2018-05-04
Il vero piano del Colle: si va avanti con Gentiloni
Alla fine rispunta il piano A, quello che Sergio Mattarella studiò sin dall'inizio, addirittura prima che il Parlamento venisse sciolto e le elezioni fossero indette. Il capo dello Stato, molto prima del 4 marzo, giorno che ha certificato l'assenza di un vincitore ma il frazionamento politico, aveva valutato l'idea di lasciare in sella Paolo Gentiloni, approfittando del consenso conquistato dall'uomo in grigio negli ultimi mesi.In fondo, si deve essere detto l'inquilino del Colle confidando il ragionamento a pochi collaboratori, l'attuale presidente del Consiglio non disturba. Per parlare parla poco e così si fa notare appena il necessario. La sua presenza è a volte talmente invisibile che nessuno, nemmeno Matteo Renzi, si sente oscurato. E poi, facendo il meno possibile, cioè il necessario e nulla di più, il premier non irrita nessuno, evitando di far sorgere conflitti fra le forze politiche. Il suo profilo, deve essere stato il ragionamento di Mattarella, è perfetto per mantenerlo al suo posto in caso di stallo. Perché, nel caso non ci fosse soluzione e non si riuscisse dopo le elezioni a formare un governo, qualcuno che stia a Palazzo Chigi e partecipi ai vertici internazionali ci vuole. Ma se le forze politiche non si mettono d'accordo e se non si raggiunge un'intesa su un possibile traghettatore, cioè su qualcuno che porti l'Italia fuori dal guado, allora bisogna tenersi chi c'è.Che il capo dello Stato pensasse a un piano A, scommettendo sulla paralisi del sistema, lo avevamo raccontato appunto tempo fa, prima che la legislatura giungesse al capolinea e le Camere fossero sciolte. Nell'articolo riferivamo anche l'intenzione del presidente di non far dimettere Paolo Gentiloni, per conservarlo nella carica di premier nel pieno dei suoi poteri. Un capo del governo dimissionario inevitabilmente deve attenersi al disbrigo degli affari correnti e di regola dovrebbe astenersi dal fare nomine che impegnino i successori o anche dal decidere provvedimenti che dovrebbero essere di competenza di chi ha ricevuto il mandato degli elettori. Con la benedizione del capo dello Stato, l'attuale presidente del Consiglio ha infatti schivato le dimissioni anticipate, formalizzando l'addio solo quando si sono insediate le nuove Camere. Di fatto le sue sono state dimissioni proforma, che però al tempo stesso hanno allungato la vita dell'esecutivo, portandolo fino al limite. È vero che qualche ministro ha già smobilitato, lasciando l'incarico per occuparne un altro (è il caso di Maurizio Martina che, abbandonata l'Agricoltura, fa finta di essere il segretario del Pd, ma anche di Graziano Delrio, che da capo delle Infrastrutture ha traslocato alla Camera come capogruppo del Pd), ma il governo, seppur dimissionario da poco più di un mese, è in carica e potrebbe restarci.Il piano A, infatti, prevedeva proprio questo. Perché cercare un altro presidente del Consiglio quando ne abbiamo già uno che non dà fastidio a nessuno e si può lasciare al suo posto tutto il tempo che occorre? Gentiloni piace a Bruxelles e ai nostri partner internazionali. Piace anche all'Industria e ai poteri forti, perché è talmente debole che non li impegna in sgradevoli bracci di ferro. Piace perfino agli italiani, perché in pochi si sono accorti che c'è. Dunque, si deve essere ridetto il capo dello Stato, perché devo nominare Sabino Cassese, un giovanotto di 80 anni, per fargli guidare un gabinetto balneare? Sì, potrei tirar fuori dal cilindro di prestigiatore qualche altro nome, tipo quello di Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, o di qualche barbagianni della burocrazia ministeriale. Ma che senso avrebbe? In Europa ci metterebbero tempo a imparare il cognome del nuovo premier e quando alla fine ne avrebbero appreso la pronuncia sarebbe già ora di cambiarlo. E poi, anche per i nuovi ministri, che senso avrebbe: sei mesi per capire dove stanno di casa e altri per comprendere di che cosa si dovrebbero occupare e poi sarebbe già ora di fare le valigie.No, deve aver pensato Mattarella. Meglio lasciare Gentiloni al suo posto, evitando di complicarsi la vita con qualcun altro. In fondo, la soluzione migliore è continuare come si è sempre fatto.E dunque ecco tornato di attualità il piano A. Dopo i giorni delle inutili consultazioni, gli insulti fra Di Maio e Berlusconi e poi tra Di Maio e Salvini, le accuse al vetriolo fra le correnti del Pd, dopo cioè due mesi interi a discutere su quale alleanza di governo fosse possibile, come nel gioco dell'oca si torna al punto di partenza, ovvero a Gentiloni, che in caso di blocco rimarrebbe al suo posto, il presidente del Consiglio che nessuno ha voluto a che adesso in tanti pregano di restare. Sei mesi o un anno. Il tempo di sbrigare alcune faccende come la legge di bilancio e altro. Nel frattempo, in Parlamento, i partiti dovrebbero provare a trovare un accordo per varare una legge elettorale che consenta di votare, ma senza gli effetti del Rosatellum. I 5 stelle e la Lega devono cioè smontare il piano Renzi, quello che non assegnava la vittoria a nessuno, per provare a varare un piano per un Paese normale. Riusciranno? Vedremo nei prossimi mesi. Intanto ci siamo giocati le prime otto settimane e ci tocca il piano A, una beffa per più della metà degli italiani che hanno votato per il cambiamento.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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