2022-11-13
Preso D’Onofrio: capo degli arbitri e narcos
Maxi blitz contro una gang di trafficanti che importava droga dalla Spagna: finisce in carcere pure il procuratore dell’Aia. Già ai domiciliari per un carico di 40 chili di marijuana, aveva comunque ottenuto la nomina dalla Figc e vinto il premio Lobello.Diventare il numero uno dei procuratori degli arbitri di calcio della Figc, con una condanna per spaccio a 2 anni e 8 mesi e per di più agli arresti domiciliari, non è di sicuro cosa di tutti i giorni. Ma in Italia può succedere anche questo. Anzi, può accadere persino che la stessa Aia (Associazione italiana arbitri), decida persino di premiarti con il premio Concetto Lo Bello, «a coronamento di una carriera di alto profilo». Lo sa bene Rosario D’Onofrio, quarantaduenne nato a Capua e residente a Garbagnate Milanese, ex ufficiale dell’esercito (poi sospeso per una finta laurea), una vita da affermato arbitro di calcio nelle serie minori, ma allo stesso tempo al vertice di un’organizzazione criminale capace di spostare quintali di marijuana o hashish dalla Spagna all’Italia per centinaia di migliaia di euro.Nei giorni scorsi la Procura di Milano ha chiuso l’operazione Madera, all’apparenza una classica operazione antidroga, con collegamenti persino con il clan mafioso barese degli Abbaticchio, iniziata nel 2020 durante il lockdown. In realtà, l’inchiesta - coordinata dai pm Rosario Ferracane e Sara Ombra della Dda -, vede tra le maglie dei 42 indagati (di cui 26 in carcere) per traffico internazionale di stupefacenti, anche D’Onofrio. Sì, va specificato «anche», perché il procuratore degli arbitri della Figc era già stato arrestato il 20 maggio del 2020, quando a bordo di un furgone Iveco era stato fermato sull’autostrada Milano-Laghi con a bordo 40 kg di marijuana in pacchi da 1 kg ciascuno. Ora, difeso dall’avvocato Niccolò Vecchioni, si trova nel carcere di San Vittore. D’Onofrio, una doppia vita ancora tutta da decifrare, era già stato condannato con rito abbreviato il 21 ottobre del 2020 - con sentenza divenuta irrevocabile il 9 settembre del 2021 - , alla pena di 2 anni e 8 mesi per spaccio di sostanze stupefacenti. Eppure, nonostante la condanna e gli arresti domiciliari, il 6 marzo del 2021 la Figc e l’Aia (con i presidenti Gabriele Gravina e Alfredo Trentalange) lo avevano nominato come numero uno della Procura arbitrale, ovvero procuratore degli arbitri italiani. Si tratta di una carica puramente onorifica, sostanzialmente non remunerata (riceveva solo il rimborso spese quando si spostava a Roma), ma che gli permetteva ancora di designare gli arbitri nelle serie minori. «Sono sconcertato» spiegava ieri Gravina, specificando di aver chiesto «riscontro al presidente Trentalange sulle modalità di selezione del procuratore, in quanto la sua nomina è di esclusiva pertinenza del comitato nazionale su proposta del presidente dell’Aia. Una cosa è certa, la Figc assumerà tutte le decisioni necessarie a tutela della reputazione del mondo del calcio e della stessa classe arbitrale». In ogni caso, di chiunque sia la responsabilità della nomina, in questi 2 anni e mezzo D’Onofrio è andato avanti e indietro dalla sua casa agli uffici dell’Aia e della Figc di Roma, godendo quindi di permessi speciali da parte del tribunale di Milano. A luglio del 2022 ha ricevuto anche dall’Aia il premio Concetto Lo Bello. Possibile che nessuno si sia accorto di nulla? Tra gli stessi inquirenti, che hanno lavorato all’indagine, c’è stupore per come in questi anni D’Onofrio abbia continuato indisturbato la sua carriera nel mondo degli arbitri italiani. Di sicuro, quando fu arrestato nel 2020, il fatto che la notizia del suo arresto non fosse finita sui giornali aveva insospettito persino i suoi soci. Tanto che un mese dopo, alcuni di loro, aveva iniziato a non credere all’arresto, «arrivando al punto di ipotizzare che fossero stati creati ad hoc dei falsi verbali della polizia giudiziaria» si legge nell’ordinanza «per simulare il sequestro del carico in quanto a suo giudizio i giornali non avevano pubblicato alcuna notizia a riguardo». Nelle carte dell’ordinanza di custodia cautelare emerge il vero spaccato della vita di D’Onofrio. Soprannominato Rambo o il militare, o Rosco, nickname moistmaw, si occupava dello stoccaggio e della logistica della droga. Ma era anche quello che avrebbe organizzato le spedizioni punitive per recuperare somme di denaro, con pestaggi e rese dei conti nello stile dei narcotrafficanti colombiani. Nei primi mesi del 2020 D’Onofrio si era fatto prestare una mimetica da un commilitone per girare durante il lockdown e trasportare così con più tranquillità i carichi di stupefacenti. Il 1° aprile, durante una spedizione e dopo essere stato fermato in un controllo, aveva telefonato alla compagna per vantarsi: «Oh mi ha appena fermato la polizia locale. M’ha visto in divisa, il tesserino, m’ha salutato militarmente e ha detto: “no, no, grazie... buona giornata!”». E la donna gli aveva risposto: «Ah minc… meno male. Eh, hanno fatto il loro lavoro amo!». Ma quello non sarà il primo controllo. Perché poco dopo è la polizia che lo ferma. «M’ha appena fermato la polizia! Tra Guardia di finanza, carabinieri e polizia è pieno stamattina. M’ha visto in divisa e subito mi ha lasciato andare». In quei giorni furono diversi gli spostamenti nell’hinterland milanese. Il 2 aprile ritira 45.000 euro da un soggetto non identificato, ma sempre in quei giorni viene intercettato mentre si sposta tra magazzini o in cerca dei suoi sodali. A marzo, mentre l’Italia era bloccata, il gruppo aveva persino pensato di usare un carro funebre per superare i controlli delle forze dell’ordine. «Il fumo (hashish, ndr) mettilo con il morto, fra’», scherzavano al telefono.
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