2020-12-10
Prevale l’attaccamento alla poltrona. Il nuovo Mes passa grazie ai grillini
Luigi Di Maio (Samantha Zucchi/Insidefoto/Mondadori Portfolio via Getty Images)
La riforma del salva Stati approvata con 297 sì alla Camera e 156 al Senato. Pochi distinguo ininfluenti nel M5s che per il resto ingoia il diktat. Tragicomica promessa di Giuseppe Conte: «A Bruxelles trasformeremo il Fondo».«Un Punt e Mes amaro, molto amaro...». Alla buvette di Palazzo Madama, che a differenza di quella della Camera è passata indenne attraverso la bufera del Covid e continua ad essere operativa, la battuta aleggiava da giorni, e finalmente i più sarcastici tra i senatori sovranisti hanno potuto esibirla. È successo al passaggio di qualcuno dei «duri e puri» grillini, ieri all'ora di cena, subito dopo il voto dell'Aula sulla risoluzione di maggioranza che ha dato pieno mandato al premier Conte, in vista dell'imminente Consiglio Europeo sulla famigerata riforma del fondo salva Stati. Alla quale, come è noto, l'ala sedicente ortodossa di M5s aveva giurato eterna contrarietà, prima di trangugiare, appunto, l'amaro calice. Morale della favola: il documento di maggioranza è stato approvato sia alla Camera che al Senato senza particolari scossoni o psicodrammi, al netto di alcune manifestazioni di dissenso tutto sommato digeribili (quando non concordate) per il gruppo dirigente pentastellato, poiché maturate al di sotto della soglia di rischio numerico per il governo. Un esito ampiamente previsto su queste colonne, che ha cominciato a prendere corpo quando la pasionaria ex ministro Barbara Lezzi, con un lungo post pubblicato di Facebook nella mattinata di martedì, aveva annunciato il dietrofront dei suoi e che è stato possibile anche perché che il rischio, per il governo, era mitigato a monte dal fatto che il voto sulla risoluzione in questione, a differenza per esempio da quello sullo scostamento di bilancio, non necessitava della maggioranza assoluta dei componenti di ogni Camera (316 alla Camera e 161 al Senato) ma della maggioranza dei presenti in aula. C'era quindi un discreto margine di manovra sul quorum grazie al gioco delle astensioni e della non partecipazione al voto. Detto questo, lo scenario che emerge (in particolare dall'emiciclo di Palazzo Madama) non è, sul piano politico, dei più edificanti per la compagine giallorossa, se si considera che quando il voto ha riguardato la parte più sensibile della risoluzione (che alla Camera è stata spacchettata e votata per parti separate), e cioè quella che chiede a Conte di «finalizzare l'accordo politico sulla riforma del trattato del Mes», i numeri sono andati repentinamente al di sotto delle soglie psicologiche con cui usualmente si indica il minimo sindacale per una maggioranza politica degna di questo nome: 297 alla Camera e 156 al Senato.Da parte sua, Giuseppe Conte, nei suoi circa 20 minuti di intervento, ha svolto il compito, senza peraltro risultare particolarmente convincente, di blandire i dissidenti M5s, rassicurandoli sulla determinazione del governo italiano nell'ottenere una profonda revisione del Mes, che è stato definito «paradigma obsoleto», di cui è necessario «riconsiderare in maniera radicale struttura e funzione affinché sia trasformato in uno strumento diverso». Un ragionamento, quello del premier, che non ha pienamente fatto breccia tra i grillini scettici, come poi è stato dimostrato dal pallottoliere, soprattutto nella parte in cui ha asserito che «l'Italia si farà promotrice di una proposta innovatrice» e che un voto positivo del Parlamento sulla risoluzione avrebbe rafforzato la posizione del nostro Paese («un ruolo da protagonista») per indirizzare il Mes verso la forma desiderata. La vera preoccupazione di Conte, vale a dire scongiurare il trasloco da Palazzo Chigi, è emersa nei passaggi in cui ha implorato coesione tra le forze di maggioranza, affermando che «il confronto dialettico è segno di vitalità e ricchezza, ma è salutare che sia fatto con spirito costruttivo e che non ci si distragga dagli obiettivi e si disperdano energie». Tra le righe degli interventi dei capigruppo di maggioranza, nonostante ciò, la fragilità dell'esecutivo è emersa in modo palese, e se una punta polemica era lecito attendersi dagli interventi dal renziano Ettore Rosato a Montecitorio e da Renzi in persona (applauditissimo dall'opposizione) al Senato nel pieno del braccio di ferro tra quest'ultimo e Conte sul Recovery fund, meno scontate erano alcune ruvidità dell'intervento dei dem, soprattutto di Graziano Delrio, che si è rivolto direttamente al premier chiedendo «umiltà e capacità di ascoltare un Paese che sta soffrendo», contrapponendogli l'immagine di papa Francesco in preghiera all'alba sotto la pioggia di Roma di fronte la statua dell'Immacolata. Più prosaica, dai banchi dell'opposizione, la leader di FdI Giorgia Meloni, che ha impostato tutto il proprio intervento sull'incoerenza di M5s, chiedendo un sussulto di dignità e un «grande e liberatorio Vaffa-day» nei confronti del presidente del Consiglio. I suoi parlamentari, per rafforzare il concetto, sono poi andati in Piazza Montecitorio per un flash-mob con tanto di magliette con la scritta «M5s=Mes», mentre i colleghi della Lega, prima di essere arringati verso sera dall'intervento di Salvini al Senato, applaudivano i deputati grillini che chiedevano la parola in dissenso dall'ala governista del Movimento, risultati poi il doppio di quelli ufficiali. Quanto ai vertici pentastellati, nulla di diverso da quello che ci si aspettava, coi capigruppo Crippa e Licheri intenti a ripetere senza particolare applicazione il mantra del «voto che non è sull'impiego ma sulla riforma del Mes», in attesa del prossimo refrain, verosimilmente sul Recovery fund .
Jose Mourinho (Getty Images)