2021-10-20
Poveri e giovani sono i più scettici sul passaporto vaccinale
Guendalina Graffigna (Facebook)
Per Guendalina Graffigna, docente e direttore dell'EngageMinds Hub, «esistono segnali di frustrazione e sfiducia nel sistema che possono diventare problematici».Non sono quattro reietti come raccontano da mesi i media. E non sono neppure «destinati a rimanere in casa come sorci», secondo l'elegante prosa del virologo cotonato Roberto Burioni. I diffidenti del green pass sono il 45% degli italiani, a essere prudenti; quasi mezzo stivale, per nulla sovrapponibili ai no-vax con i quali hanno ben poco da spartire. Nonostante l'ostinata sottovalutazione governativa, la sensazione era palpabile nelle piazze della protesta (più gremite di quelle di Carlo Calenda) e nelle manifestazioni perduranti (più partecipate di quelle per Greta Thunberg), ma adesso c'è la certezza statistica. È contenuta in uno studio del Centro di ricerca dell'università Cattolica, sede di Cremona, che dal febbraio 2020 sta monitorando gli effetti della pandemia sui comportamenti della popolazione italiana per valutarne gli effetti psicologici e gli atteggiamenti sociali. Il risultato conferma che soltanto poco più della metà del Paese (il 56%) ritiene che il certificato verde sia una misura efficace a ridurre il rischio di contagi e di conseguenza utile nella lotta al coronavirus. C'è un dato anche più significativo: solo il 52% ritiene che sia giusto vietare l'accesso nei luoghi di lavoro ai cittadini senza patente vaccinale, un numero che rappresenta un semaforo rosso. Quasi metà degli italiani non accetta di buon grado lo sfregio ai diritti costituzionali. Il governo di Mario Draghi ottiene un credito lievemente maggiore (il 60%) quando sottolinea che il green pass è «uno strumento di responsabilità sociale».I risultati della ricerca di un ateneo privato indipendente cambiano sostanzialmente i termini del dibattito in atto; non siamo in presenza di gruppi residuali di ribelli o spaventati o fanatici da Capitol Hill de noantri, ma di mezza Italia che per dirla alla Oscar Luigi Scalfaro «non ci sta». Lo fa più o meno rumorosamente, lo fa in massima parte dentro un perimetro di sobria responsabilità, ma è pronta a fare a coriandoli il green pass. Il sondaggio è autorevole nel metodo e nello scopo: è stato organizzato sentendo un campione di 6.000 persone rappresentative per sesso, età, appartenenza geografica, occupazione e ha un obiettivo eminentemente scientifico, lontano da ogni manipolazione politica. Ce lo spiega Guendalina Graffigna, docente ordinario di psicologia della salute e dei consumi dell'università, e direttore dell'EngageMinds Hub, nato per monitorare i comportamenti impattanti anche sulle abitudini alimentari. «Dalla nostra ultima rilevazione emerge che il passaporto vaccinale, approvato da poco più del 50% degli italiani, non raggiunge la base per un pieno consenso sociale. Dai dati emergono sacche cospicue di popolazione che restano incerte rispetto all'utilità del certificato verde e all'obbligo del suo utilizzo. Potremmo definirli “gli esitanti del green pass"; si tratta di persone che mostrano segnali di fatica, frustrazione e sfiducia verso il sistema. Un atteggiamento che nel lungo termine può diventare problematico».Nonostante la narrazione mediatica al cloroformio, le restrizioni più dure del pianeta non potevano passare inosservate. Scendendo nel dettaglio, gli over 60 sono i più fedeli alla linea di palazzo Chigi e «si sentono più sicuri» mentre dai 35 ai 59 anni comincia a montare la diffidenza che diventa scetticismo per gli under 34. Per questi ultimi il pass «è uno strumento di violazione della privacy». I cittadini con reddito alto ritengono (63%) che sia giusto rendere obbligatorio il passaporto sul lavoro mente i meno abbienti (51%) sono contrari. «A dispetto di ciò che si pensa» sottolinea Graffigna, «il titolo di studio non influisce sul giudizio. Il sì o il no non sono una questione di istruzione». Semmai l'analfabeta è chi dà per scontato che si tratti di quattro gatti randagi.