni alternative con yogurt, skyr, «latti» vegetali, centrifugati e preparazioni più rustiche come ciambelloni o crostate a fette, o più esotiche come muffin e rice pudding. Anche le colazioni salate conquistano punti: all’erbazzone a Reggio Emilia, al tramezzino a Roma e alla focaccia barese a Bari si affiancano le pietanze salate extraconfine, dalle uova strapazzate all’hash browns.Di qualunque nazionalità sia, la colazione deve essere abbondante: il modello triangolo rovesciato del monito della colazione regale, pranzo principesco e cena povera è corretto. Dopo una notte a digiuno, infatti, il nostro organismo ha bisogno di energie e se non le riceve funziona male. Come spiega il dettagliato report della Nutrition Foundation of Italy Documento di consenso sul ruolo della prima colazione nella ricerca e nel mantenimento della buona salute e del benessere, non fare colazione è una «scorretta abitudine». Non solo bisogna farla: bisogna farla bene perché «sebbene il 90% della popolazione dichiari di «fare la prima colazione», solo poco più del 30% consuma un pasto adeguato dal punto di vista quantitativo e qualitativo prima di affrontare la giornata; la maggior parte degli adulti si limita a un caffè al bar, o al massimo a un cappuccino», tendenza aggravata da quella a fare colazione «in piedi e frettolosamente e a curare sempre meno la qualità degli ingredienti che la compongono».Una prima colazione che fornisca almeno il 20% delle calorie quotidiane, lasciando il restante 80% a pranzo, cena e due spuntini (che nel proverbio sulla distribuzione calorica non compaiono ma sono abitudine di molti), è parte integrante di uno schema di dieta equilibrato. Una buona prima colazione deve prevedere fonti energetiche di rapido utilizzo e fonti a dismissione più lenta (carboidrati semplici e complessi), per prevenire l’ipoglicemia e il senso di fame reattivi e modulare il senso di sazietà nell’immediato (fino al pasto successivo) e nel corso dell’intera giornata. Non solo carboidrati a differente indice glicemico, quindi, ma anche proteine e grassi entrano necessariamente nel modello ottimale di colazione, spiega la Nfi, per la loro capacità di influenzare e prolungare il senso di sazietà. La presenza di alimenti diversi favorisce anche l’assunzione di quantità non trascurabili di micronutrienti, cioè vitamine e sali minerali. Così facendo, si rischia meno lo sviluppo di sovrappeso e obesità, a tutte le età. Seppure non si segua un’alimentazione a piramide invertita, è importante tenere presente che il metabolismo, grazie alla produzione degli ormoni cortisolo e insulina, presenta la sua massima attività al mattino, picco che poi decresce fino a raggiungere il suo minimo operativo nel tardo pomeriggio. Possiamo anche non mangiare tanto a colazione e assumere il giusto a pranzo e poco la sera, se siamo abituati a mangiare più a pranzo che a colazione.Però ricordiamoci che il nostro normale metabolismo smaltisce meglio al mattino. Il pranzo ideale prevede carboidrati, proteine e verdure, mentre la cena ideale è composta da proteine e verdure: consumando troppi carboidrati di sera avremmo un eccesso di zuccheri che non sarebbero adeguatamente smaltiti, essendo la produzione serale di insulina bassissima, con conseguente accumulo di grassi. Consumare carboidrati a colazione, invece, permette uno smaltimento degli stessi più efficiente e affiancarci proteine e grassi consente di restare sazi più a lungo, nella mattinata e a catena nella giornata.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prima-colazione-ecco-come-fare-il-pasto-piu-importante-della-giornata-2656996846.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-il-cornetto-vuoto-alla-margarina-proprio-non-va-giu" data-post-id="2656996846" data-published-at="1647809171" data-use-pagination="False"> «Ma il cornetto vuoto alla margarina proprio non va giù» Alain Locatelli, classe 1988, bergamasco di Bonate di Sopra, è l’enfant prodige della boulangerie-pâtisserie francese in Italia: già nel 2017 aveva aperto il suo locale La boulangeria pastisseria in viale dell’Innovazione, a Milano, diventato immediatamente apprezzatissimo per il pane e le viennoiserie, lievitati compresi come il panettone. Adesso è in viale Coni Zugna con Colazioni&Gelato, dove ha temporaneamente sospeso la panificazione in attesa di aprire un laboratorio più grande, ma ai croissant affianca d’estate il gelato e d’inverno il panettone. La sua poetica - per lui che in prima battuta doveva fare il musicista anche panificare è arte - è racchiusa nella scritta al neon che campeggia nel locale, «Life is pain au chocolat», che è anche il suo hashtag preferito sui social network. Mentre lo intervistavamo, di pomeriggio, a locale chiuso (è aperto dal mercoledì alla domenica dalle 8 alle 13 e leggendo scoprirete perché 5 giorni su 7), un signore anziano ha bussato, aperto la porta e gli domandato: «È lei quello dei croissant speciali?». Sì, è lui. Alain, come mai oggi un giovane anziché fare l’influencer decide di darsi a panetteria, viennoiserie e gelateria? «Principalmente perché amo i dolci. Sono nato con il gusto del dolce. Non disdegno il salato, ma il dolce ha quella marcia in più». Ha fatto di gusto virtù? «Sì. Mio zio faceva il pasticcere, quindi un po’ è “di famiglia”; aggiungiamo questa passione per i dolci… Ho unito l’utile al dilettevole». Quindi lei era il bambino che osservava la magia delle trasformazioni che faceva suo zio? «Sì sì, guardavo come si comportava il forno, come si sviluppava la torta, la sfoglia… Sono cresciuto con quest’ammirazione, volevo frequentare l’istituto alberghiero, ma dalla provincia di Bergamo avrei dovuto alzarmi molto presto e all’epoca non avevo tanta voglia. Optai per l’istituto più vicino a casa». Che non aveva niente a che fare con la cucina. Però la passione continuava a richiamarla verso di sé… «Sì, mi sono sempre dilettato a fare dolci a casa, stare in cucina è anche un antistress». E a un certo punto questa passione è diventata studio e professione. Mi racconta le tappe? «Volevo fare il musicista, la mia vera passione adolescenziale e attuale, ma è andata male. Dovevo trovare un lavoro e ho deciso di intraprendere questa professione. Sono andato in Svizzera a studiare il cioccolato, ma era poco dinamico. Poi, con la panificazione è stato amore a prima vista. Sono andato a fare l’apprendista in boulangerie a Parigi, poi ho frequentato corsi di formazione lì e ho capito di avere un dono. Non tutti riescono ad avere manualità e regolarità: bisogna scoprire sé stessi e far fuoriuscire il lato creativo. Mi dicevano che ero bravo e sono andato avanti». Dopo che ha imparato l’arte della boulangerie-pâtisserie è tornato in Italia. «Avevo il sogno di mettermi in proprio e sono arrivato a Milano, che stava crescendo tanto e diventando più internazionale». Ci spiega la differenza che in Italia non è tanto marcata, ma in Francia sì, tra viennoiserie, i dolci da forno, la boulangerie, la panetteria, e la pâtisserie, i dolci con creme? «La viennoiserie sono i dolci da colazione. Qui in Italia, siccome sono dolci complicati, spesso si preferisce comprare surgelato ciò che è chiamato impropriamente croissant, va solo cotto in forno. La legge lo permette, ma a noi piace complicarci la vita. La vera viennoiserie è dedizione, tecnicismo e tempo, tanto tempo». Le viennoiserie francesi sono una specie di triade. «Il croissant, il pain aux raisin e il pain au chocolat. Poi ci sono specialità in aggiunta, ma la vera triade è questa». In una boulangerie io trovo questi. «E la brioche. Nella viennoiserie abbiamo la gamma degli sfogliati, la triade più il pain suisse e altre specialità, e la gamma dei lievitati, che si chiamano brioche (anche il panettone fa parte di questa famiglia)». Noi pensiamo che cornetto sia semplicemente la parola italiana che traduce quella francese croissant, ma ci sono differenze fondamentali tra il nostro cornetto e questo monumento della viennoiserie che è il croissant. «Cambiano gli ingredienti: nel croissant abbiamo farina e burro, ma non ci sono le uova. Nel cornetto, abbiamo un impasto brioche, una pasta arricchita di uova. Il cornetto all’italiana è una pasta stratificata ma non tanto bene, perché l’uovo ha la proprietà di ammorbidire la croccantezza, nonché dare una sensazione di pienezza quando si mangia. Il cornetto è un figlio minore del croissant. La maggior parte dei cornetti italiani non vede nemmeno il burro. Abbiamo tantissimi additivi. Si usano margarine, grassi idrogenati che a lungo andare fanno anche male al nostro sistema cardiovascolare». C’è anche la differenza di farcitura. Il croissant non è farcito, il cornetto sì, escluso il cornetto vuoto. «Sono farciti per mascherare l’involucro, la pasta stessa, perché fa talmente schifo…». Ce lo dice così, schietto? «Beh sì, il cornetto fatto con la margarina, figuriamoci che “roba buona” sia… Per ovviare a questo problema il cornetto viene super farcito, arricchito con crema anche fatte con polverine. Con la crema, un cornetto non buono diventa un po’ più apprezzabile». Considerato che il cornetto vuoto è consumato prevalentemente da chi deve stare attento alla linea, ai grassi, agli zuccheri, secondo lei in Italia abbiamo un gusto più spostato sul ripieno del cornetto che sulla sua pasta? «Sì». Il croissant è meno dolce del cornetto? «Sì. Il croissant ha note sapide e si può diversificare. In Francia posso comprare un croissant, portarlo a casa e ci posso mettere anche due etti di mortadella, in questo caso diventa un croissant salato». Si rispetta la classicità della ricetta originale: il croissant è quello, se poi voglio fare la rivisitazione la farò io, ma il boulanger non riempirà mai il croissant con crema pasticcera o affettati, giusto? «No, mai. I francesi sono ligi. Se vuoi il cioccolato, c’è il pain au chocolat, se vuoi l’uvetta c’è il pain aux raisins, se vuoi la crema pasticcera c’è il pain suisse. Poi si trovano altre forme e si studiano farciture apposite. Ma farcire un croissant non ha senso. Il croissant ha la forma della perfezione e inserire qualcosa vuol dire deturparlo. È un colpo al cuore». Di solito il rigore tradizionalista appartiene ai «vecchi», lei è un giovane classicista. «Anche a me piace innovare, trovare nuove forme, che poi spesso sono riscoperte, ma la semplicità è completa di suo. Less is more». La sua pare una viennoiserie militante. Di solito l’impegno volge a cambiare la cose, il suo invece tende a mantenere il croissant com’è e come dev’essere. Questo arroccarsi sul mantenimento della vera norma, nel momento del tripudio delle varianti, è la vera ribellione. «Siamo arrivati a un punto che non puoi aggiungere altro. Il panettone è buono con uvetta, cedro e arancia». Quel panettone che subisce il destino del cornetto... Forse anche in questo caso copriamo un cattivo impasto con le creme? «Queste pastrognate che vedo in giro non sono panettoni, sono varianti che panettoni non possono essere». Alain, si dice che faccia bene fare colazione lentamente, lei ha allertato sul fatto che la colazione deve essere lenta anche per chi la prepara, cioè chi cucina ha bisogno di riposo. Ha fatto un post su Instagram sulla necessità del doppio day off di riposo nella ristorazione, contro «sbagliate visioni capitalistiche» e «ipocrite goliardie di stakanovismo», che ha avuto migliaia di like ed è stato ripreso da food blog e quotidiani. «Stare tante ore chiusi su sé stessi in laboratorio e ripetere questa routine ogni giorno esaspera e fa perdere tutta la creatività. In Francia ci sono 35 ore lavorative settimanali. Un solo giorno di stacco non basta, ricarica a livello fisico ma non mentale. Staccare, evadere due giorni fa tornare lo stimolo di tornare in laboratorio».