2020-10-20
Portaborse mafioso, a processo la renziana
La deputata Giusi Occhionero accusata di falso. Faceva entrare in carcere, spacciandolo per suo assistente, l'ex radicale che per i pm approfittava dei colloqui con i boss per fare il postino delle cosche. La difesa: «Estranea ad addebiti afferenti a contesti criminali». Va giudizio con l'accusa di falso Giusi Occhionero, la deputata renziana di Italia viva che aveva fatto entrare in carcere, spacciandolo per il suo assistente, Antonello Nicosia, sedicente professore con in dote una condanna a dieci anni per droga, finto radicale incallito con un pallino per i diritti dei detenuti e, sostengono i magistrati della Procura antimafia di Palermo, con relazioni nella mala che conta, quella dell'ala di Cosa nostra guidata dal superlatitante Matteo Messina Denaro. Grazie a quegli incontri nelle prigioni italiane, Nicosia, sostiene l'accusa, faceva il postino per i boss della mafia siciliana. Il professore, coimputato della Occhionero, accusato di falso aggravato e associazione mafiosa, ha scelto il rito abbreviato, come il boss di Sciacca Accursio Dimino e Paolo e Luigi Ciaccio, che rispondono di favoreggiamento. Rinviato a giudizio, come Occhionero, invece, Massimiliano Mandracchia, imputato anche lui di favoreggiamento. Durante le indagini Nicosia è stato sorpreso mentre partecipava a un summit con un fidato della Primula rossa di Cosa nostra, nel febbraio 2019, a Porto Empedocle: parlavano di una somma di denaro da far arrivare proprio a Messina Denaro. Per la Procura, insomma, «era pienamente inserito nell'associazione mafiosa». Intanto, però, organizzava visite nei penitenziari con la deputata. E al centro delle accuse c'è proprio quella di avere strumentalizzato la sua funzione di collaboratore parlamentare come passepartout per parlare in modo riservato con i boss detenuti e trasmettere all'esterno i messaggi che servivano alla gestione della famiglia mafiosa. Ieri Nicosia in aula si è difeso, smentendo qualunque contatto con il padrino latitante. Poi ha ribadito che durante gli incontri avvenuti nelle carceri non è mai stato stato lasciato da solo. I magistrati della Procura erano di parere contrario.Occhionero, invece, avrebbe dichiarato falsamente, in diverse attestazioni indirizzate alle case circondariali di Agrigento, Sciacca e Palermo, che nel dicembre del 2018 Nicosia «prestava una collaborazione professionale diretta, stabile e continuativa». Scoperta, disse ai magistrati di non aver avuto contezza della doppia personalità del suo collaboratore. Le intercettazioni, però, sembrano raccontare altro. Il 21 dicembre, dopo aver avuto con Nicosia solo contatti telefonici, Occhionero è arrivata a Palermo e ha incontrato il sedicente professorecon cui è andata immediatamente a fare un'ispezione al carcere Pagliarelli. E all'ingresso ha dichiarato che il radicale era un suo collaboratore: circostanza che, hanno accertato i pm anche attraverso indagini alla Camera, è risultata falsa. All'epoca, infatti, stando all'inchiesta, nessun rapporto di lavoro era stato formalizzato. Il giorno successivo i due hanno fatto, con le stesse modalità, visite nelle carceri di Agrigento e Sciacca. Il contrattino, da 50 euro mensili, che ai magistrati deve essere apparso come una pezza d'appoggio, è stato formalizzato solo dopo la terza visita negli istituti di pena. Occhionero e Nicosia, però, oltre a condividere i pellegrinaggi nelle prigioni avevano un'altra passione in comune: la politica. Lei, che prima era con Liberi e uguali di Pietro Grasso e compagna di banco di Pier Luigi Bersani inParlamento, è rimasta fulminata dal renzismo all'ultima Leopolda ed è passata con Italia viva. Anche lui ha partecipato alla kermesse renziana. E sul suo profilo Facebook aveva scritto un post che accompagnava il suo personale reportage fotografico dalla Leopolda: «I progetti politici, come le proposte vanno sempre valutate... riuscirà stavolta a non deluderci il buon Renzi? Chissà...». Ufficialmente, però, stava con i Radicali e nascondeva la sua attività di messaggero dei boss con azioni militanti da falso garantista e da paladino dei detenuti (sul tema conduceva perfino una trasmissione televisiva). Non è bastato quindi alla Occhionero sostenere di non aver avuto contezza della doppia personalità di Nicosia. Ora i suoi legali, gli avvocati Giovanni Di Benedetto e Giovanni Bruno, commentano con amarezza: «Nel precisare con fermezza che la nostra assistita è del tutto estranea ad addebiti afferenti a contesti mafiosi, prendiamo atto con amarezza del suo rinvio a giudizio dinanzi il Tribunale di Palermo per il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico in relazione alla dichiarazione da lei rilasciata sul rapporto di collaborazione con Antonello Nicosia». E si dicono «fermamente convinti che il gup aveva tutti gli elementi, di fatto e di diritto, per emettere una sentenza di non luogo a procedere. Illustreremo le nostre ragioni dinanzi il giudice monocratico che, siamo certi, darà atto della assoluta liceità della condotta posta in essere dalla nostra assistita». L'appuntamento con la giustizia per la deputata renziana è fissato per il 2 febbraio 2021 davanti alla terza Sezione penale del Tribunale di Palermo.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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