2019-09-17
Porti aperti, fregatura assicurata. La mano tesa dell’Ue è una truffa
Lo sbandierato accordo con Francia e Germania sulla ripartizione dei migranti è ancora in altissimo mare. E con ogni probabilità riguarderebbe soltanto i profughi riconosciuti tali, quindi appena il 10% di chi sbarca.Liquidi gli accordi e le regole, liquidi i sorrisi da valletta tv in bianco e nero di Ursula von der Leyen. E addirittura gassose le parole di Giuseppe Conte, nel senso che evaporano un nanosecondo dopo essere state pronunciate. Sui migranti continua a comandare il mare, che inconsapevole dei summit europei è tornato a trasformarsi in una pericolosa autostrada d'acqua destinata a scaricare sulle coste italiane migliaia di disperati con il destino da disperati.Dopo l'apertura dei porti avvenuta nel silenzio gaudente del nuovo governo e contro la volontà della maggioranza degli italiani, attorno all'argomento chiave regna il caos strategico, procedurale, organizzativo. Siamo fermi agli ossimori («Regole dure, ma applicate con umanità», come ripete il bispremier) e a un numero rimbalzato da Bruxelles senza alcun ancoraggio concreto: 25%. È la percentuale di clandestini della Ocean Viking che Germania, Francia e Malta s'impegnano a trasferire a casa loro una volta sbarcati in Italia, esattamente come accaduto nei mesi scorsi. C'è la preoccupante sensazione che Conte stia vendendo qualcosa che ancora non esiste. Anche perché dentro quel generico 25% si intravede la prima trappola. Tedeschi e francesi parlano di rifugiati (i perseguitati politici e coloro che dimostrano di fuggire da una guerra), che rappresentano in media il 10% di coloro che sbarcano. Gli altri, i richiedenti asilo e i cosiddetti migranti economici illegali - vale a dire gli esseri umani oggetto del traffico degli scafisti - chi li tiene? Difficilmente la risposta arriverà domani, quando Emmanuel Macron sarà in visita ufficiale a Roma dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ed è ancora più improbabile che qualcosa di sicuro si sappia dopo l'incontro fra i ministri dell'Interno italiano e tedesco Luciana Lamorgese e Horst Seehofer. Per veder diradare la nebbia (forse) sarà necessario attendere il 23 settembre, quando a La Valletta si terrà un summit fra i quattro Paesi promotori del Patto di accoglienza per mettere a punto le modalità della redistribuzione automatica. Conte spinge per inserire anche Lussemburgo, Croazia, Spagna e Grecia, ma atti ufficiali non se ne vedono all'orizzonte. Senza contare che Spagna e Grecia sono a loro volta Paesi naturali di sbarco; per quale motivo dovrebbero occuparsi di quote e non di accoglienza tout court? Altri quattro aspetti della faccenda confermano che il mellifluo presidente del Consiglio sta parlando di accordi avendo in mano solo il bluff di un wishful thinking (una pietosa speranza). 1) Il primo è la richiesta di rotazione dei porti per gestire il malcontento popolare, come se fosse possibile creare degli hub per clandestini nel Mediterraneo, ben sapendo che Sea Watch, Open Arms e via elencando puntano dritte sull'Italia per questioni pratiche: meno costi, più visibilità mediatica e da qualche giorno zero multe. 2) Il secondo aspetto sta nel tentativo di far ripartire la missione Mare Nostrum, così oltre le Ong anche la flotta si trasformerà in un grande taxi. 3) Il terzo riguarda i clandestini in arrivo ala spicciolata sui barchini, non contabilizzati e da una settimana neppure identificati, quindi esclusi dalla ripartizione. 4) Il quarto aspetto è la pressione italiana per far sì che la redistribuzione avvenga immediatamente dopo l'identificazione dei clandestini; le altre nazioni non sembrano interessate a portarsi a casa immigrati illegali a scatola chiusa. A margine della modalità, un tempo rifiutata in blocco dall'Europa, c'è un dettaglio curioso. A costringere Bruxelles a imporre la redistribuzione (l'unico passo avanti nel rispetto delle prerogative italiane) non è stato l'europeismo gregario di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni; non è stato il grande abbraccio del Vaticano e neppure la pochette a quattro punte di Conte. Ma è stato Matteo Salvini con la sua strategia muscolare durante i 14 mesi di porti chiusi.Il caos è totale anche se ci allontaniamo dai porti e ci incamminiamo verso Bruxelles. In questi giorni il mantra di David Sassoli, neopresidente del Parlamento europeo in quota Pd-5Stelle, è «risorse legate alla solidarietà». Riprendendo un passaggio di un recente discorso di Von der Leyen, ribadisce che ci saranno «penalità finanziarie per i Paesi che vengono meno alla ripartizione solidale entro i confini europei». Un modo neanche troppo indiretto per far capire al blocco di Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia, Rep. Ceca) e all'Austria che se non si accollano le loro quote avranno meno soldi per realizzare infrastrutture. Anche qui siamo ai prodromi delle premesse perché se Viktor Orban si dovesse rifiutare (come ha già fatto) di accogliere chicchessia, non ci sarebbe alcun protocollo in vigore per impedirgli di incamerare ciò che gli spetta in relazione ai contributi Ue. Il discorso sui soldi è molto pericoloso e ricorda la strategia della Germania che nel 2016, pur di vedere chiudersi la rotta balcanica, spinse l'Europa a pagare tre miliardi alla Turchia di Recep Erdogan (già in piena involuzione islamica) per lo sporco servizio. Una losca trattativa che non impedì l'impennarsi dei consensi alla destra xenofoba a Berlino e decretò il tramonto politico di Angela Merkel. La narrazione è un conto, la realtà un altro e niente impedisce agli scettici di vedere di nuovo l'Italia trasformarsi in un Hotel Libia.Il primo passo in questa direzione lo ha compiuto l'Ecofin a Helsinki, di fatto rimandando a casa a mani vuote il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri. Lui chiedeva flessibilità, ma gli è stato risposto che le regole del patto di stabilità vanno rispettate. Unico margine, molto eventuale, gli «investimenti green». I quali potrebbero anche essere scorporati in caso di accondiscendenza. Su cosa? Sui migranti. Tutti dentro come ai tempi di Renzi, in attesa di una revisione del trattato di Dublino che vogliamo solo noi. Le deroghe europee si pagano. E non sono liquide come le parole del bispremier.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)