
Sperimentato sulla A33 Asti-Cuneo un sistema via app più semplice ed economico.C'è un'azienda nata a Milano che può distruggere il monopolio di Telepass (e di Atlantia) sui pagamenti dei pedaggi autostradali. Si tratta di Powerway, nata 4 anni e mezzo fa, realtà imprenditoriale che potrebbe sconvolgere per la prima volta un'esclusiva che dura ormai da trent'anni in Italia e su cui i Benetton continuano a macinare guadagni nonostante la frattura con il governo di Giuseppe Conte dopo il crollo del ponte Morandi di Genova. Non a caso Powerway è già oggetto di interesse di fondi internazionali, che hanno capito il potenziale di un nuovo sistema meno costoso, più veloce e più utile per gli automobilisti. Del resto Telepass, società nata durante i mondiali di calcio in Italia nel 1990 e controllata dal gruppo Autostrade (Benetton), è riuscita a superare negli ultimi vent'anni anche le direttive dell'Unione europea che in teoria avrebbero liberalizzato il mercato dei pagamenti ai caselli. È dal 2004, infatti, che è stata introdotta possibilità di un telepedaggio europeo. Tutti i paesi possono uniformarsi, ma l'Italia è rimasta ancorata al monopolio di Autostrade e Telepass. Stiamo parlando di un mercato, secondo dati Aiscat, che nel solo 2018 ha prodotto 8 miliardi e 300 milioni di euro, di cui i pagamenti tramite Telepass sono il 62% del totale, quelli automatici il 23% mentre i manuali solo il 15%. A fine 2018 Telepass registrava 8,6 milioni utenti. Non senza polemiche. Perché negli ultimi anni il gestore del sistema di riscossione automatica dei pedaggi ha creato non poche polemiche, tra ricorsi all'Antitrust da parte di Federconsumatori e appelli inascoltati del Codacons. Va ricordato inoltre che dallo scorso anno i Benetton hanno deciso di cedere una quota minoranza dell'azionariato di Telepass, dopo averne preso il controllo totale tramite Atlantia nel 2016. A quanto risulta alla Verità, non è stato semplice per Powerway farsi largo in un mercato bloccato e monopolista. Sono serviti 4 anni e mezzo per riuscire a installare sulla prima autostrada un sistema meno costoso per gli utenti, più rapido e persino meno inquinante. È in questo momento in uso, da febbraio di quest'anno, sulla tratta A33 (Asti - Cuneo) del Gruppo Gavio. Ha dimostrato di avere la capacità di effettuare un transito autostradale in circa 60 millisecondi. In questo modo non sarà più necessaria la scatoletta in plastica da montare sul veicolo, batterie e comunicazione 5,7 Ghz tra veicolo e pista, dando un importante contributo alla sostenibilità ambientale. Tutto avverrà tramite applicazione su smartphone. Il costo di Powerway è di 1 euro al mese contro i 2,5 mensili di Telepass per gli stessi servizi. In sostanza rappresenta per la prima volta nel mercato dei pedaggi la vera alternativa al Telepass ma senza l'utilizzo di apparecchi a bordo. Per aderire il cliente dovrà semplicemente scaricare l'applicazione iOS e Android, quindi registrarsi inserendo i propri dati personali, targa e Iban, accettare, diventando così subito attivo. Il sistema, dialogando in tempo reale con l'infrastruttura posta ai caselli, consente il pagamento del pedaggio autostradale dopo la lettura della targa (frontale e posteriore) del veicolo che transita. Ad oggi Powerway vanta già 850.000 letture di targhe effettuate, di più di 47 paesi esteri. Ha una velocità media di controllo di 58 chilometri all'ora con sbarra, ma può arrivare a leggere anche automobili che viaggiano a 250. Non ci sono problemi di privacy, perché i dati restano solo per 24 ore a disposizione delle forze dell'ordine, poi vengono cancellati. Il 10 Febbraio 2020 Powerway ha effettuato la prima transazione reale sulla Asti Cuneo. Ora si guarda all'intero sistema autostradale. Si potrebbe coprire il 100% della rete entro gli inizi del 2021. Sempre che i Benetton non si mettano di traverso.
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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